Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Massimo Rancati
Etichetta: 
14th Floor Records
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Matthew Murphy (voce, chitarra, synth) 

- Tord Øverland-Knudsen (basso, cori)

- Dan Haggins (batteria, cori)
Tracklist: 

1. Our Perfect Disease

2. Tokyo (Vampires & Wolves)

3. Jump Into The Fog

4. Anti-D

5. Last Night I Dreamt...

6. Techno Fan

7. 1996

8. Walking Disaster

9. Girls/Fast Cars

10.Schumacher the Champagne

Wombats, The

This Modern Glitch

Nel 2007 usciva A Guide to Love, Loss & Desperation, il primo album in studio dei Wombats. Aveva tredici tracce. Di queste, dodici erano potenziali singoli. La tredicesima era semplicemente troppo breve per poterlo essere. Certo nemmeno in quell’occasione deve esser stato difficile sceglier quelli che furono i cinque di lancio (Kill The Director, Lost In The Post, Let’s Dance To Joy Division, Moving To New York e Backfire At The Disco), eppure quel piccolo miracolo di dissoluzione ed inconsistenza non esponeva in alcun punto il fianco a palesi riempitivi.

È proprio dai singoli che bisogna partire per non soltanto ricostruire la storia di This Modern Glitch, ma anche per comprenderlo a pieno. Perchè i Wombats sono una band da singolo (su singolo).

Ben sette mesi prima dell’uscita del disco, col rilascio di Tokyo (Vampires & Wolves), la virata synth-pop del trio di Liverpool era già ben annunciata. La “formula Wombats” a base di melodie dalle sane inesistenti pretese e di versi e coretti virali della miglior specie non pareva però esserne stata inficiata. Tokyo è anzi una dancefloor killer garantita, se non il miglior pezzo di sempre di Matthew Murphy e soci, quantomeno a giocarsela di diritto al ballottaggio con la già citata, celeberrima Let’s Dance To Joy Division. I concordi consensi di fans e critica erano allora più che motivati.

Sui primi albori del 2011 le aspettative erano state poi, seppur con spinta inferiore, caricate ulteriormente dalla chitarra distorta in levare sui primi due minuti di synth questa volta atmosferici di Jump Into The Fog, il secondo singolo, e dall’efficace, ben più vicina alla matrice più prettamente chitarristica dell’esordio, Addicted To The Cure, contenuta nell’omonimo alla prima EP e resa disponibile in free download sul sito ufficiale del gruppo. Quest’ultima non compare però inspiegabilmente nella tracklist di This Modern Glitch.

È comunque ad inizio aprile, col lancio del singolo numero tre, Anti-D, che va fissato il sopraggiungere delle prime perplessità e quindi preoccupazioni. È tra i suoi archi e le sue naturalmente più cupe -perchè pregne dell’auto-deprecazione postuma di un frontman appena liberatosi da una dipendenza da, appunto, anti-depressivi- liriche, che per la prima volta si era iniziato a percepire l’aleggiare anche sui Wombats di quello spettro di una naturale maturazione che, la storia l’ha già ampiamente insegnato, mai sarebbe da augurare ad artisti che fanno dell’attitudine adolescenziale più limpida la loro bandiera: Anti-D è debole, cresce sì, ma mai lascia il suolo, manca d’una qualsivoglia presa. L’arrivo a ridosso dell’uscita del prodotto completo di Techno Fan, altro trendsetter per dj erranti, era parso però relegarla quasi immediatamente ad episodio isolato. Non è così: escludendo la funzionale (e neanche a dirlo, candidata a futuro singolo) Our Perfect Disease, anche il resto dell’album risulta dolorosamente privo di ispirazione e d’un qualsiasi altro highlight. A differenza che nell’esordio, anzi, il divario qualitativo tra esso e le sopraindicate tracce migliori è abissale, l’accoppiata in chiusura Girls/Fast CarsSchumacher the Champagne addirittura risibile, fuori luogo.

I Wombats sono però evidentemente familiari al paradosso non soltanto nell’uso deliberato che ne fanno nei testi. This Modern Glitch ne cela uno colossale. La quadrata, generale insufficienza del disco in sè, la sua inconsistenza questa volta in accezione negativa, sono sì innegabili, eppure i Wombats, band da singoli, ne escono comunque centrando, o quantomeno avvicinandosi con largo anticipo al più alto obiettivo a cui una band da singoli può ambire: già al secondo lavoro ed anche con i soli ridottissimi dardi che esso ha da scagliare, infatti, una signora Greatest Hits potrebbe essere già ipoteticamente possibile. Celebriamo l’ironia. 

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