Voto: 
4.5 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast
Anno: 
2012
Line-Up: 

- Karl Sanders - Voce, Chitarra, Basso
- Dallas Toler-Wade - Voce, Chitarra
- George Kollias - Batteria

Guests:
- Jon Vesano - Voce

Tracklist: 

1. Enduring the Eternal Molestation of Flame
2. The Fiends Who Come to Steal the Magick of the Deceased
3. The Inevitable Degradation of Flesh
4. When My Wrath Is Done
5. Slaves of Xul
6. The Gods Who Light Up the Sky at the Gate of Sethu
7. Natural Liberation of Fear Through the Ritual Deception of Death
8. Ethno-Musicological Cannibalisms
9. Tribunal of the Dead
10. Supreme Humanism of Megalomania
11. The Chaining of the Iniquitous

Nile

At the Gate of Sethu

Dopo due lavori di mestiere quali Ithyphallic e Those Whom the Gods Detest, che mostravano un gruppo non all'altezza delle eccellenti prove degli album precedenti, i Nile tornano nel 2012 con il settimo full-length At the Gate of Sethu, pubblicato il 29 giugno per la Nuclear Blast, deludendo fortemente le aspettative di coloro che speravano in un ritorno in piena forma del combo americano e confermando invece un progressivo declino creativo della band che trascende ormai il mero adagiarsi sulla formula coniata con il capolavoro In Their Darkened Shrines.

At the Gate of Sethu, infatti, è addirittura un netto passo indietro rispetto a quanto fatto dalla band finora: i Nile di questo album non sfoggiano più il terrificante death metal brutale che li ha resi celebri nel panorama metal odierno, bensì propongono undici insapori composizioni senza un briciolo della solenne tragicità che permeava gli episodi migliori della carriera del gruppo, sulla scia dei mediocri complessi di metal estremo tecnico dei Noughties. E come tali complessi, anche i Nile finiscono per sfruttare nel modo più superficiale le influenze che rendevano unico il loro sound: gli arrangiamenti e i riferimenti alla musica egizia divengono ora elementi inseriti forzatamente alla rinfusa in composizioni totalmente avulse dal sapore orientaleggiante di tali interventi, compiendo proprio gli stessi errori dei più amatoriali gruppi di metal estremo attuali. E forse proprio per adattarsi a questo trend, i Nile rinnegano pure il caratteristico, per quanto monocorde, basso growl gutturale, sfruttando registri più alti ed esibendosi perfino in imbarazzanti prove in pulito (ormai un "must" per ogni complesso di progressive-death metal che si rispetti) che appaiono quasi come un'autoparodia dello stile sontuoso di capolavori del calibro di Unas Slayer of the Gods.
Come se non bastasse, i brani di At the Gate of Sethu (che già non brillano per idee efficaci o anche semplicemente per strutture accattivanti) sono soffocati da una delle produzioni più piatte e scadenti che i Nile abbiano mai adottato (che talvolta ricorda perfino quelle lo-fi di certo thrash metal), che contribuisce a rendere l'album più prossimo alle uscite dell'odierno death metal tecnico, piuttosto che a quelle delle brutali opere precedenti, portandolo a contendersi la palma con Ithyphallic per il titolo di peggior lavoro mai registrato dai Nile.

Ciò che non cambia dalle precedenti release è l'innegabile competenza tecnica del trio, ma è triste assistere alle sterili gare di velocità della solistica in Enduring the Eternal Molestation of Flame e in The Inevitable Degradation of Flesh, o ascoltare tra strutture e riff così poco ispirati gli inserti acustici orientaleggianti che fanno capolino per pochissimi secondi (e in modo inevitabilmente fuori luogo) in The Fiends Who Come to Steal the Magick of the Deceased o When My Wrath Is Done, alla luce di ciò che il gruppo ha dato e significato per il death metal del nuovo millennio. L'unico accenno di continuità rispetto allo stile esotico dei full-length precedenti è dato dai mini-brani Slaves of Xul e Ethno-Musicological Cannibalisms, che riprendono la tradizione dei brevi inserti folkloristici mediorientali che parte fin da Among the Catacombs of Nephren-Ka, ma appaiono più come un rimaneggiamento manieristico dei soliti stilemi assistendo alla piattezza stilistica di brani strabordanti di stereotipi come The Gods Who Light Up the Sky at the Gate of Sethu, Natural Liberation of Fear Through the Ritual Deception of Death e Tribunal of the Dead. Supreme Humanism of Megalomania sembra perfino emulare i fraseggi melodici della scuola estrema svedese, prima di lasciare spazio alla conclusiva The Chaining of the Iniquitous, forse l'unico episodio del lavoro a conservare un po' della grandezza passata, anche perché l'unico che riesce a conciliare a dovere il grandioso lavoro di arrangiamento sinfonico con le strutture death metal.
Ma alla conclusione dell'ascolto, anche un pezzo simile non sembra che una versione sbiadita di idee espresse con ben altra intelligenza in diversi altri album, e At the Gate of Sethu non è altro che un lavoro che naviga ben sotto la mediocrità. Di certo più apprezzabile da coloro che hanno preferito la svolta più oltranzista di Annihilation of the Wicked allo stile imponente di In Their Darkened Shrines, At the Gate of Sethu rimane in ogni caso una cocente delusione.

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