Voto: 
9.5 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Re-Constriction
Anno: 
1993
Line-Up: 

Andrea Akastia - celloviolin

Jing Laoshu - percussion

Daniel Vahnke - vocalssamplerguitar

Victor Wulf - synthesiser

Joan McAninch - mastering

Tracklist: 
  1. Trilobite – 4:45
  2. Catacomb – 4:05
  3. Crib Death – 4:23
  4. Dogchild – 3:26
  5. Gargoyles – 3:54
  6. Grace – 4:34
  7. Tremulous – 0:55
  8. Glow Worm – 2:25
  9. Lullaby Land – 3:06
  10. Dervish – 3:57
  11. Scavenger – 5:08
  12. Exuviate – 5:13
  13. Akrotiri – 4:13
  14. Toten Faschist – 2:27
  15. Nosedive – 3:09
  16. Bosch Erotique – 2:19
  17. Hubba Hubba – 1:48
  18. Cartouche – 1:55
  19. Awaken – 1:46
  20. Raga Rodentia – 5:45
  21. Passage – 3:39
Vampire Rodents

Lullaby Land

Il nome dei Vampire Rodents comincia a essere più conosciuto nell’ambiente industriale americano a partire dal 1992, quando firmano per la Re-Constriction Records (succursale della Cargo Music guidata dall’intraprendente Chase e specializzata in musica elettronica e industriale) e cominciano ad apparire su diverse compilation edite dalla If It Moves... (altra sottoetichetta della Cargo). La prima di queste è The Cyberflesh Conspiracy, del 1992. Oltre alla loro Burial at Sea, questa uscita contiene anche brani dei Chemlab, dei Mentallo & the Fixer e del duo synth punk/industrial Babyland, il che permette a Vahnke di entrare a contatto con la scena coldwave americana. Proprio insieme al vocalist dei Babyland, Dan Gatto, Vahnke registra sempre nel 1992 un nuovo pezzo (sotto il moniker Recliner) che vedrà la luce l’anno successivo sulla compilation Rivet Head Culture, di nuovo tramite la If It Moves….
Nosedive – questo il titolo del brano – è la più estrema delle esperienze di Vahnke con la SBC fino a quel momento: la linea melodica è data dal violoncello, mentre in secondo piano si avvertono interventi minacciosi di corni e ottoni e, nel frattempo, frequenti versi di animali e suoni trovati selvatici violentano le tentazioni orchestrali del pezzo. Su questo tripudio di arrangiamenti si erge infine la feroce linea vocale di Dan Gatto, dal piglio punk, che denuncia un’America incapace e tutto sommato nemmeno interessata a cogliere l’odio, le ingiustizie e le crepe del sistema che la governa.
Con una gestazione di circa un anno, l’etichetta Re-Constriction pubblica il terzo album dei Vampire Rodents il 25 ottobre 1993.

Intitolato Lullaby Land come una canzone per bambini del 1919 di Max Prival e Frank Davis (omaggiata anche nell’artwork, che è di fatto un dettaglio nella copertina vintage dello spartito della canzone originale), è questo il disco che porta all’estremo compimento l’arte del campionamento e dell’artificio intrapresa su Nosedive (per altro inclusa nel disco) da Daniel Vahnke, ormai completo padrone del progetto. Victor Wulf offre solo un brano di musica ambientale in chiusura all’album, Passage, contesa tra tenui tastiere cosmiche e pulsioni ritmiche etniche; negli anni successivi il suo contributo diverrà sempre più marginale, e si concentrerà maggiormente su dischi space ambient pubblicati dalla Hypnotic a nome Dilate.

I frammenti musicali utilizzati da Vahnke per imbastire le proprie orchestrazioni vengono recuperati da uno stuolo di fonti ancora più ampio ed eterogeneo rispetto a quello, già nutrito, di Premonition. A tutto l’arsenale di musica classica e contemporanea, collage concreti, industrial e ambient allestito nei lavori precedenti, si aggiunge infatti una ritmica propellente che mesce techno, jungle e funk; al contempo, il suono del gruppo si irrobustisce, acquisendo un’inedita tinta metal affine alle sonorità di Ministry e Scorn (curiosamente, gruppi che non incontrano minimamente l’apprezzamento di Vahnke). Il merito va anche a una produzione più tagliente e professionale rispetto al passato, oltre che all’uso innovativo della chitarra di Vahnke, i cui riff vengono sottoposti a un’operazione chirurgica di sminuzzamento e riassemblamento che li tramutano in scariche di pura elettricità lontane da qualsiasi possibile precedente nell’ambito rock. Tutte queste trame vengono quindi sovrapposte in un impianto musicale multistrato in cui, in pochissimi secondi, sfrecciano decine e decine di cellule sonore, che rendono l’album indecifrabile, proteiforme e, in definitiva, assolutamente senza precedenti, nemmeno tra arditi sperimentatori del sound collage come Negativland o John Oswald.

«All parts of a composition (with the possible except of voice texts) are built from hundreds, even thousands of small sound events and instrumental fragments.»

