Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Genere: 
Etichetta: 
Season of Mist
Anno: 
2013
Line-Up: 

- Luc Lemay - Voce, chitarra
- Kevin Hufnagel - Chitarra
- Colin Marston - Basso
- John Longstreth - Batteria

Tracklist: 

1. Le Toit du Monde
2. An Ocean of Wisdom
3. Forgotten Arrows
4. Colored Sands
5. The Battle of Chamdo
6. Enemies of Compassion
7. Ember's Voice
8. Absconders
9. Reduced to Silence

Gorguts

Colored Sands

Dopo dodici anni dalla loro ultima pubblicazione (il discreto From Wisdom to Hate, che tentava di conciliare le pulsioni sperimentali del capolavoro Obscura con le strutture più lineari dei primi due lavori), e dopo cinque anni di attesa in seguito alla reunion della leggendaria formazione canadese avvenuta nel 2008, il quinto full-length dei Gorguts, intitolato Colored Sands, viene infine pubblicato nel 2013 dalla Season of Mist, che dopo aver conquistato Atheist e Cynic si conferma nuovamente la label preferenziale per le vecchie glorie del death metal più tecnico.

Le dichiarazioni di Luc Lemay riguardo alle coordinate stilistiche della nuova incarnazione Gorguts non erano state delle più promettenti: il mastermind della band aveva più volte affermato di essersi appassionato negli ultimi anni alla musica di Opeth e Porcupine Tree, due gruppi arenati da circa una decina d'anni nei peggiori cliché nostalgici del progressive rock e metal. Ma, per fortuna, la musica di Colored Sands ha poco a che vedere con gli ultimi sviluppi di quella di Åkerfeldt e Wilson (mentre effettivamente l'impronta degli Opeth di Still Life e Blackwater Park è rintracciabile lungo tutto il lavoro, nel gusto melodico che traspare anche nelle sezioni più violente e nella tendenza a dilatare i brani, con un minutaggio medio di quasi sette minuti): piuttosto, oltre a riallacciarsi prevedibilmente allo stile dei dischi precedenti (specialmente From Wisdom to Hate), i nuovi Gorguts sembrano essere consapevoli delle ultime innovazioni apportate al death metal dagli Ulcerate, mitigando le sonorità più aspre e dissonanti del loro stile classico con sezioni più dilatate e conferendo così alla musica del gruppo un suadente quanto inedito gusto melodico.
Anche la produzione ricalca quella degli ultimi campioni del death metal, dando meno volume ai toni bassi (e rendendo quindi meno compatto il sound dei Gorguts rispetto a quello del passato) in favore di quelli alti delle chitarre, mentre la batteria triggerata, che appiattisce la prestazione - invece notevole - del batterista John Longstreth, è forse il più evidente difetto del lavoro (anche questo ereditato dalle odierne produzioni death metal).

La prima metà del full-length è quella che maggiormente si avvicina alle sonorità dei massimi gruppi death metal odierni, oltre a quella che presenta maggiormente le influenze dei migliori Opeth del passato, ed è forse proprio per questo che appare come la parte più brillante, fresca e creativa dell'album, nonché quella che presenta i migliori pezzi del disco. Le Toit du Monde rende evidente il legame che intercorre tra la musica dei Gorguts e gli esponenti più cerebrali del nuovo death metal, conciliando le psicosi di La Vie Est Prelude... (La Mort, Orgasme) con le atmosfere apocalittiche di The Destroyers of All, in un vorticoso susseguirsi di violente scariche dissonanti (merito della caratteristica esecuzione di Lemay) e momenti invece più cadenzati, dominati da armonie esotiche e intricate ritmiche geometriche, mentre An Ocean of Wisdom e la più canonica (per gli standard dei Gorguts) Forgotten Arrows mostrano appieno i debiti di Lemay con gli Opeth, come se gli Ulcerate suonassero Still Life.
Gli esperimenti più inusuali (e forse anche più interessanti) di tutto Colored Sands sono incastonati proprio a metà del full-length: dapprima la title-track, dopo un'intrigante introduzione di chitarra in clean, subdole implosioni di basso e inquietanti dissonanze, esplode in un distruttivo numero death metal che riassume tutte le sfaccettature del sound Gorguts (quello più claustrofobico, quello più dinamico e anche quello più old-school - come dimostra l'assolo tipicamente azagthothiano nella seconda metà del brano), mentre subito dopo The Battle of Chamdo entra in scena con un quintetto d'archi a formulare fraseggi dal sapore tipicamente mediorientale.
È proprio questo il pezzo più spiazzante di tutto Colored Sands, perché quello che appare come una trita overture (dopo un decennio in cui i vari Lykathea Aflame, Nile e Orphaned Land hanno giocato nell'inserire culture orientali nel tessuto death metal) si rivela invece essere un vero e proprio pezzo di musica da camera. Sorprende ancora di più il fatto che il brano sia effettivamente riuscito: probabilmente anche grazie alla formazione accademica di Lemay, The Battle of Chamdo riesce a scansare il rischio di risolvere in un pastiche senza capo né coda, rivelandosi invece come un valido esempio di musica da camera sulla scia dei lavori per quartetto d'archi di Dmitri Shostakovic e Béla Bartók. Per quanto rimanga il dubbio sull'effettiva utilità di un numero del genere in un disco che per tutta la sua durata si muove su coordinate ben diverse, getta intriganti luci sull'eventuale futuro dell'opera dei Gorguts.
Conclusa The Battle of Chamdo, il disco ritorna con prepotenza su binari death metal di scuola tipicamente Obscura: dapprima la violenta sfuriata di Enemies of Compassion, quindi la canonica Ember's Voice e infine la più annichilente Absconders sembrano voler mostrare come la nuova incarnazione dei Gorguts sia ancora in grado di comporre brani egualmente schizoidi e distruttivi. Per quanto si tratti di pezzi forse ridondanti (sia nella discografia dei Gorguts che all'interno di Colored Sands stesso, in particolare Ember's Voice), è rincuorante vedere come la creatura di Lemay riesca nel non banale obiettivo di riproporre composizioni nel suo stile classico senza apparire come una parodia di se stessa (risultato che, in tema di ritorni estremi dell'anno, i Carcass non possono dire di aver raggiunto).
La chiusura è lasciata a Reduced to Silence, probabilmente il pezzo migliore della seconda metà di Colored Sands, che riprende le sonorità della prima parte dell'album con un approccio più sperimentale, alternando i soliti momenti più brutali a parentesi più dilatate, dominate dalle armonie dissonanti delle chitarre e dal basso di Colin Marston.

Nonostante presenti innegabili difetti, a partire da un minutaggio un po' troppo dilatato per ciò che ha da offrire realmente l'album, Colored Sands non solo aggiunge al repertorio dei Gorguts alcuni dei brani migliori che abbiano mai scritto, ma sembra anche preludere a un'evoluzione della loro musica tutt'altro che scontata. Dopo aver plasmato, insieme agli Immolation, gran parte dei complessi death metal più sofisticati e al contempo più violenti di questi anni, Lemay è riuscito comunque ad aggiornare la formula per rimanere al passo con i tempi: non sarà più l'ideatore di un nuovo modo di concepire il death metal, ma segue comunque piuttosto bene il sentiero tracciato da altri.
In ambito death metal, è forse secondo solo a Vexovoid come miglior ritorno dell'anno.

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