Dredg
28/10/2009 - Blackout - Roma
Piacevole serata al Blackout di Roma con l’ottima performance live dei Dredg, supportati dai nostrani Klimt 1918 e dalla rivelazione a stelle e strisce Judgement Day. Quasi tre ore di concerto a suon di atmosfere e melodie fascinose, tra shoegaze, violini e trascinante alt-rock.





GALLERY DELL'EVENTO

 

Il pubblico romano può dirsi più che onorato e soddisfatto ad aver ospitato l’unica data italiana del tour promozionale di The Pariah, The Parrot, The Delusion, ultima fatica dei Dredg di Gavin Hayes. La performance del gruppo statunitense non ha infatti tradito le aspettative, avvolgendo gli spettatori del Blackout col loro solito, inconfondibile incantesimo rock, anche dal vivo elegantissimo e raffinato.
Ad aprire le danze sono però stati i nostrani Klimt 1918, autori di una prova non proprio entusiasmante, tanto a causa del poco tempo a disposizione quanto per la scaletta decisa dal gruppo: lasciando completamente da parte i piccoli gioielli di Undressed Momento e Dopoguerra, la band dei fratelli Soellner ha concentrato nella ventina di minuti a disposizione alcuni brani dell’ultimo album Just In Case We’ll Meet Again, lasciando anche leggermente spiazzato tutto quel pubblico che si aspettava anche solo una minima riesumazione del “vecchio” repertorio. Atmosfere dolci e sognanti (ma terribilmente derivative) quelle dei Klimt, ancora una volta abilissimi nel dimostrare in sede live il proprio potenziale, riproponendo sul palco – e con la stessa intensità – una musica leggera ed emotiva, sebbene si trattasse di brani estratti da quello che soggettivamente è parso come il loro album meno incisivo e brillante.

Tempo dieci minuti di sound-check e l’atmosfera del Blackout cambia completamente. A salire sul palco sono infatti gli sconosciuti Judgement Day, due fratelli americani poco più che ventenni armati di violino e violoncello; quando le luci si spengono sembra di assistere ad un concerto di musica da camera: melodie soffici e decadenti che si protraggono per un minuto scarso, disegnando un’atmosfera incredibilmente coinvolgente. L’omone seduto dietro la batteria – inizialmente scambiato per l’addetto al soundcheck – si dimostra essere invece il drummer del gruppo, e da questa immediata consapevolezza si incomincia a capire qualcosa: da lento duo d’archi, la musica dei Judgement Day si trasforma infatti in un’indiavolata marcia tra classica e metal estremo, scandita dal continuo sali e scendi tra malinconiche distensioni ambientali e impennate strumentali da head-banging. Perché si può pogare anche sotto le note di un violino e di un violoncello se a suonarli vi sono due musicisti così carichi e ricercati come i giovani fratelli Patzner. L’esibizione è sensazionale e l’intero pubblico del Blackout rimane piacevolmente spiazzato dal sound vigoroso ed emozionante del gruppo statunitense, da loro stessi chiamato “string metal”. Nulla a che fare con Apocalyptica et similia, perché i Judgement Day tirano fuori un vero e proprio spettacolo metal fatto di blastbeat e scariche strumentali urticanti, sebbene sempre intervallate da momenti distensivi estremamente toccanti e interpretati con grande personalità.

Salutati i giovani statunitensi è finalmente il turno dei Dredg che non aspettano un secondo a far impazzire la folla del Blackout, proponendo l’uno dopo l’altro i maggiori successi dell’ultimo disco, a partire dalle splendide aperture melodiche di Pariah e Ireland, fino alle più sdolcinate e pacchiane Gathering Pebble, Mourning This Morning e Saviour, passando per il mood sottile di I Don’t Know e quello più toccante di Cartoon Showroom. Ma il meglio deve ancora venire, perché i Dredg ritirano improvvisamente fuori – nello stesso momento in cui si incominciava ad intuire che sarebbe stato suonato interamente e solamente l’ultimo disco – il travolgente Catch Without Arms, album che nel 2005 aveva sottolineato la matrice più orecchiabile e “pop” del gruppo. La performance (escludendo qualche breve feedback) è stata assolutamente sensazionale e in grado di rendere al meglio la raffinatezza e l’eleganza dei giochi strumentali dei Dredg, capitanati da un Gavin Hayes in forma semplicemente smagliante. Ma la splendida prova vocale del singer non è l’unica nota a favore dell’esibizione dei Dredg, perché anche il resto del gruppo fa la sua parte nella maniera migliore: il batterista Dino Campanella picchiando e sudando come un drummer crossover, il chitarrista Mark Engles disegnando splendide cornici atmosferiche e il bassista Drew Roulette accompagnando precisamente il tutto e intrattenendo inoltre il pubblico romano con stranianti effetti rumoristici industriali tra un pezzo e l’altro. Così si susseguono magnificamente piccoli gioielli come la travolgente Tanbark, Bug Eyes, Catch Without Arms e Ode To The Sun, prima dell’arrivo della vera e propria ciliegina sulla torta del concerto: l’interpretazione live di The Canyon Behind Her, uno tra i maggiori capolavori mai scritti dai Dredg, coglie infatti impreparato il pubblico del Blackout e lo travolge letteralmente con la sua potenza atmosferica che segna d’altra parte l’apice assoluto dell’intera esibizione.

In poche parole, una performance semplicemente perfetta. Avessero suonato anche qualcosa di Leitmotif sarebbe stato il concerto dell’anno ma anche questo è bastato (e avanzato) per sottolineare le potenzialità di un gruppo sempre più unico che raro nel panorama rock odierno.

Paolo Bellipanni

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