Voto: 
8.1 / 10
Autore: 
Jacopo Prada
Genere: 
Etichetta: 
Island Records
Anno: 
1981
Line-Up: 

- Bono - voce
- The Edge - chitarra e pianoforte
- Adam Clayton - basso
- Larry Mullen - batteria

Guests:
- Vincent Kilduff - oillean pipes e bodhran


Tracklist: 

1. Gloria (04:12)
2. I Fall Down (03:39)
3. I Threw A Brick Through A Window (04:54)
4. Rejoice (03:38)
5. Fire (03:51)
6. Tomorrow (04:39)
7. October (02:21)
8. With A Shout (Jerusalem) (04:02)
9. Stranger In A Strange Land (03:58)
10. Scarlet (02:52)
11. Is That All? (02:59)

U2

October

“Non vorrei sembrare arrogante, ma almeno a questo punto, credo fermamente che siamo destinati a essere uno dei grandi gruppi. C’era una certa scintilla, una certa alchimia, che era speciale negli Stones, negli Who e nei Beatles, e io penso che sia speciale anche negli U2.”

Non c’è che dire: le parole pronunciate da Bono nel febbraio del 1981 sono veramente significative. Il singer irlandese appare già deciso, sicuro di sé e della sua band, ricco di carisma e pronto a farsi sentire, a non tirarsi mai indietro. Presunzione? Sfrontatezza? Tracotanza?  Forse, ma il tempo darà pienamente ragione al giovane più talentuoso di Dublino.

La celebre intervista rilasciata al periodico Rolling Stone in un ristorante greco segue di poco la pubblicazione del sorprendente Boy. Gli U2 sono in grande forma, motivati e decisi a ripetere il successo ottenuto con il loro debutto discografico. Sessanta, questo l’incredibile numero di date in cui la band irlandese suona dal vivo, un totale di tre mesi passati ininterrottamente on stage. Un breve soggiorno sulle isole Bahamas per registrare il nuovo singolo da lanciare in classifica, Fire, e poi via di nuovo. E’ un periodo di grandi soddisfazioni, ma allo stesso tempo di dubbi e divergenze. Se da un lato Bono, The Edge e Larry sembrano interessarsi sempre più a Dio, alla Bibbia ed alla preghiera, Adam rimane piuttosto indifferente di fronte alle nuove passioni dei compagni. In questo clima, caratterizzato dalla poca intesa e dall’evidente discordia, viene quindi registrato October, secondo album nella storia del complesso irlandese.

“Gloria
In te domine
Gloria
Exultate
Oh, Lord, if I had anything
Anything at all
I'd give it to you.”


Una lode a Dio, questo è in essenza Gloria, immortale opener del controverso disco uscito nel 1981. Per capire una simile scelta occorre pensare e riflettere sul periodo di crisi esistenziale attraversato dagli U2, ad esclusione del solo Adam. Bono, The Edge e Larry hanno da poco superato i vent’anni, si pongono domande, come d’altronde molti dei loro coetanei, e cercano di dare risposta ai propri interrogativi attraverso la fede. Non è tutto. Chissà se quel fatidico giorno, durante l’estenuante tournee nell’America settentrionale, la valigetta nuova di Bono non fosse stata rubata. Non certo per i miseri trenta dollari contenuti al suo interno, bensì per i preziosissimi testi delle nuove canzoni. Tutto da rifare quindi, guarda caso proprio nel momento più delicato. La carriera degli U2 non sarà fortunatamente segnata dal furto, ma, senza ombra di dubbio, October sarebbe stato un disco completamente diverso da quello recensito oggi.

Fin dalle prime note gli U2 dimostrano di essere migliorati sia a livello prettamente tecnico che compositivo. Le capacità strumentali dei quattro emergono durante tutto l’arco di October, in modo particolare nelle canzoni più impegnative, quelle dotate di ritmi serrati ed incalzanti. A livello di liriche, Gloria, senza dubbio uno dei migliori capitoli dell’opera, si ispira in modo palese all’omonima composizione scritta da Van Morrison ed interpretata poi da Patti Smith. Quello degli U2 è però un chiaro esempio di cosa voglia dire Rock all’inizio degli anni ottanta. Potente e dotata di un ottima sezione ritmica, la traccia diverrà in seguito un classico del gruppo irlandese, uno dei pochi contenuti su quest’album. I Fall Down si apre con un pianoforte ed una chitarra acustica in primo piano, entrambi strumenti suonati dall’abile The Edge. Esordisce poi il basso di Adam, cui lavoro è sempre costante e di vitale importanza. Il testo della song rimane apparentemente legato alle tematiche trattate in Boy, ma non solo. Si dice infatti che Julie, la protagonista della canzone, appartenesse allo stesso gruppo religioso frequentato da Bono, The Edge e Larry e che lo abbandonò per cercare fortuna altrove. Dopo meno di quattro minuti è la volta di I Threw A Brick Through A Window. La traccia risulta di per sé piuttosto elementare, di chiaro stampo Punk sia dal punto di vista del testo che sonoro. Le difficoltà della vita in periferia sposano il disagio interore, per un effetto di critica sociale davvero esplosivo. Peculiarità di I Threw A Brick Through A Window è l’uso, per la prima volta nella carriera di Bono e soci, del bodhran, un tipico tamburo della tradizione celtica, suonato per l’occasione da Vincent Kilduff.

