Voto: 
7.9 / 10
Autore: 
Petra Savic
Genere: 
Etichetta: 
Miasmah
Anno: 
2011
Tracklist: 

1. Karcist (02.43)

2. Le Bateleur (07.29)

3. Opkropper (03.11)

4. Petite Grimoire (04.21)

5. Wrak (09.04)

6. Ballet Van de Bloedhoeren (04.36)

7. Girl in a Fishtank (03.38)

8. La Poule Noire (03.49)

9. Balkop (04.57)

10. Satyriasis (07.18)

11. Konker (02.45)

Kreng

Grimoire

Kreng, l'alchemico e oscuro artista belga Pepijn Caudron, è tornato a infestare gli incubi più terrificanti contribuendo, con questo album dalle tinte particolarmente melodrammatiche, alla piccola ma eccellente etichetta Miasmah. A due anni dal suo primo, incisivo e memorabile lavoro, L'Autopsie Phénoménale de Dieu, Grimoire offre già dal titolo una certa impronta esoterica e magica al lavoro intero: i grimori, infatti, sono una tipologia di libri di magia del tardo diciasettesimo secolo, recuperati poi dai movimenti massonici e wicca, che trattavano di demonologia, astrologia, pozioni e contatti con entità sovrannaturali. L'ascolto non sminuisce minimamente le aspettative dalle connotazioni inquietanti ed oscure: gli arrangiamenti dal lessico orchestrale ricordano molto i più celebri lavori di Angelo Badalamenti, le atmosfere sono dense, pesanti e notturne e i vari samples da dialoghi di film e di angoscianti respiri di animali imprezioniscono l'impronta caratteristica del misterioso artista belga.