Il manifesto di questa raggiunta maturità artistica, nonché il brano quintessenziale dell’esperienza Vampire Rodents, è probabilmente Trilobite, posta in apertura dell’album e cantata nuovamente da Dan Gatto. È una piccola composizione d’avanguardia giocata sull’accumulazione progressiva di diverse tracce musicali (percussioni selvagge, ritmiche jungle, deflagrazioni abrasive di chitarra, fraseggi atonali degli archi, la linea vocale stessa), indipendenti sia nella melodia sia nel tempo seguito, talvolta disturbate da effetti elettronici, rumori selvatici, sassofoni bebop, tastiere, sinistri unisono orchestrali. Il testo sembra al contempo una apologetica celebrazione degli strumenti della SBC («Come up with something original / Steal decent shit if you’re going to steal / Strip down to scrap and fuck the rest / Drop popular and don’t resist») e un surreale riassunto dell’attività di antropologo dei membri dei Vampire Rodents («It exists because we forget / What we forgot wasn’t meaningless / There’s something living in the sediment / Something alive in the sediment»), contribuendo all’aria primitiva e post-moderna del brano che in questo senso ricorda i concept anni Ottanta dei Residents.

Il resto dell’album, in ogni caso, esprime una creatività fuori dal comune, e ogni brano diventa un florilegio di piccole invenzioni in fase di arrangiamento. La decadente Catacomb, con le sue struggenti armonie di violini e violoncello, fa convivere la musica da camera di Olivier Messiaen con forsennate drum machine industrial rock e serrate parentesi death metal; Dogchild parte con un battito deep house, ma degenera ben presto in una parata di fanfare di ottoni e clangori distorti di chitarra, mentre Vahnke-Rathausen sbraita l’ennesimo susseguirsi di violenze gratuite e deliranti; su Glow Worm si alternano chitarre surf rock, tromboni, squarci di concerto per violoncello e musica electro-industrial. Talvolta, la musica di Lullaby Land sembra partire da una matrice metal principale che solo in un secondo viene arricchita da campionamenti di archi, fiati, tastiere ed effetti elettronici. In Crib Death (un altro manifesto dell’ideologia antiumanitaria di Vahnke, stavolta dedicato alla denuncia delle politiche ONU e al desiderio dello scoppio di una terza guerra mondiale – con tanto di invito al mondo musulmano ad atomizzare Belgrado) tale matrice assume tanta importanza da apparire come la carcassa cibernetica di un brano thrash metal, con lamenti di archi a corredo ed exploit bandistici – sembra quasi che l’orchestra di Duke Ellington inciampi per sbaglio nel brano. Toten Faschist – esplicita fin dal titolo – è ancora più estrema: le sue pachidermiche cadenze di chitarra industrial metal ingabbiano i dissonanti assoli atonali del violino di Akastia, come se la musica dei God, con tanto di skronk di sassofono, lottasse con l’avanguardia di Krzysztof Penderecki.

C’è del metodo in questa follia. La musica etnica totale di Akrotiri (che sovrappone armonie e strumenti orientali di ogni provenienza secondo le regole della musica colta, sotto l’evidente influenza di Toru Takemitsu), la fugace parentesi orchestrale di Awaken (di fatto, un aggiornamento della Demon Est Deus Inversus dal disco precedente) e il raga post-moderno di Raga Rodentia rivelano infatti l’ingegno di un compositore d’avanguardia capace di muoversi con intelligenza tra generi e continenti diversi quando l’occasione lo richiede.
Il più delle volte, in ogni caso, il fulcro della composizione risiede principalmente nell’atto del contrappunto stilistico e del sampling stesso. Il risultato dell’operazione talvolta lambisce il grottesco e il ridicolo: è questo il caso di Bosch Erotique, un crossover degli esperimenti per nastri e voce di Luigi Nono con le Aventures di György Ligeti, fatto di risate, versi inintelligibili, respiri affannati, musichette vaudeville e musica orchestrale contemporanea, nella migliore tradizione dei collage di Frank Zappa; o di Hubba Hubba, aperta da un sample da The Jazz Singer per evolversi successivamente in un brano techno con voci dementi e poliritmi impazziti. Più spesso Vahnke indulge invece in visioni macabre e disturbanti, come nelle abrasive Scavenger e Dervish o nella più metallica Gargoyles (cantata da Pall Jenkins, ai tempi chitarrista dei Three Mile Pilot). La velocità di scorrimento e la densità dei diversi atomi musicali raggiungono vette di claustrofobia nella title track, ormai un inestricabile incubo di sample (con percussioni aborigene, barlumi sinfonici, assoli di chitarra metal in shredding, ritmiche vagamente funk, rumori concreti), reso ulteriormente perverso dalle frasi sconnesse farfugliate dalla voce filtrata di Jared Hendrickson dei Chemlab.

Nonostante la natura evidentemente sperimentale del lavoro, Lullaby Land colpisce però per la sua capacità di suonare divertente e accattivante. In superficie ci potranno essere i frammenti di qualsiasi forma d’arte musicale registrata nel Novecento, e l’organizzazione maniacale del materiale ha più a che vedere con il lavoro di un compositore colto piuttosto che di un artista di musica industriale, ma lo spirito con cui l’opera è assemblata è lo stesso che guida la messa in scena di uno sketch di Bugs Bunny: è incoerente, frammentario e imprevedibile, ma sempre creativo ed esilarante. Così facendo, Lullaby Land si apre ad ascolti e interpretazioni su più livelli. È possibile limitarsi al semplice apprezzamento dei ritmi ballabili, delle armonie esotiche e delle numerosissime trovate eccentriche disseminate per tutta la sua durata, quanto indagare nel dettaglio la profondità dell’operazione di montaggio dei vari eventi sonori che li compongono. In un decennio in cui cominciano timidamente a prendere piede operazioni di crossover stilistici arditi, dai Think Tree ai Milk Cult passando pure per artisti di enorme successo commerciale come Beck, Daniel Vahnke si distingue immediatamente per lo spirito e il metodo di realizzazione di quello che è, ancora ad oggi, uno dei più ambiziosi ed estremi lavori di musica totale mai registrati.

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