Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast
Anno: 
2012
Line-Up: 

Johnny Hedlund  Bass, Vocals 

Anders Schultz  Drums 

Tomas Olsson  Guitars 

Fredrik Folkare  Guitars 

Tracklist: 

1. Fimbulwinter  04:11  

2. Odalheim  04:29  

3. White Christ  03:12  

4. The Hour of Defeat  03:08  

5. Gathering the Battalions  03:06  

6. Vinland  03:58  

7. Rise of the Maya Warriors  02:40  

8. By Celtic and British Shores  03:49  

9. The Soil of Our Fathers  04:55  

10. Germania  03:33  

11. The Great Battle of Odalheim  05:51  

Unleashed

Odalheim

Quando si tirano in ballo gli Unleashed, automaticamente si parla di coerenza, forza e passione. Il gruppo capitanato dall’inossidabile Johnny Hedlund è ormai dal lontano 1989 uno dei punti di riferimento più importanti per ogni ascoltatore di death metal, specialmente per coloro i quali venerano quello proveniente dalla Svezia. Se è vero che in passato il gruppo ebbe anche momenti di cedimento (soprattutto verso la metà degli anni 90), è altresì palese che negli ultimi anni abbiamo assistito ad una vera e propria rinascita a livello di idee e composizioni. La band suona in maniera più convinta, brutale ed il periodo groove sembra definitivamente abbandonato.

Quindi, a due anni di distanza dal roboante  As Yggdrasil Trembles, ecco che Johnny e soci tornano alla scoperta per un nuovo assalto vichingo. Odalheim è il nome del nuovo lavoro e consta di undici canzoni di death metal oscuro, come sempre trattante temi come gli antichi popoli del nord Europa, le battaglie e i guerrieri. L’apertura è nella mani di una veloce Fimbulwinter, la quale si fa subito notare per un riff portante veramente gelido e posizionabile tranquillamente in un’ipotetica corrente black/death di metà anni 90. I blast beats e la voce roca, acida del leader accompagnano il tutto e donano una violenza ancora maggiore per una traccia veramente angosciante e riuscita. Segue a ruota la title-track ed in essa possiamo notare il tocco dissonante di alcune fasi chitarristiche ed un’atmosfera generale che può riportare alla mente gli ultimi lavori targati Enslaved. L’atmosfera plumbea ed i riffs sempre tendenti al black metal con il loro tremolo freddo come una lastra di ghiaccio sono elementi che stupiscono e catturano. Ancora una volta, non possiamo esimerci da rimarcare i pregevoli rallentamenti doom, i quali nascondono assoli ed arpeggi chitarristici di ottima fattura ed indispensabili per il loro apporto atmosferico.

La melodia velata nel ritornello di White Christ è da sottolineare e con essa l’ottimo riff ritmico, dal puro stampo svedese.  Se l’arpeggio iniziale potrebbe sviare (ma su quest’album neanche troppo), The Hour of Defeat si distingue principalmente per il suo attacco frontale a base di uptempo e riffs dal chiaro taglio death/thrash con sporadici momenti in tremolo. La melodia non è mai un elemento di secondo piano ed anzi, risulta essere persino il valore aggiunto in ogni composizione. Poco invasivo e molto efficace, l’apporto melodico da parte delle chitarre risulta essere essenziale. Ennesimo esempio con la veloce Gathering the Battalions, la quale risulterebbe vuota senza il tocco epico da unire alla sua irrefrenabile irruenza. Il tappeto di doppia cassa in Vinland lascia presto il posto ai blast beats dell’originale (in quanto parla di un popolo diverso da quello normanno) Rise of the Maya Warriors, traccia che in parecchi punti mostra aperture melodiche o momenti comunque ragionati.

Proseguendo nell’ascolto troviamo una By Celtic and British Shores dal piglio deciso ma dalle idee non esaltanti, seguita dalla potente ed marziale The Soil of Our Fathers. Le traccecominciano a patire un po’ della mancanza di trovate esaltanti ma si reggono in piedi grazie anche all’esperienza del gruppo ed alla perizia di esecuzione. Ci avviciniamo alla fine del disco quando troviamo la possente Germania e The Great Battle of Odalheim, la quale, miscela in dose uguali velocità e rallentamenti oscuri dal tocco epico.

In fin dei conti, il nuovo lavoro in casa Unleashed si fa notare positivamente, soprattutto per il lavoro delle chitarre e per le giuste atmosfere. Esso, tuttavia, si regge bene per la prima metà mentre cala progressivamente man mano che si avvicina alla fine. Pur rimanendo su livelli discreti, la parte finale sarebbe potuta essere decisiva al fine di un giudizio più elevato. Ad ogni modo, sempre una piacevole conferma.  

 

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