“And what am I to do?
Just tell me what am I supposed to say?
I can't change the world
But I can change the world in me.”


Rejoice, che ironicamente segue la pungente I Threw A Brick Through A Window, non può che far sorridere pensando a quanto detto poco prima, per non parlare delle campagne che Bono intraprenderà in futuro per aiutare il terzo mondo in futuro. Le liriche di Rejoice evidenziano ancora una volta il particolare periodo passato da tre quarti degli U2 a meditare sulla propria coscienza ed interiorità. Musicalmente il pezzo si rivela molto aggressivo, tirato ed intenso. Il basso di Adam ricopre sempre un ruolo fondamentale, mentre Larry e Vincent combinano i rispettivi strumenti, regalando alla composizione un sound vivace e frizzante, tutt’altro che scialbo. Un ottimo brano insomma. Uscito inizialmente in diversi formati come singolo, Fire occupa la quinta posizione nella tracklist di October. La chitarra torna con prepotenza a rivestire il ruolo di assoluta protagonista, insieme naturalmente alla voce di Paul “Bono” Hewson, praticamente mai piatta o comunque sottotono. Fire entrò immediatamente nella Top 40 britannica, spianando così la strada all’imminente full length, che si piazzo all’undicesima posizione nelle classifiche nazionali del Regno Unito. A sottolineare la natura live degli U2, rimane indelebile il ricordo di una scandalosa esibizione, naturalmente in playback, di fronte alle telecamere del famoso programma televisivo Top Of The Pops, apparizione fatta proprio per promuovere il singolo appena uscito.

Benché Fire presenti le caratteristiche adatte per essere considerata una hit degna di tale nome, questa peculiarità è propria di quasi tutti i pezzi dell’album. C’è ne è uno, però, che va ben oltre il saper trascinare l’ascoltatore o il possedere magari un ritornello coinvolgente. Si tratta di un brano ricco di pathos, capace di emozionare, addirittura di commuovere, e che, come al solito, è tutt’ora sconosciuto ai più, giusto per dimostrare che non basta certo una raccolta di successi per poter apprezzare appieno un determinato artista o gruppo. Tomorrow è una canzone incredibile e non bastano le parole per descriverla in tutto il suo splendore. I brividi attraversano la schiena di chiunque presti ascolto ad un capolavoro di questa portata. Aprono Tomorrow in modo sensazionale lontani echi di oillean pipes, ovvero delle cornamuse tipiche irlandesi, le quali si fanno poi sempre più insistenti, senza però risultare mai sgraziate. Sembra di rivivere con nostalgia un’oscura giornata di pioggia, resa incancellabile nella memoria da qualche triste evento. Ad accompagnare Vincent Kilduff e le sue cornamuse ci sono Adam e Bono. Il primo detta il ritmo della canzone in maniera delicata; il secondo dà straordinaria prova di sé grazie ad un timbro vocale passionale e vario. Il tutto sfocia poi in un Folk Rock ben più aggressivo. Scelta azzardata questa, in quanto la surreale atmosfera evocata fin qui potrebbe dissolversi come niente. Con notevole stupore invece, gli innesti di Larry e The Edge non fanno altro che accrescere la tensione emotiva propria della track, rendendola ancor più eccezionale, una delle composizioni più belle mai scritte dagli U2 nella loro lunga carriera. Le liriche di Tomorrow sono da sempre oggetto di discussione, dal momento che potrebbero avere due distinti significati. Una parte, fra critici, esperti ed appassionati, crede che le parole di preoccupazione ripetute più volte si riferiscano ad una madre nordirlandese, che, vedendo il figlio uscire di casa, teme di perderlo per sempre. Altri credono invece che Bono abbia scritto questo testo ispirandosi al funerale di sua madre, a quando ancora non si era rassegnato al tragico lutto e continuava perciò a chiedersi se un giorno la donna sarebbe tornata da lui.

