Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Genere: 
Etichetta: 
Fiction
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Harry McVeigh - Voce, chitarra

- Charles Cave - Basso, cori

- Jack Lawrence-Brown - Batteria

Tracklist: 

1. Is Love

2. Strangers

3. Bigger Than Us

4. Peace & Quiet

5. Streetlights

6. Holy Ghost

7. Turn The Bells

8. The Power & The Glory

9. Bad Love

10. Come Down

White Lies

Ritual

La proterva e onnipresente critica musicale nell' ultimo decennio si è dimostrata sempre pronta ad accogliere a braccia aperte nuovi modi di suonare, meglio ancora se i protagonisti sono giovincelli di belle speranze in cerca di qualche fanzine pronta a pubblicizzare la cosiddetta band sotto l' etichetta di best new music. Allo stesso tempo sanno calcare severamente la mano quando si tratta di gruppi non graditi, o peggio ancora di gioiellini protetti da altre riviste. Una guerra, dunque, che ripone nell' eccessiva sponsorizzazione o nell' esagerata stroncatura l' arma da fuoco più temibile. Curioso il destino riservato a gruppi come i White Lies invece, destinati ( o meglio condannati) a navigare nel limbo dell' incertezza, sospesi tra dischi graditi ed altri meno. Difficilmente alla lunga vengono ricordati, anche perché magari una loro canzone sull' Mp3 ce la mettiamo pure delle suddette band ma sono davvero poche le persone pronte a dichiararsi loro fan sfegatati. A proposito dei londinesi ci troviamo a recensire il loro secondo episodio, Ritual. Nato sotto una buona stella, considerando che a produrre il disco vi è Alan Moulder, storica faccia di shoegaze e rock, alle prese in passato con gruppi del calibro di Jesus and Mary Chain, My Bloody Valentine e The Smashing Pumpkins.

Preceduto da quel To Lose My Life, che nonostante possedesse suoni riciclati e adottati con dovizia di effetti pop suscitò l' esaltazione di taluni, già pronti a spacciarli per i nuovi U2 ( la hit Farewell to the Fairground, ruffiana ma convincente, è la sola prova che possa far risalire allo stile di Bono e compagni) o altri, Ritual ripete imperterrita la parabola artistica del trio, rincarando addirittura la dose. Il problema è comunque sempre lo stesso, la mancanza di una personalità forte e ben delineata, ma soprattutto di un progetto che sappia fare la differenza rispetto agli altri gruppi emergenti. I ritmi e le melodie obsolete ben inquadrano la penuria di idee dei White Lies, che con questo nuovo atto sembrano perfetti per fare la parte di eterni fantocci, sicuramente ancora non degni di sostenere un concerto come band principale. Joy Division, Editors, Interpol, Killers: le fonti da cui si abbeverano sono identiche rispetto al primo album, ed anche la musica che ne esce fuori compie ripetuti slalom tra new wave, post-punk ed elettronica davvero senza alcun senso. Se le inventano di tutte per riuscire a suonare cupi, tenebrosi, per fare 'quelli strani' insomma. Ma i fumi di Londra si sono diradati negli anni '80, e la nascita di britpop e britrock ha contribuito a scandagliare altri tipi di suono. Risultano quindi persino inappropriati i White Lies, attorno al cui nome si era andato a creare un alone di hype inspiegabile. Ritual, per iniziare ad analizzare il nuovo materiale, è un polpettone composto da cori e improbabili inni dal gusto prevalentemente pop, farcito di una pesantezza elettronica dettata dai sinth, adottati in maniera massiccia e schematica rispetto a To Lose My Life, sicuramente migliore, soprattutto per l' alternanza di ballate e brani più rock. Qui invece, tranne che per due-tre pezzi ( che manco a farlo apposta sono i più brevi e concisi), sembra di ascoltare un brano unico, un fardello contraddistinto dalla ripetizione degli stessi suoni. Dei men machine che mettono in scena tracce senza sentimenti, esageratamente programmatici negli anthem stilisticamente persino meno interessanti di qualche brano anonimo sparso per il precedente album, come E.S.T. o A Place To Hide.

Come definire altrimenti canzoni come Is Love, che scelgono passi molto spesso appartenenti più al filone scandinavo che inglese per farli concludere in dancefloor anni '80? Ma la sfortuna vuole che i White Lies si compiacciano di questi passi al limite del masochismo, proseguendo quindi con la loro cavalcata solenne ed imponente a forza di ritornelli. Strangers sembra suonata dagli Hurts più che da loro, non fosse per quella suite orchestrale inappropriata che il duo pop, ne sono certo, non si sognerebbe mai di inserire. Fasci di luce nel bel mezzo della notte, Bigger Than Us piace per la sfacciataggine e le chitarre, per la prima volta taglienti e nel vivo della musica. Peccato solo che i ventuno minuti spartiti in maniera quasi equa di Peace & Quiet, Streetlights, Turn The Bells e The Power & Glory vanifichino il precedente bagliore, riportandosi sui binari delle prime due tracce. Ed apparendo spente ed inoffensive ( Peace & Quiet) oppure così old style da uscire dal contesto ( Streetlights). Turn The Bells poi pare un riempitivo bello e buono, che associato alla maestosa pochezza di The Power & The Glory ( da censura dopo il primo minuto e mezzo) vanno a rappresentare l' emblema di una disfatta preannunciata, visto la strada apertamente intrapresa dal gruppo di suonare come i Depeche Mode in versione rock. Pezzi come Holy Ghost e Bad Love scorrono persino piacevoli, sembrando almeno in apparenza un tentativo di concretizzare il teorico pathos emotivo accumulato grazie al resto del disco.

Veder descrivere poi questo disco come un simpatico disco di B-side, con tanto di sufficienza annessa, porta a chiedermi con quale faccia il giornalista si senta in grado di consigliare un disco del genere, considerato soprattutto che di gruppi dello stesso genere dei White Lies ce ne sono a profusione, la maggior parte delle quali almeno più coerente. Il fatto è che d' ora in avanti dovremo pensare ai londinesi come a delle copie di band più meritevoli: odiabile in particolare il loro attaccamento alle hit da stadio. Ritual riesce a far perdere anche quel briciolo di passione e di animo che il trio aveva messo nel disco d' esordio, risultando come un collegamento inappropriato tra i gruppi citati in apertura e il panorama elettronico odierno, visto che si tratta più di volgari effetti di sinth da spazzatura che di altro.

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