Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Genere: 
Etichetta: 
Merge
Anno: 
2011
Line-Up: 

-Jared Phillips - Chitarra, voce
-Adam Elliott - Batteria, voce
-Beth Murphy - Tastiere, voce

Tracklist: 

01. It's a Culture

02. Ever Falling in Love

03. No Room to Live

04. Try Harder

05. California Roll

06. Ways to Go

07. New Vertical Dwellings

08. Downtown Eastern Bloc

09. More Rumours

10. Don't Go to Liverpool

11. Fuck her Tears

12. Want to Exist

13. Somebody's Slave

14. No Good

Times New Viking

Dancer Equired

Il nuovo album dei Times New Viking potrebbe segnare un passo significativo altrettanto importante rispetto ai colossi del genere lo-fi che l’ hanno preceduto. Sto parlando di Rip It Off e Born Again Revisited, ormai due masterpiece dell’ attitudine in questione venutasi a formare perlopiù grazie al coraggio ( è proprio il caso di dirlo) di gruppi di amici che in barba alle regole del music business non sono maestri nell’ uso degli strumenti ( pensiamo ad esempio alla chitarrista delle PENS che ha dovuto improvvisare durante la registrazione del loro album rappresentativo, Hey Friend What You Doing?), steccano continuamente quando azzardano note alte ma soprattutto incidono dischi per puro divertimento. Qualcuno ha pure successo: prendiamo ad esempio Best Coast e Male Bonding ( già sotto etichetta Sub Pop quando hanno inciso Nothing Hurts, successo del 2010), oppure Cloud Nothings e Apache, tanto per citare band di generi opposti l’ uno dall’ altro. Altri cadono ben presto nell’ anonimato, complici dischi con le stesse ( poche) idee o l’ arrivo di un sempre più interessante nuovo che avanza, come la Kimya Dawson solista, gli Happy Birthday o Frankie Rose con le Outs, sebbene quest’ ultima sia ancora oggi uno dei risultati più soddisfacenti. Dei Vaselines in erba alle prese con la loro personale interpretazione del garage, oppure dei Titus Andronicus in miniatura capaci di comporre suite con la stessa idea di punk. Songwriter sopraffini come i Girls, oppure rocker con in testa dream pop, shoegaze o meglio ancora il noise/pop come Women, Twin Sister o La Sera. Insomma, c’è n’è abbastanza per tutti, basta cercare ( abbastanza in fondo).

In mezzo a questi, i Times New Viking si stanno facendo notare, non solo per una discografia sempre più ampia, ma in particolare per il suono, fatto proprio e portato avanti con coerenza, eseguito dapprima in un negozio di amici e successivamente su disco. Unica l’ idea di indie/rock, punk e garage che portano a noi attraverso le note grezze, sporche e dotate di una ingenuità diretta e scanzonata e prepotente al tempo stesso. Riprendendo a titolo d' esempio i due ultimi lavori, dove sicuramente adottano registrazioni adatte ad una degna incisione su disco, se ne possono apprezzare le indubbie qualità di composizione, e la varietà di influenze da cui questo progetto deriva. Rip It Off è, passatemi il termine, una futura pietra miliare per il panorama indie e lo-fi, perché immaturo( l' intro e l' outro sono infatti dedicati ai sogni dei ragazzi), figlio del rock alternativo, del garage, con chitarre fuzz annesse, e di una nuova forma di noise, quella che è di casa alla Slumberland Records, per intenderci. Born Again Revisited si priva di gran parte del rumore prodotto per andare a suonare come un disco più quadrato, asciutto e concreto del precedente. Eseguito soprattutto con maggiore audacia e consapevolezza di se e dei proprio mezzi l' album farà accollare ai tre americani pure una nuova etichetta, quel shitgaze che comprende un pò tutti i generi sopracitati.

Premiati, elogiati, esaltati da una stampa in cerca di nuovi idoli da mettere sulla bocca dei teenager intraprendono con Dancer Equired un nuovo percorso, gradito da alcuni e bocciato( anche se non apertamente) da altri. L' elogio alla lentezza, più che al silenzio, che sta colpendo il mercato discografico in questo inizio 2011 investe, anche se in maniera del tutto particolare, considerando sempre che stiamo parlando di un gruppo rock, i Times New Viking proprio quando si son trovati alle prese con il loro quinto album, definito da alcuni addirittura come di transizione e sperimentazione. Concordando sul secondo termine ma molto meno nel primo, mi trovo a parlare di un gruppo cresciuto a vista d' occhio, invecchiato come solo i migliori vini sanno fare dopo aver intrapreso una strada tutta loro. Così come gli Smith Westerns, lasciano la sicurezza rumorosa del lo-fi per approdare ad un indie/rock degli albori, assomigliando a nomi come Beat Happening per ciò che concerne il suono ed il cantato( pur suonando in maniera più cristallina) e Deerhoof per l' interpretazione ed il minutaggio delle tracce, oppure, portando altri riferimenti, ai Sic Alps per l' avanguardia del garage alla White Stripes oppure alle derive hardcore-punk dei No Age. Quattordici brevi tracce, evolute grazie alla chitarra ed alle tre voci, in particolare quella di Beth, mai così presente.

Possiamo facilmente riconoscere in questo disco in due diversi tipi di canzone: in termini di sostanziale parità, scorgiamo brani più elaborati e nuovi per il loro repertorio, giocate maggiormente sulle tastiere e su un' andatura pop davvero insolita per loro; altre tracce servono da collante con le uscite passate, venendo suonate con la verve a loro usuale. Curioso il fatto che del primo lotto faccia parte anche il primo singolo estratto, a testimonianza del nuovo credo diffuso in casa Times New Viking, considerando che in It's a Culture li possiamo benissimo riconoscere: come una roccia, rovinano su tutto e tutti, urlando e sbraitando. Sta diventando una cultura - continua il testo - scappiamo dalla fatica e dalla pazienza, cosi noiosa. Sta diventando una cultura: sanno benissimo a chi li paragonano, sanno altrettanto bene cosa stanno diventando. Le note scorrono rapide, e tra piacevolissime ballate( No Room To Live su tutte), gradite consuetudini ( Try Harder) e passioni per le Vivian Girls( California Roll), si approda a brani saporiti come Ways To Go e Don't Go To Liverpool, giocate su cori da oratorio e tastiere in maniera maledettamente efficace, oppure a tracce dalla corporatura più robusta che di nome fanno New Vertical Dwellings e Want To Exist, quest' ultima con eccessi di carineria indie perfetti. Fuck Her Tears insegue a tutta velocità le quote rosa del genere, rivisitando il tutto in chiave britrock, mentre Somebody's Slave e No Good concludono il disco interpretando la parte della ballata( la seconda è acustica) dal mood continuo in cui è difficile non immedesimarsi.

Per come era stato introdotto, questo Dancer Equired aveva fatto pensare al peggio. La verità è che bisogna leggere l' album nella maniera giusta. I tre ragazzi, stufi di essere etichettati ad un' attitudine come quella lo-fi, che molto spesso, non lo dimentichiamo, è accompagnata da livelli di scetticismo alle stelle, suonano qui in maniera incredibilmente melodica, alternando addirittura brani tra di loro diversi, vestendo i panni del musicista indie ma all' occorrenza anche pop. Mettendo in scena, insomma, un disco cristallino contenente molte possibili hit, inscenando sing along al posto giusto nel momento giusto. Sorprendenti.

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