Autore: 
Gioele Nasi


 

Come tradizione, Rockline.it vi propone una lista di quelli che riteniamo essere stati i migliori album dell'anno appena concluso.

Ad eccezione del primo classificato, i dischi non sono in stretto ordine di gradimento - in compenso quest'anno abbiamo deciso di ampliare la selezione da 10 album  a 20!

 

E se mentre leggete la lista e spulciate le recensioni volete dare un ascolto ai dischi che abbiamo scelto, la nostra playlist Spotify "Rockline 2014" fa al caso vostro.



1) Fire Orchestra Enter

Fire! Orchestra, "Enter"

Ciò che contraddistingue il nuovo album dei Fire! Orchestra dal loro (bel) disco di debutto è un approccio ancora più radicale e iconoclasta alla musica per big band. Non limitandosi più a far proprie le lezioni di alcuni dei compositori per grandi ensemble più importanti ed eversivi degli anni Sessanta e Settanta (in questo secondo disco, oltre a Haden e a Mingus, si aggiungono allo stuolo di influenze l'Arkestra di Sun Ra, l'opera di Carla Bley e i lavori europei di George Russell), il linguaggio della Fire! Orchestra si estende al rock e accentua ulteriormente i legami con la musica sperimentale, già di per sé evidenti in "Exit!" e qui portati alle estreme conseguenze, complice anche l'esperienza nei più disparati ambiti musicali dei musicisti coinvolti (dal pop di Wildbirds & Peacedrums e The Tiny al folk dei The Amazing; dall'avant-jazz di The Thing e Angles al rock dei Paatos).

2) natural snow buildings night country

Natural Snow Buildings, "The Night Country"

Al posto di sputare fuori i soliti ennemila dischi all'anno, a questo giro Mehdi Ameziane e Solange Gularte si sono presi qualche attimo in più per pubblicare questo "The Night Country", il primo "full" del duo dai tempi del poco ispirato "Beyond the Veil" (2012).

Un'ottima idea visto che "The Night Country" è, tra quelle degli ultimi anni, una delle pubblicazioni più ispirate del catalogo Natural Snow Buildings - niente di nuovo sotto il sole, ma se vi piace la loro formula a cavallo tra free-folk notturno, fumose divagazioni psichedeliche e delicati droni, questo è un disco che deve obbligatoriamente finire nella vostra collezione.

3) pink mountaintops get back

 

Pink Mountaintops, "Get Back"

Il successo dei Black Mountain è fuori discussione così come le critiche che alla band sono sempre state rivolte, se vogliamo anche fondate, quando si riferiscono al revivalismo tout-court in cui la band in qualche modo ha sempre sguazzato.

Ma se a Stephen Mc Bean piacciono quei suoni, quel periodo e quelle bands, è forse una colpa ricreare più o meno consapevolmente un'epopea?
L'uomo di Vancouver non solo stoicamente non demorde, ma procedendo in quell'idea di collettivo aperto tira fuori sempre per Jagjaguwar il quarto atto della serie Pink Mountaintops che – copertina a parte - è semplicemente uno dei più bei dischi rock dell'anno, di fronte a cui anche la critica più pigra si è dovuta piegare.

4) War on Drugs Lost in the dream

The War on Drugs, "Lost in the Dream"

L'assoluta liquidità di "Lost in the Dream", se da un lato gli impedisce di contenere una vera hit in grado di raggiungere vette più alte in termini di riconoscimenti, dall'altro è la caratteristica che lo rende alle nostre orecchie uno dei capolavori di questo 2014, che ci permette di ascoltarlo più e più volte, anche a dispetto della lunghezza dei singoli brani, mai eccessiva ma neanche così breve come i nostri tempi richiedono.

5) dan weiss 14

Dan Weiss, "Fourteen"

Nonostante una certa autoindulgenza che affiora qua e là durante l'ascolto (specialmente in corrispondenza degli interventi vocali), "Fourteen" si colloca tra gli esempi di musica totale più creativi e coraggiosi dell'anno, manipolando elegantemente le tecniche provenienti dai più disparati generi musicali e offrendo una proposta stimolante tanto agli ascoltatori di musica rock, quanto a quelli di musica classica o jazz.

