Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Genere: 
Etichetta: 
dBpm
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Jeff Tweedy
- John Stirratt
- Nels Cline
- Glenn Kotche
- Pat Sansone
- Mikael Jorgensen

Tracklist: 

1. Art of Almost
2. I Might
3. Sunloathe
4. Dawned On Me
5. Black Moon
6. Born Alone
7. Open Mind
8. Capitol City
9. Standing O
10. Rising Red Lung
11. Whole Love
12. One Sunday Morning (Song For Jane Smiley's Boyfriend)

Wilco

The Whole Love

Parto gemellare in casa Wilco, che oltre all' importantissima release del nono album ( ottavo contando solamente quelli realizzati in studio) celebrano la nascita di una propria label, la Decibels per Minute, ragionevolmente abbreviata a dBpm. Una chiara salvaguardia della propria musica, quella del gruppo capitanato da Jeff Tweedy, ben comprensibile andando a ritroso nel tempo. Dove potremo scoprire, o semplicemente ricordarci, che Yankee Hotel Foxtrot, il masterpiece dell' avanguardia rock per eccellenza, rischio di non vedere mai la luce per il volere della Warner records, che dopo aver rotto ogni contatto con la band la costrinse a pagare un ingente somma di denaro per riottenerli in dote. Quell' esorcismo orrorifico memore del disastro americano ma anche di una condizione psicologica del proprio leader non proprio al top ha cambiato per sempre la carriera degli Wilco, e forse anche la concezione stessa di un certo tipo di musica.

Per iniziare a parlare del nuovo disco, intitolato The Whole Love, partiamo da un must del gruppo di Chicago, una delle tante cifre stilistiche capaci di amplificare la propria unicità, ovvero l' artwork. Da sempre, infatti, il fulcro di ogni loro lavoro è stato degnamente immortalato nelle stesse copertine ( o addirittura sulla confezione intera contenente il CD), delle quali sorti si sono occupati, alternandosi, Lawrence Azerrad e Peter Buchanan-Smith, oltre che lo stesso Tweedy. Vero e proprio omaggio all' arte moderna, l' immagine realizzata da Joanne Greenbaum scelta per il suddetto lavoro ricalca in tutto e per tutto il processo di "crescita" attuato, qualcosa di estremamente ed attentamente coerente nel cercare di far evolvere un prodotto di cui ancora non si conoscono gli effettivi risultati, partendo dalle fondamentali radici ( come vedremo, non ci sarà alcuna analogia con il roots-rock delle origini, o almeno non in questa parte) ed arrivando alla chioma, che si costituirà in modo del tutto casuale. I colori scelti, tuttavia, potranno apparire fuorvianti se contrapposti alla svolta ottimistica cui si vuole dare all' album; la combinazione di grigio e nero, rimandante tra l' altro sempre alla tristezza di Yankee Hotel Foxtrot, sarà comunque annullata dai colori vivaci dati alle tre lettere O, rappresentanti la vera cartina tornasole del mood di The Whole Love. Da chiamare in causa il tema riguardante la natura, con gli alberi in particolare, da sempre pallino ideologico dell' ensemble, che già in occasione di Wilco ≤ a ghost is born e Sky Blue Sky aveva scelto come artwork, rispettivamente, un uovo ed un nido per l' alquanto creativo primo album ed uno stormo di uccelli creanti un illusione ottica per il secondo lavoro, coincidente con il ritorno al classicismo rock per i Wilco.

Dal punto di vista musicale, The Whole Love si dimostra un disco assai solido, non proprio eccessivamente visionario però credibilmente capace di interporsi tra il vecchio e nuovo corso. Approfittando infatti di un numero di consensi man mano sempre più basso per l' occasione degli ultimi due album, in cui soprattutto nell' ultimo omonimo si faceva ritorno sempre più prepotentemente nelle lande del roots-rock e dell' americana in generale, in The Whole Love paradossalmente il gruppo - Mai così in sintonia, a detta nostra e dello stesso Jeff - intraprende un vero e proprio slalom tra la loro discografia dal duemila ad oggi, esternandosi molto più difficilmente di quanto la loro musica possa lasciare intendere in un folk-rock reso vellutato e pop da una produzione, a carico di Tweedy e Sansone, a dir poco superba. Facendo riferimento ancora una volta alle due pietre miliari da sempre diretta influenza per ogni uscita del gruppo - Stò parlando ovviamente di Tonight's the Night di Neil Young e 1919 di John Cale - i Nostri infatti trovano in ogni episodio di The Whole Love le dosi giuste per rispettare questa nuova ricetta, che prevede il trattamento in chiave melodica di certe solite uscite richiamanti la musica country e in misura minore la bluegrass più schietta. Osservando poi la struttura data al disco stesso, possiamo benissimo accorgerci che l' immediata lettura relativa all' artwork si è rivelata giusta: a parte le radici e la chioma, rappresentate da due pezzi alquanto particolari lunghi più di cinque minuti, la restante parte del lavoro solo in un' occasione riesce a superare i quattro minuti, rinchiusa com'è al caldo del dolce suono di una chitarra acustica che domina in tutto e per tutto sugli altri elementi. I Wilco, poi, ci devono aver preso gusto, man mano che l' opera si costruiva da sola, riuscendo persino a donare una faccia alt-pop mediante sotterfugi provenienti dalla ambient, arrivando a plasmare il disco, in maniera analoga a quanto fatto dal Beck di Sea Change e dal Thurston Moore di Demolished Thoughts, a loro immagine e somiglianza.

