Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Iacopo Fonte
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
1993
Line-Up: 

- Peter Steele - basso, voce
- Kenny Hickey - chitarra
- Josh Silver - tastiera
- Sal Abruscato - batteria

Tracklist: 

1. Machine Screw
2. Christian Woman
3. Black no1
4. Fay Wray Come Out And Play
5. Kill All The White People
6. Summer Breeze
7. Set Me On Fire
8. Dark Side Of The Womb
9. We Hate Everyone
10. Bloody Kisses
11. 3.O.I.F.
12. Too Late: Frozen
13. Blood & Fire
14. Can't Lose You

Type O Negative

Bloody Kisses

Nel 1993 i Type O Negative di Peter Steele realizzano il loro terzo full-length, Bloody Kisses, rivoluzionando così la scena gothic metal mondiale. E’ infatti da questo album che successivamente prenderanno spunto molte band e primi fra tutti i 69 Eyes. La formazione proviene dagli USA, precisamente da Brooklyn, in quanto tale risente sicuramente della passata tradizione glam/hard rock, oltre che dell’influenza “nell’atteggiamento” di Bauhaus e Sisters of Mercy. Questo album quindi segna una svolta stilistica importantissima per il genere, tanto che riscosse subito un grande successo. Per di più le tematiche trattate sono molto d’impatto. Si tratta infatti di amore, in un concept centrato sul sesso e sulla figura della donna. Il tutto in una generale chiave pessimistica di interpretazione della realtà.

Fin dalla prima track, Machine Screw, ci si sente in una dimensione artefatta, turbata da rumori sia naturali che industriali, attraverso i quali vengono dipinte scene di spiccato erotismo. E misto a erotismo sta l’altra faccia della medaglia, ovvero tutta l’ondata deprimente e oscura che la donna è capace di comportare nell’uomo. Siamo di fronte proprio a un bacio sanguinante, che oppone una dimensione di estremo piacere, che sfocia addirittura nella perversione o nel cannibalismo in Fay Wray Come Out and Play, a una dimensione di profondo dolore. Emblema di tutte queste sfere sentimentale è la seconda track, che si potrebbe definire anche storica, Christian Woman. Qui dopo un intro elettronico, iniziano cori sfumati in backwards e potenti riff di chitarra, distorta in modo urtante.
Il vocal è proprio uno dei segni contraddistinguenti la band. Peter Steele con la sua voce molto profonda e matura passa da parti più scorrevoli a momenti cavernosi. Il sound che emerge da questo primo ascolto si può definire piuttosto vario. Sono eseguiti infatti molti patterns arpeggiati di chitarra con suoni eterei e vocativi sullo sfondo; e in generale sono presenti molte svolte sonore che modificano e rendono più imprevedibile la linea evolutiva di ogni song. Black ad esempio assume una tendenza quasi “sabbathiana”. In più, rivolti elettronici assicurano una maggiore varietà stilistica. Addirittura in Kill All The White People riesumano il loro vecchio sound, molto punkeggiante ed euforico, a volte hardcore.

In questo modo per la durata delle successive track, il combo new yorkese gioca su tutte queste caratteristiche, aggiungendo ad esse parti semplicemente heavy metal o effetti sonori completamenti furenti ed esilaranti come suoni stridenti, tonfi, scoppi, pianti di bambini, rombi di motori. Si differenziano poi ancora Summer Breeze, con un andamento doom, molto lento, e la stranissima, poco a tema musicalmente, We Hate Everyone. Si comprende inoltre anche da queste ultime lyrics come la provocazione, la contestazione e la violenza emotiva stiano alla base della band (“Riots, protests, violence just makes us famous…they say i’m a fascist, the right calling me communist, hate hate hate hatred for all”). La title-track invece torna a regalare ottime impressioni, con un’estrema depressione per Steele che deve assistere alla morte dell’amata; è bello a questo punto il giro di piano a metà track, che si dilunga per ben dieci minuti. Da qui nelle ultime tre canzoni si alternano momenti di relativa serenità a patterns più veloci, per finire sulle note sfumate e rilassate di Can’t Lose You, di carattere orientale, grazie all’uso di sitar (strumento tradizionale nella musica indiana, generalmente a sette corde).
Si tratta, tirando le somme, di un album molto intenso e differenziato al suo interno, grazie a ben quattordici track per una durata di quasi un’ora e quindici minuti. In questo lungo tragitto attraverso emozioni e pensieri, non mancano però alti e bassi, ma d’altra parte la storicità del lavoro è un fattore che incide notevolmente.

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