6) mastodon once more round sun

Mastodon, "Once More 'Round the Sun"

Il sesto album dei Mastodon, "Once More 'Round the Sun", uscito per la Reprise, riflette allo stesso tempo un ulteriore cambio di rotta stilistico e una volontà di conquistare nuovi tipi di pubblico ulteriormente al di fuori del'arena metal, ma anche una maturazione personale dei quattro, che mai come ora hanno una visione consapevolmente positiva nei confronti della vita.
Caratterizzato dalla cura maniacale con cui il sound è stato reso ricco e scintillante, presenta un cesellato lavoro di arrangiamento e rifinimento chitarristico, ma sempre al servizio di melodie catchy, ritmi upbeat e scorrevolezza.
Quella dei Mastodon è un'operazione di svecchiamento delle formule metal, prog rock e alternative rock, che si mescolano assieme in un calderone sempre ispirato e altamente personale, dunque riuscendo sempre a spiccare sul resto del panorama musicale.

7) murmur murmur black metal

Murmur, "Murmur"

In anni in cui il principale paradigma di sperimentazione nell'ambito black metal è dato dalla commistione di darkwave, dream pop, post-rock e shoegaze, i Murmur si muovono in controtendenza recuperando l'eredità di capisaldi dell'avant-garde metal del calibro di Carheart e Written in Waters, rivelandosi in questo modo come uno dei gruppi più particolari e coraggiosi ad emergere dalla scena estrema americana negli ultimi tempi.

8) eyehategod

Eyehategod, "Eyehategod"

Dopo quattordici anni i signori degli acquitrini di New Orleans riemergono.Cosa è cambiato in questi anni? Dal punto di vista emotivo, diremmo niente: il disagio, il male di vivere è lo stesso, se non peggiorato.

I vecchi e psicotici Eyehategod come i serpenti che sguazzano nelle paludi di casa loro hanno solo cambiato pelle: ora è più traslucida e si vede meglio tutto il putrido che c'è dentro. Se oggi il panorama sludge e dintorni è affollato fino all'imbarazzo, di fronte al senso di verità degli Eyehategod, all'ansia che provano e che provocano, alla loro disperazione terminale, non si può che provare profondo rispetto. Finalmente un grande ritorno. Lo sludge è Eyehategod.

9) at the gates war reality

At the Gates, "At War with Reality"

Dove molti come back album hanno fallito (vedasi "Surgical Steel"), "At War with Reality" convince invece per via di uno sviluppo logico e coerente del suono classico degli At the Gates. Da "Slaughter of the Soul" e soprattutto "Terminal Spirit Disease" vengono ripresi i tormentati hook melodici e l'aggressività nell'esecuzione, ma al contempo "At War with Reality" evolve le intricate costruzioni armoniche di "With Fear I Kiss the Burning Darkness", aggiornandole alla luce dell'opera degli Opeth e degli ultimi Enslaved, dimostrando in tal modo che la visione musicale degli svedesi non si è fermata al 1995.

10) solstafir otta

Sólstafir, "Ótta"

Il disco della definitiva consacrazione per la band islandese, che arriva a farsi apprezzare - finalmente - da un pubblico ben più ampio di quello che li aveva visti stuprare le regole del Black/Viking Metal nel fantastico debutto "Í Blóði og Anda" una dozzina d'anni fa.

I Sólstafir di oggi sono un gruppo dal suono diverso (e molto personale) ma dallo stesso spirito libero, un gruppo che ha interiorizzato le lezioni del Post-Rock e le padroneggia oramai con maturità, inglobandole in un Metal adulto e profondo, che non ha paura di confrontarsi con silenzi e momenti più intimi.

I plausi raccolti da "Ótta" sono il meritato premio ad un gruppo che non ha mai sbagliato un disco.

11) sun kil moon benji

Sun Kil Moon, "Benji"

Ci sono brani, in "Benji", come Dogs oppure Richard Ramirez Died Today of Natural Causes, che parlano di amore o di morte con lo stesso agghiacciante realismo, ma nel loro incedere ipnotico lo rendono incredibilmente accettabile.

Catartico.

12) the body i shall die here

The Body, "I Shall Die Here"

All'interno di una discografia dalla qualità discontinua, "I Shall Die Here" si situa tra le migliori uscite a nome The Body: cercando un bilanciamento molto più ponderato tra aggressione noise e droni ambientali, l'album è il più maturo e riuscito del duo Lee Buford & Chip King per quanto riguarda la costruzione delle atmosfere, con tutta probabilità grazie alla qui presente collaborazione col talentuoso Bobby Krlic aka The Haxan Cloak. Colonna sonora perfetta per un film horror, il disco fa sprofondare l'ascoltatore tra tinte nere e ansie opprimenti, stimolandolo con trovate sonore variegate che prendono da dark ambient, drone metal, sludge e industrial, senza scadere nella monotonia o negli eccessi dissonanti che minano spesso e volentieri uscite di questo tipo, e che avevano compromesso il precedente "Christs, Redeemers".

