Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
DMG
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Brian Welch - voce, chitarra, synth

Guests:
- Archie J. Muise Jr. - chitarra
- Tony Levin - basso
- Josh Freese - batteria

Tracklist: 

1. L.O.V.E. (06:31)
2. Flush (04:26)
3. Loyalty (05:07)
4. Re-Bel (05:40)
5. Home (06:52)
6. Save Me from Myself (05:44)
7. Die Religion Die (05:34)
8. Adonai (05:19)
9. Money (04:43)
10. Shake (04:48)
11. Washed by Blood (09:34)

Brian Head Welch

Save Me from Myself

Prima di trattare più specificatamente di Save Me From Myself, primo album da solita di Brian “Head” Welch, ex chitarrista dei Korn, trovo che sia opportuno sintetizzare le tappe più importanti dalla sua dipartita dalla band di Bakersfield. E’ il 22 Febbraio 2005 quando Head annuncia pubblicamente:

“Ho scelto il signore Gesù Cristo come mio salvatore, e a lui dedicherò le mie prossime ricerche musicali”,

ufficializzando così il suo addio a Jonathan Davis, David Silveira e gli altri pionieri del genere Nu Metal. Sembra un annuncio piuttosto azzardato, un fuoco di paglia frutto di un’indubbia crisi esistenziale dovuta soprattutto alle difficoltà di essere ragazzo-padre, ma non è così: il mese successivo Brian Welch si fa battezzare nel fiume Giordano dichiarando di essersi rinchiuso per ore in una stanza d’albergo nel suo “personale centro di “disintossicazione” con Dio, vincendo così la sua dipendenza dalle droghe e dal “Dio Denaro”. Con questo, però, Head non intende assolutamente abbandonare il mondo della musica:

Mi è sempre piaciuto il fatto che la musica dei Korn abbia aiutato i ragazzi a tirar fuori la propria aggressività, ma con la mia nuova musica, ora, vorrei far capire loro che c'è anche dell'altro là fuori: voglio mostrare loro che c'è una luce alla fine del tunnel del dolore, che non c'è solo aggressività. Voglio dire loro: - ehi, ragazzi, poghiamo e divertiamoci assieme!- "

Nel marzo di quest’anno, infatti, Welch fonda una nuova etichetta discografica, la Driven Music Group, siglando un contratto di distribuzione con la Warner, e annuncia il nome del suo primo album da solita: Save me from myself, omonimo titolo dell’autobiografia uscita nell’estate del 2007. Il progetto solista di Welch, scelto il definitivo moniker di Head, sembra procedere spedito, ma il chitarrista stupisce nuovamente l’attenzione collettiva affermando che “sì, il mixaggio del disco è quasi completo”, ma sta aspettando che Dio gli riveli quando pubblicarlo: esattamente l’opposto di quanto dovrebbe fare chi, approfittando di una incalzante campagna mediatica scatenatasi su un brutale fatto di “gossip” (le virgolette sono doverose per un avvenimento estremamente personale come una conversione, che ci si creda o no), volesse incrementare le proprie vendite commerciali. Il segno divino, comunque, arriva e il 9 settembre 2008 esce nei negozi di dischi Save me from myself: un album dai molteplici risvolti, vista l’importanza preponderante delle liriche e il massiccio apporto di campionamenti elettronici e registrazioni, che certamente non mancherà di far discutere soprattutto coloro i quali non hanno mai creduto all’esperienza quasi mistica di Head, ritenendola solo uno squallido spot, e quanti, allo stesso tempo, l’hanno platealmente infamato per aver abbandonato una band tanto amata e, per giunta, in evidenti difficoltà come i Korn.

Flush, primo singolo estratto, sarà ovviamente fonte di polemiche. Nulla da eccepire dal punto di vista musicale: le linee melodiche sono potenti e penetranti, si insinuano nella testa come un martellio insolente eppure piacevole (il chorus, da questo punto di vista, è quasi “psicotropo”) e sostengono in maniera più che efficace un testo crudo ma, proprio per questo, realistico, che trae dal vissuto personale dell’artista (e dalla sua rinascita individuale) l’esempio più immediato e veritiero a sostegno del suo messaggio quasi didattico.

Fin qui non ci sarebbe nulla di incoerente con quanto dichiarato in precedenza da Welch, non fosse per un video a dir poco scandaloso (nel puro senso del termine, assolutamente privo di connotazioni positive o negative). Prima le note positive: l’inizio e la fine della clip, costellati da testimonianze di giovani vittime dell’abuso di droga fortunatamente redentesi in tempo, esprimono con chiarezza giornalistica l’essenza della missione che Head si è proposto di affrontare, mentre la parte iniziale, durante la quale Welch si mostra completamente incatenato all’interno di una stanza spoglia e metallica, funge da impietosa allegoria della prigionia dalle sostanze stupefacenti e, al contempo, da efficace rappresentazione della terapia da metadone. Le discussioni, però, si accendono inevitabilmente in concomitanza della parte centrale: non tanto nell’occasione in cui, grazie a bruschi negativi, Head si mostra ripetutamente in posizione sepolcrale ed il suo aspetto ricalca, non so fin quanto volutamente, le sembianze (e le circostanze) di Cristo nella Sacra Sindone, ma al momento della comparsa di alcune provocanti ballerine che altro non hanno di meglio da fare che leccare una gustosa polverina rossa (metafora della droga, che insanguina le vite di chi l’accoglie nel proprio letto, o semplice effetto visionario?) e atteggiarsi in pose indubbiamente saffiche. Posso certamente capire la necessità delle case discografiche di montare un video dal facile appeal mediatico (in questo caso piuttosto “sex”…), tuttavia questo aspetto stride palesemente con la natura stessa della proposta di Head, in quanto, ai fini del suo messaggio, non c’era alcuna esigenza di ricorrere ad elementi puramente accessori e scandalistici. Lo spettacolo è indubbiamente macabro e, per pochi versi, gratificante, ma mina in profondità l’autenticità dell’esperienza e delle intenzioni di Head, in quanto, se a suo dire non c’era alcuna alternativa al drastico abbandono dai Korn per seguire al meglio la via del Signore, non si capisce per quale motivo abbia al contrario ceduto, in questo frangente, ad un compromesso che certo non può dirsi d’ispirazione divina. Avendo già letto numerose accuse nei confronti di Welch, ho buoni motivi, oltre alla mia personale convinzione, per affermare che Head sia riuscito a farsi “nemici”, oltre a coloro che non lo perdonano della sua dipartita e quanti lo scherniscono per la giustificazione adottata, anche quelli che ritenevano sinceri i suoi intenti e confidavano nel suo futuro artistico in maniera assolutamente priva di pregiudizi.

