Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Genere: 
Etichetta: 
Thrill Jockey
Anno: 
2013
Tracklist: 
  1. The Long Night
  2. Renouncer
  3. The Promise
  4. Oceans Don’t Sing
  5. All At Once, The Turning Weather
  6. World Split Open
  7. Easter Island
  8. Coming Out of the Fog
Arbouretum

Coming Out of the Fog

Servirebbe un bamboccione rock (un amico, un fratello maggiore, un collega … tutti ne conosciamo uno) per spiegarci i segreti degli Arbouretum.

Del banco di prova del fatidico ‘terzo album’, quella soglia spaventosa dalla quale comincia una fase di ineluttabili critiche, - con loro - ce ne siamo dimenticati. Già questo non è da tutti. Oltre al mero dato cronologico, chi insomma ha fatto dietrologie sul penultimo The Gathering? Non certo io che lo ho messo senza vergogna alcuna  addirittura all’ottavo posto della mia chart ufficiale del 2011. Gli Arbouretum dunque come negli anni settanta, in cui certi bilanci si tiravano verso il sesto, settimo album?

Oggi che le bands si sciolgono dopo due albums o in eccesso contrario ne fanno otto in cinque anni e neanche è cosa bella starci dietro, gli Arbouretum sembrano un po’ il mistero buffo del rock e questo è ancor più vero se consideriamo che negli Arbouretum c’è del manierismo. Non so quantificarlo bene ma questa cura, questa attenzione estrema alla produzione, questo non distinguere un album dall’altro cela una certa dose di manierismo. Normalmente solo una parvenza di tale ombra, di tale ‘vizio’ mi farebbe disinteressare alla questione dopo un unico ascolto. Ed invece gli Arbouretum ti drogano e non ci si può fare nulla se non arrendersi dolcemente.

Cosa ci direbbe dunque il bamboccione di cui prima? Probabilmente che gli Arbouretum rappresentano oggi ciò che nell’Era dell’Acquario veniva rappresentato da Crosby Still & Nash o da The Band; e  vi dirò: non ha affatto torto. Ma questa è solo una delle intuizioni – per quanto corretta – che si può avere sulla band di Baltimora. L’altra fondamentale – altrettanto evidente ma che il bamboccione ignora bellamente è quella  massa radiofonica popolare – sempre di derivazione passatista - in cui gli Arbouretum affondano i loro denti. Basterebbe esaminare le cover eseguite dalla formazione nel tempo per giungere a questa conclusione. Ma allora di questo quinto album degli Arbouretum non resta null’altro da dire? Niente affatto! Il risultato raggiunto alle orecchie di chi scrive è anzi proprio da ricercare in quell’immedesimazione totale in quella ‘massa’ di cui si diceva poc’anzi e dalla quale act fondamentali del moderno suono americano hanno tratto la loro forza creativa. Due nomi su tutti: Bonnie Prince Billy e Wilco.

Ora che abbiamo delineato l’ieri e l’oggi ponendolo su un continuum temporale assolutamente circolare, cosa resta fuori? Si certo, i discorsi sull’hard, sullo psych, sullo stoner e sul folk. Ma vogliamo rassicurare i bamboccioni ribadendo che nell’economia dell’Arbouretum-sound non è cambiato nulla, anzi, il loro punto deboluccio, quello legato allo spazio jam dilatabile è decisamente migliorato, contenendo quelle code e cromandole a puntino, tutto con ineffabile gusto e senso della misura. Vengono fuori dalle nebbie ancora lindi e pinti gli Arbouretum e ascoltandoli ci sentiamo un po’ tutti bamboccioni rock.

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