13) Kairon; IRSE! - Ujubasajuba

Kairon; IRSE!, "Ujubasajuba"

Fortunatamente, capita escano dischi capaci di iniettare nuova linfa in generi ormai sfruttati all'eccesso e accartocciati nei propri stereotipi, come, in questo caso, il post-rock. Con un approccio meno "sinfonico" rispetto al precedente (e loro debut album) "the Defect in that one is bleach / We're hunting wolverines", i finlandesi Kairon; IRSE! aumentano le dosi di sovraincisioni stratificate e dissonanze, e, grazie anche ad una (auto-)produzione che conferisce a chitarre e batteria un'aggressività ben più grezza di quanto generalmente si sente nel genere, le lunghe distese di "wall of sound" si scavano uno spazio stilistico a sé. Sarebbe d'altro canto limitante considare "Ujubasajuba" solo come esponente valido di un singolo genere: le sonorità "pastose", al tempo stesso atmosferiche e ruvide, gettano in una pressa influenze che vanno dagli Hawkwind ai My Bloody Valentine, ancor prima di parlare il linguaggio di Mono ed Explosions in the Sky.

14) andy stott faith

Andy Stott, "Faith in Strangers"

Dare seguito ad un album epocale come "Luxury Problems" non era certo facile ma il buon Andrea non s'è seduto sugli allori e ha spinto il suo suono verso nuove soluzioni: rimbombanti echi ambientali inframmezzano alcuni tra i suoi pezzi più riusciti, tra cui il veemente e cavernoso singolo Violence e la misteriosa On Oath, cui fanno da contraltare nella seconda metà del disco le abrasioni di How it Was e l'incedere meccanico e industriale di Damage.

Un disco che non raggiunge le vette dei suoi predecessori, ma che conferma Andy Stott come uno degli artisti più interessanti in ambito elettronico.

15) indian from all purity

Indian, "From All Purity"

Proseguendo sul percorso intrapreso con il precedente "Guiltless", la band indulge nelle sonorità più aberranti della musica metal, collocandosi in continuità con la tradizione dei maggiori sabotatori dello sludge, del drone e finanche del noise degli ultimi vent'anni. L'influenza dei più importanti complessi sludge degli anni Novanta (specialmente gli Iron Monkey, i Dystopia e i Noothgrush, di cui riprendono le cadenze ossessive e le atmosfere strazianti) è ancora ben evidente, ma riescono finalmente a superare il semplice tributo al panorama old school sporcando tali ingerenze con le atmosfere apocalittiche dei Neurosis, gli abissi di cieca disperazione dei lavori della Relapse dei Today Is the Day, il sound torturato e claustrofobico dei Khanate, i rumorismi dei Khlyst, perfino con il riffing e la devastazione delle partiture del nuovo black metal (non a caso, il chitarrista Will Lindsay ha lavorato anche con Wolves in the Throne Room e Nachtmystium).

16) pharmakon bestial burden

Pharmakon, "Bestial Burden"

Il sound di "Bestial Burden" non si discosta granché da quanto esibito sul terrificante debutto dell'anno scorso: il tessuto sonoro, violento e orrorifico, è costituito da scariche dissonanti e detonazioni elettroniche, che richiamano in egual misura la claustrofobia della musica industriale, gli esempi più abrasivi di power electronics e noise e l'efferatezza esecutiva della no wave new yorkese, realizzandosi infine in una musica da incubo a metà strada tra Throbbing Gristle, Prurient e Swans.
Tutto però risulta in questo secondo lavoro meno sensazionalista e più calibrato.

17) future islands singles

Future Islands, "Singles"

Senza alcuna vergogna per i sintetizzatori anni '80 e consapevoli dell'ugola 'maschia' e fortemente espressiva del cantante Samuel T.Herring, i Future Islands immortalano l'epica eighties donando nuova linfa vitale alla new-wave e dimostrando che ne esistevano pieghe ancora poco esplorate.

18) silver mt zion get free we pour light on everything

A Silver Mt. Zion, "Fuck Off Get Free We Pour Light on Everything"

Violini e piano, blues e metal, canti collettivi e pagani per una delle formazioni più avventurose ed antagoniste della scena canadese.