Karcist cala senza via di scampo nell'atmosfera: come in uno scorcio di Silent Hill, dei pesanti e faticosi respiri fanno strada ad una base dark ambient scurissima, con suoni di maneggiamenti di oggetti e di passi, una voce che sembra provenire da un malconcio telefono parla di morte e ci invita ad allontanarci. Il gioco però è ormai fatto e, accompagnati dai tetri respiri di una creatura misteriosa, si viene affidati a Le Bateleur. Non è un caso che il bagatto (giacchè è questa la traduzione di bateleur) sia posto come una sorta di caronte tra l'introduzione e l'inizio vero e proprio dell'album: arcano maggiore della tradizione dei tarocchi, rappresenta il numero uno, l'alchimista, e la preparazione fisica e mentale per il mondo della magia. Uno scuro violoncello accompagna una filtrata percussione dà il perfetto ritmo ad un suono di passo pesante che porta all'inevitabile, con brevi frequenze disturbate, accelleramento del ritmo, e subitanea ricaduta nel lento e inesorabile percorso verso l'ignoto. Le note sparse e incongruenti di piano rendono l'atmosfera ancora più glaciale, l'alternarsi di sfondo di lineari sassofoni baritoni e soprani senza melodia e ritmi tanto più incalzanti quanto sporadici contribuiscono all'ultima parte del brano, chiuso violentemente da un fruscio.
Opkropper è a tutti gli effetti un brano di musica classica moderna, minimale con il suo contrabbasso e un violoncello sempre più melodioso, ma impreziosito da eleganti sezioni d'archi e un cantato soprano, il tutto ricordando molto lo stile dei Dakota Suite. Sempre su toni minimali di pianoforte si passa a Petite Grimoire, momento in cui l'ascoltatore può rischiare di rilassarsi, se non fosse per la non indifferente suspence degli archi e dalle atmosfere che tanto ci hanno traumatizzato da piccoli con il Fantasia della Disney. La seguente Wrak, il brano più lungo dell'album, fin dal titolo connota un qualcosa di terrificante. In olandese, infatti, significa 'decrepito', offrendo così le stesse, terribili premonizioni dell'ingresso in una casa abbandonata in cui per certo ci attende qualcosa di terribile e oscuro, con i suoi archi incalzanti, il suo accavallarsi di tromboni e pesanti percussioni, di samples di forte vento e di una certa sconnessione nei suoni, come un cuore che palpita terrorizzato e disordinato. Un sassofono violentissimo, dal sapore free jazz, non fa che aumentare la tensione ormai alle stelle. Gli strumenti sono un turbine sconnesso, la regolarità incalzante ricca di suspence degli archi non fa che impedire di tornare indietro, di mettersi in salvo.. Eppure, di tutto, rimangono solo loro, sempre più sfumati, tanto che ci si ritrova a metà brano con un impercettibile tappeto di pianoforte, a guidarci nella notte silenziosa. Ballet Van de Bloedhoeren (Il balletto delle sanguinose puttane, che già dice tutto) si apre in pieno stile barocco, con archi e clavicembalo, a dare un'altrimenti impossibile regalità alle macilente prostitute di qualche bassofondo decadente.
Si torna, però, immediatamente all'indistinguibile tappeto dark ambient, risvegliato da malinconici archi, violentemente soppressi da un drone industriale per la seconda metà del brano. Il silenzio ci lascia ad una bizzarra visione, Girl in a Fishtank, immediatamente caratterizzato da un qualcosa di subacqueo, con suoni più distanti e rarefatti. Dei distortissimi soprani sembrano sirene in lontananza, cupi suoni sferraglianti ricordano una nave che affonda, e le brevissime sezioni di archi offrono uno spiraglio di luce scura in un contesto altrimenti nerissimo, dai contorni assolutamente indistinguibili, come se fossimo in un vecchio sottomarino, mentre il mondo fuori è desolato e distrutto. La Poule Noire (La gallina nera), titolo dell'incalzante brano successivo, riporta nuovamente alle tematiche esoteriche dell'album: la gallina nera, infatti, nel medioevo, veniva sotterrata come sacrificio da farsi per ottenere un patto con Satana. Un delicatissimo tappeto di archi tremolanti e di percussioni rarefatte ma non meno glaciali lasciano progressivamente spazio a battiti più forti, di passi pesanti, di archi più corposi e acuti. Il tutto diventa ancora più poderoso con le corde degli archi strimpellate velocemente e la percussione suonata con le dita, a dare un senso di fretta e impelleza, che sfuma nel finale drammatico con un violino malinconico e solitario. Balkop ha ritmi lenti da rito magico, con un tappeto di canto tradizionale tuvano prima più lontano, poi più vicino, fino ad abbandonarci a sparse note di contrabbasso e suoni un po' industriali, offrendo un senso di desolazione, con un improvviso singhiozzo disperato di violoncello a chiudere.
A riprendere dal sobbalzo, Satyriasis attacca in modo delicato, ma il crescendo di archi sfociante poi in convulse percussioni rimette sull'attenti: un bosco notturno, con suoni stilizzati di cicale, è esattamente quello in cui ci si sta inoltrando. Sebbene regni il silenzio, è inevitabile che si sentano dei suoni misteriosi in lontananza e, proseguendo piano piano, ci si abitua all'oscurità con archi inquieti in sottile crescendo e decrescendo. Tuttavia, non siamo soli: le mani di un qualche orco, che possiamo identificare in un pesante momento di pianoforte, fanno risalire l'adrenalina, e suoni di altre mani che frugano, veloci, avide, inarrestabili iniziano a farci scappare, correndo al ritmo della percussione e degli archi ora fittissimi e inesorabili. Il bosco ormai si dirada, si rallenta, il peggio forse è lasciato alle spalle: Konker è una probabile catarsi, davanti si spiana una radura, ma ancora perseguitano i canti di sirena e i rumori indistinguibili provenienti da chissà dove. Quando ormai sembra che sia tutto finito, che non ci sia più nulla da temere, all'improvviso una voce tanto calma quanto assolutamente inaspettata ci invita a continuare a stare attenti. C'è qualcosa di sadico, il respiro pesante dell'orco fa piangere una ragazzina che forse, eterea e silente, ci ha accompagnati tutto il tempo. Ormai è chiaro: nessuno si salverà, è finita qui. Un improvviso turbine di archi fa salire l'adrenalina ancora una volta, e poi il silenzio: l'incubo (forse) è finito.

Un'esperienza quasi catartica, senz'altro mistica, la perfetta colonna sonora del sogno più brutto che tutti conosciamo ma che nessuno vuole (ri)vivere, un accompagnamento ad una novella e orrorifica Biancaneve sperduta tra tradizionali boschi e bassifondi post-industriali, tutto in un singolo e travagliatissimo percorso. Eccezionale conferma della capacità di Kreng di far vibrare le paure più oscure creando suspence eccezionali, mantenendo uno stile elegante e memore delle lezioni impartite dai migliori compositori di colonne sonore thriller. Lungo al punto giusto, manovre azzeccatissime, un insieme di elementi che eleggono sicuramente il disco tra i lavori più formidabili e inaspettati dell'anno.

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