Dopo una traccia intensa ed appassionata ne arriva una ben più tranquilla, introdotta stavolta dal pianoforte: October. La composizione che dà il titolo all’album è brevissima ed offre un toccante duetto fra la voce di Bono ed il piano di The Edge. Davvero un peccato che la durata della titletrack superi di poco i due minuti. Questa, infatti, tratteggia magicamente quella particolare atmosfera che si respira in ottobre e non sarebbe stato certamente un male se si fosse protratta un po’ più a lungo ancora. With A Shout (Jerusalem) riprende le sonorità focose, quasi Punk, di I Threw A Brick Through A Window. Superba la prestazione del buon Larry, così come quella di The Edge e dell’insostituibile bassista del gruppo, Adam. Bono si dimostra ancora una volta un cantante giovane ma molto promettente, in grado di dare quel tocco in più ad ogni singolo brano per renderlo memorabile. Una piacevole sorpresa è rappresentata sicuramente dalle insolite parti di tromba prestate, a metà pezzo circa, dai Some Kind Of Wonderful, soul band dublinese dell’epoca. Poco si addicono però dei testi narranti la crocifissione di Cristo ad un sound così energico e vivo. Alquanto curioso inoltre il finale della canzone in questione, che ricorda in maniera evidente quello di Into The Heart. Se il basso pulsante del brano contenuto su Boy rappresentava in qualche modo i battiti del cuore di un bambino che lentamente si interrompono, qui è Gesù Cristo che potrebbe trovarsi nella medesima situazione. Ulteriore conferma, questa, del cambiamento a cui sono soggetti i tre membri degli U2 già nominati più volte precedentemente.

Convulso e dinamico è l’incipit di Stranger In A Strange Land, brano che prosegue poi con ritmi rilassati e musicalità molto particolari, quasi psichedeliche, che difficilmente potrebbero allettare tutti i fan degli U2. Stranger In A Strange Land narra di un episodio realmente capitato a Bono: il fuggevole incontro con un giovane soldato di guardia alla frontiera di Berlino Est. L’aneddoto permette così agli U2 di approfondire una tematica sociale piuttosto delicata, cioè l’immedesimarsi con chi è diverso, con chi è, a suo modo, straniero. La canzone non regala in alcun caso grandi emozioni e non presenta neppure elementi di particolare interesse, risultando alla lunga perfino pesante. Completamente diversa da Stranger In A Strange Land è invece la successiva Scarlet, composizione praticamente strumentale se non fosse per una singola parola, anche titolo del quarto pezzo in tracklist, ripetuta più volte da Bono durante la canzone. Pacata e melodica, la song dura meno di tre minuti ed è questo l’unico suo vero difetto. La band irlandese avrebbe potuto sviluppare Scarlet maggiormente e lo stesso discorso vale per October. Una curiosità: in origine Scarlet avrebbe dovuto, oltre che dargli il nome, chiudere l’album, ma poi così evidentemente non è stato. Is That All? E’ tutto qui? Con questa conclusiva domanda gli U2 portano a termine il loro secondo full length. Il riff principale appartiene in realtà all’inedita The Cry e, sebbene l’impressione generale sia quella di una leggera confusione, Is That All? si lascia ascoltare più che volentieri. Il testo, apparentemente scontato e superficiale, invita gli ascoltatori ad andare oltre quella che è la proposta musicale del gruppo. La scelta di una canzone piuttosto vivace come track finale raramente verrà ripetuta dagli U2 in seguito, basti pensare soltanto alle varie  40, MLK e Mothers Of The Disappeared. In effetti, facendo un rapido confronto fra Is That All? ed i successi appena citati, non si può che dar ragione a Bono e compagni. Comunque sia, October è e deve essere così, peculiare fino in fondo.

Il secondo album degli U2 viene spesso classificato oggi come l’unico vero passo falso del complesso di Dublino. Niente di più sbagliato. October è invece un disco di transizione, che perfeziona il sound del suo predecessore ed anticipa in parte quello che sarà il primo capolavoro della band irlandese: War. Probabilmente, la mancanza di successi mondiali in tracklist penalizza enormemente il full lenght, il quale include in ogni caso brani davvero eccezionali, Tomorrow su tutti. Ciò che lo rende in minima parte inferiore a Boy è la minore istintività trasmessa, ma da qui a considerarlo un passo falso ce ne passa. October è proprio come il mese che gli dà il titolo: diverso, insolito, a volte imprevedibile, ma, in fin dei conti, sempre piacevole.


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