Stornoway + Arbouretum
02/04/11 - Circolo degli Artisti, Roma

Stasera oltre agli Arbouretum suoneranno anche gli Stornoway. Perchè suonano insieme Stornoway ed Arbouretum non lo sapremo mai, sicuramente ci saranno buone ragioni opportunistiche da parte di qualcuno; certo è che una tale differenza di affinità artistiche tra bands è davvero enigmatica.

Gli Stornoway, giovane speranza indie-pop-folk che incide per 4AD e con buone posizioni nelle charts britanniche nel 2010 sono bravi e simpatici ma ritrovarsi dopo l'esibizione degli Arbouretum (che hanno anche suonato per primi!!) circondati da ragazzini efebici - per la maggior parte turisti inglesi in vacanza a Roma accorsi per i loro beniamini - dopo le lunghe barbe e la flanella dei quattro di Baltimora, è un pò spiazzante.

Il primo ad entrare sul palco è il bassista Corey Allender, quindi il leader Dave Heumann e le due new entry Matthew Pierce, che si posiziona dietro il piano elettrico ed il batterista Brian Carey. Con tutti questi camicioni a quadri, se non fosse per Pierce che oppone un'aria pulita da giovane dottorino, potrebbe essere il palco degli Screaming Trees.

Si comincia con When Delivery Comes dall'ultimo album, raccolta e rarefatta. La voce ipnotica di Heumann sembra fermare tutto quello che c'è intorno e i pochi avventori (tali sembrano le poche persone sotto il palco disinteressate al maxischermo in giardino che trasmette Milan-Inter) che non conoscono Arbouretum, restano immobili, stupiti, avvolti dal calore valvolare che emanano gli strumenti.

Segue White Bird, più aperta e solare e con la sua lunga coda-assolo; già dalla seconda canzone siamo tutti completamente conquistati ed un pò inebetiti: teste che ciondolano, piedi che battono, occhi sgranati ed entusiasmi inaspettati di un pubblico sorpreso da sè stesso, incapace di trattenere gridolini di approvazione. Un coinvolgimento maggiore sembra impossibile, eppure siamo solo agli inizi: ci penserà Empty Shell a farci ricredere. Il brano è uno tra i più trascinanti dell'intera discografia degli Arbouretum e l'intro stoner di chitarra, insieme ai rumori atmosferici prodotti da Pierce con le sue scatolette analogiche posizionate sulla tastiera, preparano il terreno al vero brano che poi cambierà completamente, trasformandosi in un country agli steroidi che ci scaraventa indietro nel tempo e che non termina con la sua 'fine ufficiale' poichè il batterista continua da solo il suo tam-tam, accompagnato anche da Pierce che a lato della tastiera ha un tamburo.

In Waxing Crescent la voce di Dave Heumann, grazie anche ad un microfono pesantemente effettato, si trasforma in quella di un Chris Isaak degli Appalachi; una ballata con notevoli implicazioni psichedeliche sulla coda, impossibili considerando la dimensione da 'crooner' del brano, ma cosa è impossibile a musicisti cosi?

Quando arriva Highwayman, la cover di Jimmy Webb, è legittimo pensare che The Gathering lo si suonerà tutto (come è giusto che sia in un tour promozionale di un album uscito da qualche mese) ed invece non è così poichè il brano funge da spartiacque aprendo una fase dell'esibizione più 'slow'.

Cambia il ritmo e cambia anche l'album, passando a quella Signposts and Instruments tratta da Rites of Uncovering, in grado di far godere dell'altra faccia degli Arbouretum, quella più oscura degli esordi e in cui maggiore è l'influenza delle collaborazioni speciali di Dave Heumann come quella con Will Oldham.

La successiva Down By the Fall Line è tratta invece dal successivo Song Of The Pearl, altro brano lento non meno apprezzato dei precedenti e che esalta i suoni particolari della chitarra di Heumann, sempre così tirati, con quegli assoli quasi scolastici nella loro notazione rock eppure così vivi e saturi.

Sempre dallo stesso album è tratta la seguente False Spring, song che denota la capacità paesaggistica degli Arbouretum di disegnare i grandi scenari americani cui si ispirano senza caricarli di quell'angoscia insita in una natura incombente al contrario di molti altri musicisti di area psych-folk. L'assolo finale è atteso come un atto liberatorio anche da chi non sa che ci sarà un assolo finale ma le canzoni degli Arbouretum presentano quasi sempre una struttura dei brani decisamente classica.

Il finale dell'esibizione è affidato alla conclusiva Song Of The Nile, psichedelico commiato da un piccolo viaggio circolare nel mondo degli Arbouretum che conferma la genuinità della band on stage, ne evidenzia maggiormente il lato rock ma lascia intuire le altre delizie nascoste tra le pieghe dei diversi albums, rinnovando quindi la passione di chi già li ama e lasciando un segno indelebile del loro passaggio in chi ancora oggi si chiede dove questi signori del Maryland abbiano parcheggiato la loro macchina del tempo.

Reviewer: 
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