Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Punishment 18 Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Elena Carnevali - drums
- Giancarlo Capra - guitar, vocals
- Davide Mazzoletti – guitar 

Tracklist: 


1. Intro 01:09 
2. The Ghoulish Doctor 04:33 
3. Living Dead Superstition 03:23 
4. Sacred, Puritan Scenario 03:17 
5. Sea Of Darkness 04:07 
6. Lost In The Beyond 05:28 
7. Revenge From A Comatose State 05:01 
8. Timor Mortis 02:58 
9. Underwater Zombie 03:48 
10. Among The Living Dead 05:40

Warmblood

Timor Mortis

Nati dalle ceneri dei Lato Oscuro (band pesantemente influenzata dal death metal Svedese ed autrice di un paio di demo), i Warblood iniziano la loro strada nel 2002. I tre lodigiani con questa creatura, spostano l’attenzione su di un death metal di chiaro stampo statunitense e con chiari riferimenti a bands quali Baphomet o Cannibal Corpse; tuttavia una certa influenza proviene anche dagli iberici Avulsed per il loro approccio morboso, soffocante ed essenziale. Le tematiche sono le classiche del genere, focalizzate sul “gore” e sulla morte per un quadro che lascia poco spazio all’immaginazione. L’esordio ufficiale è del 2003 attraverso la pubblicazione di un promo, mentre  il 2008 vede la pubblicazione del loro album di debutto, Necrocosmos Destination.

Con l’avvento del 2010, i nostri tre musicisti (Giancarlo alla chitarra e voce, Davide alla seconda chitarra ed Elena alla batteria) decidono che è arrivata l’ora giusta per la pubblicazione di un secondo album. Timor Mortis è prodotto dalla piemontese Punishment 18 Records, vera cacciatrice di talenti che non si lascia mai scoraggiare dalle difficoltà della scena nostrana in campo metal. Tale temerarietà mi fa quasi vergognare nel dire che questa volta, tuttavia, essa non ha portato sulla strada giusta dato che la proposta musicale del trio è alquanto scontata e per nulla originale. Le canzoni su questo album mostrano uno stile del tutto statico con pochissime variazioni per un risultato finale che sicuramente non farà gridare al miracolo. Tanto mestiere e tanta conoscenza del genere qui RIproposto non servono a risollevare le sorti del platter in questione.

Le canzoni sono composte da semplici up tempo di batteria e riffs dal groove putrido a sostenere i pig squeals classici gel genere. Alcuni fraseggi di chitarra donano un minimo di varietà alla proposta anche se personalmente ho preferito i vari down tempo, prendendo come esempio quelli su Revenge From A Comatose o State The Ghoulish Doctor, con tanto di fase melodica degna di nota a seguire, ad opera della chitarra solista. A lungo andare questa formula diventerà sinonimo di ripetitività dato che praticamente tutte le composizioni si baseranno su queste semplicissime, banali strutture. La batteria, pur pestando duro, non mostra un minimo segno di cambiamento di stile, i riffs tendono ad assomigliarsi in un susseguirsi di composizioni raramente degne di nota (si fanno notare solamente le melodie della title-track) e la stessa produzione fin troppo “secca” e scarna non riesce a donare una buona profondità al sound dei nostri musicisti.

Come detto in precedenza, dispiace dover dire certe cose e “criticare” l’operato di una band che sta lottando per imporsi nell’underground, ma il compito del recensore è anche quello di cercare di donare un consiglio o appoggiarsi a critiche costruttive. I miei consigli per la band sono i seguenti: cercare di donare più varietà al sound, non lasciarsi a andare a troppe sbrodolature nei riffs e nelle sezioni soliste, velocizzare ulteriormente alcune partiture ed impegnarsi di più per quanto riguarda la sezione ritmica, a serio rischio di immobilismo. L’impegno c’è e spero vivamente che le mie parole non siano equivocate, prendendo come riferimento a  quando in altre recensioni più volte rimarcavo il piacere di ascoltare vari “ritorni alle radici” del genere. Qui la vera mancanza è solamente quella di idee vincenti, nulla di più. Alla prossima, ragazzi. Per ora non ci siamo.  

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