Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Etichetta: 
Eve Recordings
Anno: 
1991
Line-Up: 

Vic Kemlicz – guitar, vocals

Duncan Brown - bass

Chin Keeler - drums

Tracklist: 

1. Claws

2. Is That It?

3. Surgery

4. Girth

5. Hot Seat

6. Billy and Bobby

7. Gregor

8. Book One, Page One

9. Pyrosulphate

Milk

Tantrum

Meno di duecento km. quelli che separano Norwich, capitale della contea del Norfolk, dai colorati mercatini londinesi di Camden.
Quanto basta per lasciar perdere il jangle pop che ben ha attecchito nel nord del Regno Unito e far posto alla rivoluzione che nello stesso periodo negli U.S.A. ha un solo nome.

Siamo nel 1991 ed i Milk approdano dopo un paio di e.p. e diversi cambi di formazione a quello che potremmo definire un pefetto power trio.

Non sono soli i Milk a sperimentare soluzioni a cavallo tra l'alternative americano e le forti pulsioni art-rock tipiche delle terre di Albione. Purtroppo non riusciranno a far parte della schiera dei fortunati che svetteranno in alto nelle classifiche indie come i troppo filoamericani Therapy? o i leggendari prime movers God Machine, che per risapute ragioni preferiamo considerare parte del contingente inglese sebbene fossero californiani. Perfino i più noisy e caotici Silverfish ebbero maggiori riscontri commerciali.

I Milk vengono ricordati tra i minori del periodo, come i Jacob's Mouse, decisamente più variegati e schizzati nei suoni, o gli Scum Pups, completamente assorbiti dal grunge imperante oltreoceano.

Un'altra band che è bene citare per avere una piena comprensione di questo complesso quadro sono i Fudge Tunnel, che finirono poi per firmare per Earache.

Decisamente spostati quindi verso quello che potrebbe essere etichettato come art-metal o post-metal o più semplicemente alternative-metal, con Tantrum il trio realizza un lavoro definibile monolitico nel senso migliore del termine, cioè compatto e coeso, coerente ed onesto, potente ed ispirato.

L'album si apre con Claws, livido affresco metal tutto bagliori, chitarre tirate, stoppate e convulse con un chorus magnificamente romantico che non preclude chiaroscurali sospensioni, arpeggi in penombra ed esplosioni noise.
La voce di Vic Kemlicz è forse persino più graffiante e scorticata di quella di Dan Kubinski dei Die Kreuzen.
La seconda traccia, Is That It? lascia intravedere le influenze industrial della band tra le sue ritmiche serrate e le sue geometrie dissonanti.
Surgery riapre scenari decadenti all'interno di suoni oscuri e metallici e ricchi di isterici feedback in un brano che lascia ipotizzare una versione inglese dei Soundgarden.
Girth è la traccia che sancisce un legame con l'hard rock storico britannico.
Pensare ai Led Zeppelin non è però un fuorviante tentativo di far passare i Milk come dei nostalgici, quanto un ribadire che la musica heavy inglese di tutti i tempi ha sempre saputo comprimere un enorme potenziale elettrico, una carica fortissima in toni drammatici e perfino tragici. E chi meglio dei Led Zeppelin, della chitarra esoterica di Page o del teatrale Plant ha saputo far di meglio nell'assecondare quest'idea?
Hot Seat è una delle vette del disco: una cavalcata irruenta, veloce e dissonante; è l'heavy metal che anticipa il post-hardcore senza averne però nessuna cognizione.
Billy and Bobby è l'altro capolavoro: appassionata ed incredibilmente eterea per essere una traccia in cui il batterista Keeler picchia come se stesse scolpendo granito.
Gregor è poco più di un intermezzo di un minuto, la cui unica particolarità consiste nel fatto d'essere una traccia in reverse.
Nella penultima Book One Page One ritornano i Milk più cattivi, dalle impennate quasi voivodiane; ed infine c'è Pyrosulphate, ancora grumi di rabbia e gioia per uno degli album più sottovalutati e dimenticati di quell'eccitante spaccato dei primi nineties britannici.

I Milk, piuttosto che accomodarsi nella retorica grunge o cavalcare l'onda alternative a base di Hüsker Dü, Dinosaur Jr. e Sonic Youth, han preferito realizzare un disco per molti versi più vicino a quanto facevano band quali Helmet e Prong, aggiungendo però fuoco a quelle fredde collisioni post-metal e riuscendo inconsapevolmente anche a superare gli album meno ispirati di questi ultimi. Peccato che a ricordarlo siano rimasti in pochi.

 

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