Voto: 
9.4 / 10
Autore: 
Roberto Boasso
Genere: 
Etichetta: 
Epic Records
Anno: 
1984
Line-Up: 

- Stevie Ray Vaughan - Chitarra, Voce
- Tommy Shannon - Basso
- Chris “Whipper” Layton - Batteria

Tracklist: 

1. Scuttle Buttlin’ (01:52)
2. Couldn't Stand The Weather (04:41)
3. The Things (That) I Used To Do (04:55)
4. Voodoo Chile (Slight Return) (07:59)
5. Cold Shot (04:01)
6. Tin Pan Alley (09:11)
7. Honey Bee (02:43)
8. Stang’s Swang (02:55)

Stevie Ray Vaughan

Couldn't Stand the Weather

Un esordio come Texas Flood, dei live come non se ne vedevano dai tempi di Hendrix, un intensità chitarristica seconda a nessuno e pari a quella dei più grandi Bluesmen della storia (Albert King, Buddy Guy od Otis Rush fra i più riconoscibili nel suo sound), Stevie Ray Vaughan era ormai destinato a divenire musicista di fama assoluta.
Il 1984 fu l'anno del secondo disco, Couldn’t Stand The Weather. Tra quell’anno e il precedente si riconosce il primo apice della carriera, il secondo sarebbe arrivato dopo l’intervallo forzato dall’eccessiva adozione di droghe e alcool alla metà degli ’80 - in particolare l’86, con il collasso durante il tour europeo, avvenuto in Germania -, che costringerà l’artista Texano a un periodo di pausa per disintossicarsi. Il secondo apice sarebbe culminato con l’uscita di In Step nell’89.

Couldn’t Stand The Weather si differenzia da Texas Flood per una maggiore varietà d’influenze. In Texas Flood era il Blues a prevalere, in Couldn’t Stand The Weather anche, ma episodi funkeggianti come la title-track (nella quale vi è la gradita partecipazione di Jimmie Vaughan alla chitarra, il fratello del più noto Stevie Ray) o prettamente jazz come la conclusiva strumentale "Stang’s Swang" allargarono gli orizzonti musicali e la versatilità di Stevie, maestro nel rendere “sua” qualsiasi composizione, che fosse un Blues Chicaghiano degli anni ’50, un Rock di Hendrix o un jazz di Kenny Burrell.

Come consuetudine nei dischi Blues, molte sono le cover (esattamente la metà): "The Things (That) I Used To Do" è omaggio al mitico Bluesman Guitar Slim, di cui esso è il pezzo più conosciuto; "Cold Shot" a un altro Bluesman, questa volta Texano, W.C. Clark. "Tin Pan Alley", anch’esso di un Texano, Curtis Jones, fu uno dei classici del Blues. Stevie Ray lo riadattò secondo il proprio stile (l’originale era ben diverso, trattandosi di un Blues pianistico del ’41 – nella versione targata Vaughan il piano nemmeno c’è) e ne ricavò un capolavoro di nove minuti dai toni lenti e tesi.
Infine, "Voodoo Child (Slight Return)", tributo proprio a quel Jimi Hendrix al quale Stevie sempre è paragonato. Eseguita in maniera che non si discosti dall’originale, Voodoo Child mette in mostra ancora una volta la straordinarietà dell’allora trentenne (morì a trentacinque nell’agosto ’90) Texano nel suonare il proprio strumento. Vaughan era anche cantante e cantava piuttosto bene, pur non avendo voce particolarmente bella, ma sicuramente intensa e riconoscibile. Chris Layton alla batteria e Tommy Shannon al basso completavano i Double Trouble, ai quali si sarebbe aggiunto l’anno seguente il tastierista Reese Wynans.

Si nota facilmente come il Blues sia dominante nelle cover, mentre le citate influenze emergono specialmente nelle nuove composizioni. Le già nominate "Couldn’t Stand The Weather" e "Stang’s Swang" si affiancano a "Honey Bee" e "Scuttle Buttin’", in generale più vicine agli shuffle di Texas Flood. La prima presenta ritmiche interessanti pur non convincendo totalmente, la seconda – che apre il disco - è invece uno strumentale molto riuscito che rimanda a Lonnie Mack, uno degli idoli nella gioventù di Stevie - "Scuttle Buttin’ ", inoltre, diventò uno dei brani più comuni usati come apertura dei suoi infuocati live shows.

Couldn’t Stand The Weather non appassiona forse quanto Texas Flood, ma fu disco interessante e coinvolgente, e ribadì il fatto che Stevie Ray Vaughan non sarebbe stato artista inconcludente e pronto a tornare nel nulla da cui era venuto, ma che sarebbe vissuto anche dopo la morte, mai dimenticato.

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