Dal punto di vista musicale, tuttavia, alcuni meriti di Welch sono indiscutibili e solamente una facoltà di giudizio offuscata e prevenuta può non metterli in evidenza: nonostante, e forse proprio grazie a, un uso massiccio di sintetizzatori e strumentazione elettronica che lui stesso abilmente manovra, la sua musica risulta d’estremo effetto, tingendo l’atmosfera d’un’oscurità nebbiosa e dissacrante che incute timore e, per certi versi, riverenza. E’ il caso, ad esempio, di L.O.V.E., che si insinua nelle orecchie degli ascoltatori con la grazia giocosa di un sinistro carillon: è solo l’inizio di un crescendo musicale ripetitivo ma efficace, che prosegue in un riff di chitarra preciso e vigoroso e scaturisce in un chorus aperto ed albeggiante.

E’ un Head allo stesso tempo sublime e profetico, il quale, consapevole protagonista di un’esistenza assolutamente drammatica, colloca sé stesso al di sopra delle masse, quasi a livello di dispotico mentore sociale: dopo Flush, di cui si è detto sopra, e la meravigliosa Loyalty (forse il capitolo migliore dell’intero album: a voi la gradita sorpresa), l’evocante Rebel si presenta infatti con un coro di voci bianche cui si contrappone in maniera assolutamente graffiante un propagandistico chorus in scream, per poi culminare in un coro, stavolta, di voci adulte, a sfondo del quale si erge il canto aspro ma non sgraziato di un Welch intimamente scosso.

Dopo Rebel, però, l’album perde drasticamente di efficacia e ripete in maniera personalmente faticosa tutti i temi musicali già ampiamente sfruttati: Home illude con una potente introduzione epico-gotica, nella quale la batteria sorregge possentemente un buon tappeto elettronico, ma si spegne poco dopo in un chorus debole e ormai ritrito (molto piacevole, comunque, il breve intermezzo con delicato sottofondo corale); la titletrack si salva solamente per un ritornello fortemente evocativo il quale, purtroppo, ammicca un po’ troppo esplicitamente alle formulazioni messali; Die Religion Die stupisce per una cattiveria acida e quasi smodata, frutto di una “colta” rabbia anti-religiosa, ma annoia nella sua instancabile ripetitività. Bene invece, Adonai, con un ritmo altalenante che offre la scomoda sensazione di una velenosa filastrocca sotterranea, e Money, duro d’accuse che, seppur in maniera piuttosto sterile, gratifica l’ascolto con un muro sonoro secco ed essenziale, che riduce l’ormai imperante impatto elettronico ad una sola, “fragile” linea melodica. Shake, infine, si fa forte di sonorità pseudo-indiane, molto accattivanti di per sé ma assolutamente fuori luogo in quest’occasione, e di un cantato molto più pacato e sottile (ad ovvia eccezione del chorus), mentre Washed by blood chiude ottimamente l’album con 9 minuti assolutamente esaltanti, che sintetizzano al meglio quanto di buono espresso finora da Save me from myself, lasciandosi piacevolmente introdurre da un grottesco, e proprio per questo delizioso, pizzicato di violini.

In conclusione, per un personaggio così contraddittorio quale l’ex chitarrista dei Korn, il giudizio non poteva essere che altrettanto incerto: la proposta musicale di Head è sicuramente significativa in quanto, scusate il gioco di parole, ha un suo preciso significato, elemento piuttosto raro nella superficialità, per lo meno apparente, del mondo moderno: che il suo messaggio lo si voglia credere sincero o artificiale poco cambia ai fini del giudizio complessivo, in quanto comunque i testi di Welch, se confrontati con la sua esistenza precedente alla scoperta del Signore, sono oltremodo reali e sentiti. Ciò non basta certamente a far rizzare i pollici in totale segno di approvazione, ma le ambientazioni musicali di Head sono così oscure e crepitanti, così macabre e al contempo luminose, come se convivessero in lui (e forse non siamo lontani dalla verità) la rabbia di un passato da rinnegare e la speranza di un futuro da costruire, che è assolutamente impossibile non rimanerne intrappolati. Nonostante una monotonia musicale alle volte quasi estenuante, che può trarre però ispirazione, nonché parziale giustificazione, proprio dall’esasperata condizione dalla quale Welch ha tratto la forza di reagire, Save me from myself è comunque un album valido ed estremamente interessante perché riesce a comunicare con la forza delle parole e delle idee, della musica e dei sentimenti: non è certo cosa da poco.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente