Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Etichetta: 
Very Nice Dementia
Anno: 
2010
Line-Up: 

-Joel Downs
-Nicholas Beard

Tracklist: 

01. Eat People

02. Rat Riders

03. Does it a Nap

04. Rot Away With

05. Upon the Fawn

06. Ceck your Baby's Eyes

07. Crypt Toy

08. Waymaker

09. Up in That Ether

10. Let's Adventure

11. Tumor Me

12. That Damn Dawn

13. Small Stream Dry

14. Demon, Listen

15. Dream Eater

Land of Blood and Sunshine

Into the Mystery

Land of Blood and Sunshine: come rimboccarsi le maniche per fare il lavoro che sogni fin da quando eri bambino. Questo duo americano, proveniente da Marshalltown, innanzitutto è uno degli esempi viventi rivelatrici dei metodi da seguire per iniziare una carriera da musicista. Che, detto tra noi, comporterà pure stress pre-album o tour estenuanti, ma è sempre un impiego fortunato, considerato che può sempre capitare di peggio. Quindi, se siete dei cantanti in erba vogliosi di sfondare, ad eccezione delle band indie affiliate a major di tutto rispetto( astenersi quindi Vaccines...), seguite pure i loro passi. In prima battuta bisogna dire che hanno creato una propria casa discografica, assicurando registrazione ed incisione ad una decina di artisti o band, pubblicizzando a livelli di euforia alle stelle il sito della label, da cui si può acquistare dischi e merchandise vario a prezzi modici. Dopo di che, selezionando alcuni brani tra quelli registrati, compongono il loro primo CD, Magick Carcass Ride, nove brani giocati tra percussioni, tastiere e voci indolenzite. Ancora troppo acerbi, soprattutto per la parte canora, ma certamente promettenti, in vista di un miglioramento in sede di produzione. Si creano un immagine dark o comunque oscura, tanto per riuscire a passare osservati( le foto si trovano pure in rete). Iniziano a passare sample dei pezzi, il MySpace ha un buon ritorno in termini di popolarità, e dopo nemmeno un mese inizia la gestazione del secondo album. Che viene pubblicato a fine 2010, e corrisponde al nome di Into The Mystery.

Questo disco, ancora a bassa fedeltà, rimarca pesantemente le prime sfuriate adolescenzialmente pop, per andare a (ri)collegare le giunture tra ritornelli efficaci e suoni spigolosi, facendo sfociare il tutto in emotivi passi di freak folk e psych pop. Si viene trascinati nel bel mezzo di ritmi oscuri dall' ammicamento indie, di danze tribali e riti voodoo, con quella musica che oscilla tra la spenzieratezza di un ballo e una tristezza apocalittica. La mano pesante del garage meno originale accoppiata con una fantasia psichedelica da anni '80. La misteriosa tendenza nel creare un personaggio attorno a sè stessi di quegli anni che torna a far coppia con l' odierno utilizzo di registrazioni lo-fi. Un 4 piste che pullula di pezzi catchy ed altri più ragionati, dal passo e dai requisiti più shitgaze che shoegaze. Ecco, immaginate tutto questo scontrarsi con Ferlin Husky, cantante country degli anni sessanta e settanta, nonchè loro artista preferito. Scecherare ed assaporare, prego. Ciò che ne esce fuori sembra uno di quei pasti frugali tipici di una precisa località, per niente ricercati ma perfetti nella loro semplicità e da prendere d' esempio per la ricetta a dir poco singolare. Amplificando la loro propensione anarchica per il rock veloce e non curante riescono a prodigarsi in ugual misura nella stesura di tappeti dal colore scuro, che sembrano ridefinire i contorni lasciati oscillare in un limbo di indecisione dall' ingenuità di chi soffre dei soliti ( e perdonabili) problemi nel contenimento della melodia efficace. Proprio sotto questo aspetto si nota con facilità dei primi abbozzi di idee per allontanarsi dallo stato di pop band dai brani efficaci ma fini a sè stessi ed approdare ad una forma di psichedelia suonata con fare da indie-rockers. Non stupisce in questo senso la qualità complessiva del disco, che si evolve progressivamente col passare delle tracce.

Eat People parte forte, con una prestazione dell' ensemble energica, che poco o niente ha da invidiare con i primi White Stripes; la voce è sommessa, nascosta tra il turbinio della caotica batteria e nell' inserimento fin troppo classico di chitarra e basso. Con Rat Riders si hanno i primi decisi segni dell' etichetta folk cui loro bisogna addossare. Non che sia un male, anzi, la traccia rende fin troppo bene nella sua sorta di marcia tutta banjo ed amplificatori. Does it Need a Nap rivisita la precedente con l' incedere ossessivo di cui si parlava prima, presentando sverzate indie/pop energiche e decise nei cori. La successiva Rot Away With entra nel campo a bassa fedeltà: il ritmo è tipico precisamente dei Thee Oh Sees dell' ultimo album. Upon the Fawn e Ceck your Baby's Eyes addobbano il disco con un lato country apertamente dichiarato, soprattutto con la seconda, avvolgente ed ipnotica. Centro pieno anche per la tripletta Crypt Toy, Waymaker e Up in that Ether, che ridanno precisione ed essenzialità, in particolare Waymaker, gradevole ballata, e la terza, apprezzabile per la scoordinazione degli strumenti. Il finale, ad eccezione della precisione scolastica di Let's Adventure, con tanto di handclapping barbaro e tastiere al seguito e di una Tumor Me tutta tamburello e lamenti, è riservato a quattro bei pezzi intensi. Le sfuriate di That Damn Dawn sono figlie esclusivamente di Born Again Revisited dei Times New Viking, dettate anche da una maggiore enfasi vocale in gorgheggi e grida varie che i Nostri inseriscono nel cantato. Small Stream Dry probabilmente fà uscire i Land of Blood and Sunshine dallo scantinato nel quale stavano suonando, riemergendo così anche la passione per le ballad di questi due ragazzi. Un grande plauso và soprattutto a Demon, Listen, pezzo febbricitante e voglioso di fare. Si parte con un riverbero di chitarra da fine esecuzione per poi lanciarsi in una corsa squilibrata dove le fonti da cui si abbeverano presentano a turno il conto da pagare: ne escono fuori tre minuti abbondanti di psichedelia puramente pop, ovvero verso - ritornello - verso - ritornello, per esplodere nel finale in una danza demoniaca che ti assale il corpo e te lo fà muovere a proprio piacimento. Si chiude con Dream Eater, autentico cuscino addormenta ascoltatore, dai toni drammatici smorzati nell' ultimo minuto.

Il lavoro risulta, in conclusione, decisamente ambizioso, a partire dai pezzi più veloci fino a quelli influenzati da una certa luna oscura. Creativi, giovani e perseguitori di certi aspetti della musica particolarmente marginali, fatti qui sgorgare in deviazioni dark e psichedeliche. Niente di meglio si poteva quindi chiedere a questo duo, che si diverte a farci assaporare personalissimi collage di musiche a cui è difficile dare un unico comune denominatore. Li attendiamo al varco per futuri esami.

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