Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Kscope/Tonefloat/Headphone
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Steven Wilson - vocals, guitar, bass, keyboards
- Gavin Harrison – drums
- Tony Levin – bass guitar (on tracks 5, 6 and 13)
- Mike Outram - electric guitar (5 and 8)
- Dirk Serries – guitar drones (3 and 9)
- Jordan Rudess - piano (4, 5 and 8)
- Clodagh Simonds – vocals (6)
- Sand Snowman - acoustic guitar (2 and 8)
- Theo Travis - wah-flute (2), clarinetto (4 and 11), sax (11)
- Michiyo Yagi - 17-string bass koto (10), 21-string koto (13)

Tracklist: 

1. Harmony Korine
2. Abandoner
3. Salvaging
4. Veneno Para las Hadas
5. No Twilight Within the Courts of the Sun
6. Significant Other
7. Only Child
8. Twilight Coda
9. Get All That You Deserve
10. Insurgentes

Bonus tracks:

11. Port Rubicon
12. Puncture Wound
13. Collecting Space
14. Insurgentes (Mexico)
15. The 78

Steven Wilson

Insurgentes

Steven Wilson non è un nome sconosciuto per quanti seguono il panorama rock odierno. Salito alla ribalta della cronaca con i suoi Porcupine Tree (partendo con album dall'approccio molto pinkfloydiano fino a creare un neo-prog melodico e certosino), il compositore inglese ha dato sfogo negli anni ad un vero e proprio "mal della release" tirando su svariati progetti paralleli (No-Man, Blackfield, Bass Communion, Incredible Expanding Mindfuck) con i quali si è sbizzarrito a navigare fra sentieri ora più elettronici, ora più pop-rock oriented, ora più vicini al kraut rock, ora dal sapore più "alternativo" e così via, come uno stakanovista della musica.
Giunti al 2009, non poteva non mancare a questo punto il progetto solista, con questo disco intitolato Insurgentes - riferimento alla via messicana dove è stato registrato - e disponibile già da novembre 2008 come edizione deluxe a tiratura limitata ordinabile direttamente via mail.

Non si può dire che Wilson non abbia progettato le cose in grande: fin dall'elenco di guest rinomate la sensazione è che l'idea di base dietro al disco fosse ambiziosa, ma l'esercito di nomi può anche rivelarsi un'arma a doppio taglio lasciando (assieme allo strombazzare miriadi di influenze di classe ed il fatto che fosse il disco più "sperimentale" della carriera di Steve) un retrogusto di auto-celebrazione, e siamo sicuri che parecchi "prog fan" avranno sbavato all'idea di ritrovarsi Jordan Rudess dei Dream Theater in alcuni pezzi già prima di aver ascoltato il disco.
Un altro rischio è quello che i numerosi ospiti rendano il disco stilisticamente e caratterialmente disomogeneo, ma per fortuna le redini tirate da dietro le quinte da Wilson riescono a mantenere un certo filo conduttore di fondo che tende a mantenere legati fra loro i pezzi - nonostante alcune parentesi che sembrano spezzare la compattezza del disco.

In Insurgentes non ci sono molti rimasugli delle elucubrazioni più vagamente metalliche degli ultimi Porcupine Tree, anzi, il mood dell'album generalmente è molto più imperniato su elementi come l'oniricità e l'evocatività dei tappeti sonori, avvolgenti e melodiosi, occasionalmente interrotti da droni più corposi o da inserti maggiormente rumorosi e psichedelici, ma sempre con il fine di enfatizzare la carica atmosferica - e quindi emozionale - del disco. In funzione di ciò le influenze mostrano diverse volte una certa predilezione per alcune scelte ambientali solitamente ben inserite accompagnate da una cura per gli effetti che si avvicina a quella degli shoegazers, ma non mancano divagazioni che sembrano toccare persino la dark-wave per inquietudine. In più qua e là c'è, sporadicamente, qualche strizzata di palpebra ad un barocchismo più tipicamente neo-progressive.
In ogni caso, il disco tende ad essere meditato, riflessivo, pur concedendo qualche sussulto in alcuni brani in opposizione ai momenti più rilassati, e intrinsecamente impregnato di un'attitudine da album "art rock" - una visione però forse pretenziosa.
Schiettamente: non c'è niente di "geniale". Wilson non inventa nulla con Insurgentes e non esterna alcuna vérve progressista. Semplicemente si limita ad attingere con classe da questa o quell'altra sonorità per confezionare un disco dalla veste accattivante, ricercato nelle sue composizioni e dagli arrangiamenti melodici raffinati.
Il suo lavoro è nel complesso apparentemente innovativo ed estroso, ma in dettaglio è più una certosina opera di sintesi stilistica, un caleidoscopio, magari anche eclettico nelle sue fonti di ispirazione volendo, di influenze intrecciate fra loro - a volte in maniera ispirata, a volte con un andamento troppo fine a sè stesso.
Sicuramente comunque è positivo che non cloni quanto già proposto con il gruppo principale ma cerchi di fare qualcosa di un po' diverso, che suoni come un "disco di Steven Wilson" e basta.

