Massimo Volume
Interzona, Verona. 30.11.2013

Il vantaggio scaturito dalla reunion del 2008 dei Massimo Volume, oltre all'ovvia conseguenza di poter ascoltare altro nuovo materiale e non solo il loro repertorio 'storico', è quello di poterli ascoltare ancora dal vivo.
A ben pensarci, di bands dal passato glorioso che si riformano, al di là delle schiere dei fans, quanto ne abbiamo bisogno e soprattutto di quante possiamo dire che i loro acts siano per noi così imprescindibili?

I Massimo Volume rappresentano l'eccezione alla regola.

Ho recensito da poco l'ultimo album Aspettando i Barbari e quindi non vorrei ripetermi né annoiare i lettori cercando di evitare i luoghi comuni - del tutto legittimi - sui Massimo Volume.

Quelle che invece tengo a sottolineare per coloro che non hanno mai avuto il piacere di ascoltarli dal vivo - ma soprattutto a chi invece li ha visti ma da tanto non partecipa ad una loro esibizione – sono le qualità della band che sinteticamente si potrebbero riassumere nella teatrale drammaticità di Emidio Clementi, nella ricchezza cromatica della chitarra dell'ultimo arrivato Stefano Pilìa (mai vista una scelta più appropriata in una band così consolidata) e nella solidità strutturale che la chitarra storica di Egle Sommacal e la batteria di Vittoria Burattini conferiscono al sound.

Tutto sommato nessuna novità a ben guardare, eppure quel senso di continuità che i Massimo Volume sono in grado di dare alla loro opera la rende infinitamente più viva e sincera di tante giovani proposte che proprio questa band identificano come nume tutelare.

E sincerità potrebbe essere una delle parole chiave o forse solo una chiave di lettura dei racconti dei Massimo Volume. Intendiamoci, si tratta di una verità letteraria e quindi sempre giocata sul sottile filo della finzione. Ma parlavo più che altro di una verità artistica. Quella degli artisti senza fronzoli. Quella di un uomo che sale su un palco, sempre più magro e che non ha bisogno di ulteriori parole per incantare il suo pubblico, che del resto – come egli stesso afferma incespicando in un brano – ha sempre pensato che nelle sue canzoni mettesse troppe parole. Quella della fisicità di Stefano Pilìa, totalmente compenetrato nelle sue chitarre che sono tutt'uno con i suoi pedali; i suoni che ne tira fuori sono assolutamente complementari alla 'storia' dei Massimo Volume e la sua capacità – viste le sue tante esperienze come solista o in formazioni sperimentali o con i contemporanei In Zaire, pura psichedelia acida – di disegnare i suoni presenti e futuri della band in un perfetto interplay con il più compassato Sommacal dal pizzicare livido ed ipnotico, non meno del drumming di Vittoria.

Ed il tempo vola con questi nuovi racconti, con questo nuovo 'bestiario' umano a cui siamo già affezionati.

La Cena, Dio delle Zecche, Compound, Vic Chesnutt e Dymaxion Song già sono nostre ormai. Se anche non proponessero più i brani vecchi, non ci mancherebbe comunque nulla, non ne avremmo a male.

Eppure li hanno suonati, con numerosi bis, generosi come solo i grandi artisti sono.

Capita anche a voi di non averne mai abbastanza ad un live dei Massimo Volume? Se snocciolassero i sei albums ufficiali uno dopo l'altro, io starei lì sotto al palco, in piedi, ad ascoltarli tutti senza alcuna remora. Voi no?

Reviewer: 
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