STORIA DELL'ELETTRONICA II

DAL ROCK ALL'ELETTRONICA (E VICEVERSA)



Con l’arrivo del nuovo millennio la musica elettronica non ha potuto far altro che elevarsi in un’interminabile ondata di rinnovamento e trasformazione, smussando, fondendo e personalizzando gli elementi di tutte le tendenze sintetiche sorte nel decennio precedente in un’ottica ancora più moderna. Come i ‘90s, anche gli anni 2000 hanno visto il progressivo avvicinarsi all’elettronica da parte di artisti provenienti dai background musicali più disparati; su tutti (proprio perché i più inaspettati e peculiari) i norvegesi Manes (passati con How the World Came to an End dal black metal delle origini ad uno straniante mix di trip hop, alternative e breakbeat) e soprattutto i connazionali Ulver, band colonna portante del black metal scandinavo che si è progressivamente aperta alle più ricercate soluzioni sintetiche moderne, costruendo col gioiello Perdition City una strepitosa simbiosi di elettronica, jazz e trip-hop tuttora riconosciuta e apprezzatissima da critica e fan. Altrettanto inaspettata ma sicuramente molto (ma molto) meno riuscita, è stata la conversione sintetica di Maynard James Keenan, leader di Tool e A Perfect Circle cimentatosi in un bizzarro progetto elettronico chiamato Puscifer che ha esordito nel 2007 col discusso V is for Vagina, esperimento industrial/trip hop abbastanza scadente che ha non poco fatto scendere le quotazioni del rinomato artista statunitense.
Inizialmente tra i simboli del pop britannico d’inizio anni ’90, i Radiohead di Thom Yorke sono in ogni caso l’esempio più lampante e fascinoso del grande richiamo che l’elettronica ha costituito per gli artisti pop e rock del nuovo millennio. Dopo il grande passo in avanti stilistico sperimentato nel 1997 con Ok Computer, i Radiohead hanno dato vita a quello che viene tuttora ricordato (a parimerito col precedente) come il loro album più rappresentativo e particolare: Kid A (2000) è un capolavoro decadente in cui il pop ricercato e intellettuale del combo britannico viene digitalizzato e assorbito in una commovente cerimonia elettronica, unica per la raffinatezza compositiva e per lo spleen che trasuda da ogni sua traccia (Idioteque rientra di diritto tra le migliori canzoni elettroniche della storia). Altra postazione d’onore è riservata a John Frusciante, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers e compositore solista di tutto rispetto, come dimostrano lo straniante cantautorato lo-fi di Niandra LaDes and Usually Just a T.shirt e il particolarissimo A Sphere in the Heart of Silence, disco in cui Frusciante ha raccolto e reinterpretato in maniera “rock” le influenze elettroniche assorbite col tempo, dando vita ad un’affascinante opera sospesa tra ambient, divagazioni cosmiche, beat leggiadri e una profonda atmosfera da metropoli irreale.
Un personaggio che questo percorso l’ha intrapreso al contrario è stato Matt Elliott, ex-frontman dei bristoliani Third Eye Foundation – progetto con cui sperimentò un ipnotico mix di d&b, IDM lo-fi e ambient (incastonato nelle sue due perle Ghost e You Guys Kill Me) – e dal 2003 in poi cantautore solista riflessivo e decadente, oltre che sempre più lontano dall’universo elettronico che lo aveva lanciato nel 1996. Moby si è invece sempre più proiettato verso una contaminazione equilibrata ed elegante di pop ed elettronica (downtempo, ambient-techno e acid house principalmente) che gli ha d’altra parte spalancato le porte del successo internazionale, tangibilmente giunto nel 1999 con Play e ribadito nel 2002 e nel 2005 dai meno riusciti 18 e Hotel. Gli anni 2000 coincidono anche con il definitivo salto sintetico attuato dalla già citata Björk, abilissima nel coniare un linguaggio elettronico originale e policromatico, in grado di spaziare con estrema eleganza dal synthpop all’IDM, dalla dance al pop alternativo, dall’ambient sino ad un alienante trip hop: l’atmosfera sperimentale di Vespertine (2001), l’avanguardista “a cappella” di Medulla (2004) e la lucentezza sintetica di Volta (2007) testimoniano splendidamente la versatilità con cui Björk si è inabissata nell’elettronica contemporanea, donandocene una delle interpretazioni più peculiari e d’autore.


 
Björk



 

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