L'iniziale Harmony Korine è il singolo scelto per introdurre il disco. Timidi arpeggi di chitarra, riverberi atmosferici di riempimento, climax emotivi con distorsioni di chitarra in funzione di muro sonoro (stile Slowdive che incontrano i Porcupine Tree) su cui appoggiare la melodia del ritornello e voce sognante con falsetti che ricordano i Sigur Rós. Niente sorprese da parte dell'autore inglese ed elementi sonori un po' prevedibili, ma qui il suo stile assume una nuova veste, più fumosa, più onirica, più "spaziale". Gli arrangiamenti sono perfettamente curati e rifiniti e la canzone è fra le più dirette del disco.
Abandoner comincia con effetti elettronici suggestivi e moderni (dall'incedere che ricorda vagamente Teardrop dei Massive Attack), accompagnati dalla chitarra acustica più spettrale, ma il tutto viene improvvismente interrotto verso la fine da un corposo drone di chitarra corrosivo e magmatico, che trasfigura tutto il brano rubandogli la dolcezza per renderlo inquietante e dolente.
Salvaging è un'ossessionante sequenza su base dark di distorsioni lisergiche noisy ricordanti in parte il post metal e accompagnate da mini-assoli sporcati di blues. La bruciante colata di lava chitarristica, su cui si erge qualche volta la voce candida e soffusa di Wilson (vagante nei brani fra psichedelia e dream pop, ma con una sporadicità delicata che ricorda l'approccio di certo post-rock), viene rotta solamente da un intermezzo di ambient orchestrato con le canoniche strings per fare atmosfera, il cui gioco funziona, per la solità bontà espressa nella scelta delle melodie.
L'eterea Veneno Para las Hadas è una commovente traccia ambient/soundscape dove si mostrano alcuni dei momenti più evocativi dell'album. Man mano che si avvicina alla fine, inoltre, si fa, anche grazie al basso intermittente mutuato dallo shoegaze, sempre più malinconica, quasi rassegnata; in ogni caso rimane sempre delicatissima, dai ripetuti tappeti sonori di synth alla voce mesta, passando per i brevi fraseggi di pianoforte e gli inserti di clarinetto.
Cambio di registro con No Twilight Within the Courts of the Sun, il brano inizia con dei giochi della sezione ritmica, leggera ma dinamica, vicini ai King Crimson (grazie anche alla presenza di Tony Levin al basso) e ai Marillion. Presto si aggiungono chitarre psichedeliche impegnate in riff acidi e ipnotici, seguendo un crescendo bruciante che le portano ad urlare tutto il proprio feedback nei momenti di maggiore intensità, dividendosi in assoli heavy metal virtuosi che sovrastano chords caustici. Subentrano infine elementi tastieristici che fanno tanto prog.
Significant Other va a bussare dai Marillion più morbidi (con qualche giro melodico che ricorda in parte i Bark Psychosis) ma è molto più legata ai Porcupine Tree e a Wilson, riuscendo così maggiormente caratterizzata e personale del precedente pezzo.
Only Child parte subito con basso e batteria che scandiscono il pezzo con intensità, al contempo vengono dilatati i riempimenti ambient di sottofondo e il piglio generale accompagna un crescendo di intensità ritmica e droni riverberati che sembra dovrebbe sfociare in un climax distorto - ma rimane invece sui suoi binari.
Twilight Coda è una strumentale dove ancora si presenta una suggestiva componente ambient, unita con chitarre timide di supporto ed effetti rumoristici ormai prevedibili; ma il pezzo rimane piacevolmente assimilabile.
Get All That You Deserve si incentra inizialmente sul pianoforte ripetuto che scandisce un'atmosfera cupa e visionaria, ogni tanto le chitarre accennano delle distorsioni riverberate che generano un effetto straniante mentre un leggerissimo strato elettronico accompagna il tutto; verso metà la canzone esplode in un drone/noise claustrofobico.
Infine la titletrack Insurgentes è un toccante brano di pianoforte arricchito da inserti atmosferici che esaltano la sensazione di quietitudine di sfondo, mentre il koto di Michiyo Yagi aggiunge un tocco di esotismo, che fortunatamente non suona kitsch o manieristicamente "cool" poiché dosato con cura e attenzione, evitando ridondanza o sbrodolamento.

Nella versione ad edizione limitata sono presenti anche in un secondo cd delle bonus tracks; svettano Port Rubicon (un mix angosciante simil-post metal di refrain drone-doom macabri e passaggi minimalistici quasi silenziosi), Puncture Wound (fra psichedelia, tratti goth, distorsioni stranianti e fraseggi a la Marillion) e The 78 (cupa elettronica futuristica unita a dissonanti sferzate metallizzate acide ed aliene), mentre Collecting Space è un semplice pezzo melodico senza lode e senza infamia e Insurgentes [Mexico] è una variante più celestiale della titletrack.

Il disco è ben scritto ed eseguito, non è certo geniale e non introduce grandi novità puntando piuttosto a stupire con la "catchiness" stilistica (anche se qualcuno griderà lo stesso al miracolo), ma Wilson è abile nello sfruttare il proprio "pedigree" musicale e la propria personale vena creativa per azzeccare i fraseggi giusti, i refrain più intriganti, le strutture più corpose per catturare e affascinare con le sue intuizioni melodiche. I nei sono l'eccessiva auto-indulgenza mostrata occasionalmente, come la tendenza a dilungarsi troppo ogni tanto su dettagli artificiosi, a scapito magari di un'idea più convincente ma lasciata in secondo piano.
Il tutto nel complesso fa un buon album, godibile, orecchiabile, piacevole da ascoltare come sottofondo notturno. Ma non un capolavoro.

Consigliatissimo in ogni caso ai fan irriducibili di Steven Wilson e dei Porcupine Tree, che ameranno molto di questo disco.

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