Le fondamenta ed il massimo picco espressivo.

Come annunciato in precedenza, la logica del gruppo americano in The Whole Love è degna di coincidere con la massima ascesa intellettuale risalente agli inizi del nuovo millennio, ricca di spunti riflessivi qual'è. Trattiamo in prima istanza degli estremi dell' album, che costituiscono l' inizio e la fine di questa opera da noi configurata e pensata come un albero, due suite che secondo il percorso introdotto dagli Wilco dovrebbero costituire in ordine le radici da cui muoversi per la realizzazione degli altri episodi e la chioma, massimo punto compositivo e tappa fatidica di non ritorno. L' iniziale Art of Almost svela però solo in parte il contenuto di The Whole Love, dispiegandosi lungo i sette minuti di cui è composta in un volo fatto di leggeri rintocchi elettronici vagamente Radioheadiani ed un andamento essenzialmente pop prima, per poi contraddistinguersi grazie all' assolo di chitarra, accompagnata unicamente dai synth e dalla batteria a scandirne il tempo. Questa opener, più che introdurre il lavoro dal punto di vista dello stile adottato, rispecchia in pieno quel mood facilone ma altrettanto sperimentale e per certi versi ostico di cui si appropierà praticamente ogni traccia. La perla conclusiva One Sunday Morning ( Song for Jane Smiley's Boyfriend) invece persegue tutt' altra direzione, sebbene i toni siano ancora una volta piuttosto dimessi, come sommersi in un' oasi di pace: difficile non pensare agli Yo La Tengo, ma bisogna comunque notare che, nonostante ci sia in comune l' ossessione nell' introdurre ogni strumento possibile all' interno del brano, oltre che la stessa ammiccante tendenza alla bellezza, la versione proposta dagli Wilco risente meno di certe precise geometrie derivanti dal post-rock, risultando molto più godibile in ogni suo verso cantato. Cosa aggiungere, i due momenti cruciali di The Whole Love non risentono affatto della staticità di cui erano stati accusati di fronte agli ultimi lavori, ma anzi nel possibile cercano in tutti i modi, seppur mantenendosi su livelli di qualità medio-alti, di raggiungere una punta di autenticità ed assolutezza forse nemmeno raggiungibili. Ma nonostante ciò, lodevole è il tentativo di Tweedy e soci, che hanno provato a toccare gli astri senza però snaturare la pista intrapresa nell' opera in questione.

La corteccia.

Il secondo indispensabile fattore è costituito dalla corteccia, riguardante ovvero la stesura vera e propria dell' album a cui verrà imposta una tendenza che, almeno per minutaggio, è molto simile a quella dei dischi più immediati. L' architrave composta da un soft-rock robusto fatto filtrare attraverso cunicoli di soffice pop-rock assumerà qui innumerevoli espressioni, tramutandosi per lo più in pezzi inaspettatamente melodici oppure in momenti meno ambiziosi dove si farà avanti il suono degli strumenti principali. Altrimenti, tutto potrà sembrare come un perfetto mix tra le due cose. Questo è il caso ad esempio di brani come I Might - Non a caso primo singolo estratto - o The Whole Love, dove a rallentare le arrangiature tipicamente Byrdsiane si mettono di mezzo graziosi strumenti quali il glockenspiel, oltre a languide tastiere elettroniche. Fondamentale è pure il senso di inerme leggerezza provocata da canzoni come Sunloathe e Black Moon, quest' ultima senz' altro più ricca per la buona sezione di archi finali, a cui in contemporanea si aggiungono Dawned on Me e Born Alone, le più efficaci per il buon tiro power-pop. A far da corredo ci sono infine la beatlesiana Capitol City e le svolte folk di Rising Red Lung accompagnata da Open Mind, ma l' impressione è che i Wilco abbiano dedicato in modo particolarmente pignolo maggiore attenzione a non rompere gli equilibri di quest' opera, sagace nel perseguire con ardore un' alternanza convincente tra pop e rock, per quanto gli interventi alla fine possano risultare meno personali.

La verità, anche secondo i Wilco, stà ancora una volta a metà, e The Whole Love rappresenta in questo senso i due modi di agire di Tweedy e soci, bravi nel destreggiarsi sia con le vecchie corpulente esecuzioni sia con i nuovi standard che il sestetto ha saputo introdurre negli ultimi anni. L' album come compromesso non è affatto male: sacrificando qualche sfarzosa uscita che avrebbe sicuramente donato in coppia con l' opener e l' outro, grazie ad un' innata intuizione il tutto riesce a funzionare grazie alle soluzioni ritmiche sempre fatte approdare nel campo del pop tout court. Possiamo eleggere quindi The Whole Love come il primo vero e proprio ibrido in casa Wilco, un disco che riesce a stregare e riservare buone sorprese sia in versione dottor Jekyll sia in quella da Mr. Hyde, elevando il loro nome sopra a tutti gli altri ancora una volta.

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