19) random pidanoma

Los Random, "Pidanoma"

Il trio argentino dei Los Random (prima conosciuti solo come Random) , col secondo full-length "Pidanoma", sposta l'asticella ben più in alto rispetto al debut "Todo.s los colores del" (2011). Maturati sotto ogni punto di vista, i tre hanno confenzionato quello che forse è il più autenticamente innovativo disco metal del 2014.
Il trio ha trovato una formula completamente personale, che non suona esattamente come nulla si sia sentito in precedenza, e l'ha messa al servizio di un disco-macigno, da ascoltare per intero da capo a coda (sulla scia della tradizione prog dei concept album), costituito per lo più da tre pezzi finali di 16, 17 e 21 minuti.
Sebbene in questo calderone di influenze si intercettino riff sludge alla Melvins, post-metal alla Isis di "Panopticon" (ma in versione più calda e latina), prog massimalista alla The Mars Volta, post-hardcore e math rock alla Don Caballero, passaggi djent, e parti strumentali ora di ambient elettronico (Mia Gato está Solo en la Os) ora di post-rock alla Mono (Guri Guri Tres Piñas), la formula stilistica finale è una vera e propria fusione, che non suona mai frammentaria per il gusto di stupire o esibire virtuosismi, ma come un discorso unitario, coeso e coerente.
Siamo sostanzialmente nell'ambito della musica d'avanguardia - e, sicuramente, nel reame dell'avant-garde metal, che raramente è stato così interessante.

20) loscil sea island

Loscil, "Sea Island"

Creato, come diversi altri lavori di Loscil, con in mente una ben precisa zona di Vancouver (in questo caso l'isola che ospita l'aeroporto internazionale della città), "Sea Island" è uno dei più ispirati lavori dell'artista canadese. La sua ambient ricca e soffusa è movimentata da pulsazioni dub e impreziosita da occasionali interventi di violino, pianoforte, vibrafono, Rhodes e voce.


Come migliore EP dell'anno abbiamo invece selezionato:
 

il disordine delle cose posto giusto

Wild Throne, "Blood Maker"

Debutto del trio Wild Throne, composto da ferrati musicisti con alle spalle un decennio di carriera, l'EP "Blood Maker" ha tra i suoi punti musicali di riferimento The Mars Volta e Protest the Hero, ma le influenze che da loro prende arrivano in dose controllata, e si ritrovano ad essere sostenute e ben bilanciate da un impianto hardcore massiccio, caldo e quasi sludge, strizzante l’occhio ai Mastodon; allo stesso tempo, l’efficacia melodica, che deriva da una ormai mutata geneticamente tradizione emocore, regala hook memorabili e viene espressa magistralmente grazie alle notevolissime capacità vocali del frontman Josh Holland.

 

Non poteva mancare uno sguardo al panorama italiano: tre "menzioni speciali" per i nostri dischi made in Italy preferiti del 2014.
 

il disordine delle cose posto giusto

Il Disordine delle Cose, "Il Posto Giusto"

Finire "Nel Posto Giusto" per registrare questo terzo album significa forse andare a registrarlo a Glasgow, dopo Torino e l'Islanda. Spiriti errabondi i piemontesi Il Disordine Delle Cose, giunti ad una maturità frutto di esperienze accumulate e gioie condivise con la crema dell'adult indie italiano: Perturbazione, La Crus, Paolo Benvegnù, Marta Sui Tubi (con cui condividono Mattia Boschi) e molti altri.

"Nel Posto Giusto" è un disco bellissimo perché aggiunge cose, introduce elementi, azzarda contaminazioni inusitate senza rinnegare tutto ciò che li accomuna ai celebri e già citati nomi, a cui aggiungeremmo anche i mai troppo osannati Non Voglio Che Clara, per una certa affinità vocale.

paolo benvegnu earth hotel

Paolo Benvegnù, "Earth Hotel"

Sembrava impossibile un nuovo capolavoro dopo "Hermann", ma Benvegnù e i suoi son riusciti a realizzarlo.

Dall’alto della sua costruzione di dodici piani la vista è straniante e lo sguardo si può perdere ma la narrazione di Benvegnù ci tiene saldi all’immanente.
 
cristina dona cosi vicini

Cristina Donà, "Così vicini"

Non più su major e con Saverio Lanza co-protagonista, "Così Vicini" segna il grande ritorno sulla scena della Donà dopo tre anni dall’ultimo album.
Intimo e confidenziale, energico e poetico, "Così Vicini" lambisce la nostalgia dei '70 guardando in avanti.
 

 

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