Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Etichetta: 
Domino
Anno: 
2011
Line-Up: 

-Gabe D'Amico - Basso
-Eric Cardona - Chitarra, voce
-Andrea Estella - Voce
-Dev Gupta - Tastiere
-Bryan Ujueta - Batteria

Tracklist: 

01. Daniel
02. Stop
03. Bad Street
04. Space Babe
05. Kimmi In a Rice Field
06. Luna’s Theme
07. Spain
08. Gene Ciampi
09. Saturday Sunday
10. Eastern Green

Twin Sister

In Heaven

I Twin Sister sono un sestetto proveniente da Long Island, in America, che fin dalle sue prime apparizioni nei palcoscenici importanti e non ha saputo contraddistinguersi per la spiccata vena sperimentale, oltre che per le capacità vocali della frontman Andrea Estella sicuramente fuori dal comune. Le loro produzioni discografiche si muovevano infatti in questo senso, ovvero valorizzando appieno la notevole capacità di interporre la castità di certe parti vocali con temi elettronici dream pop conosciuti dai più per mezzo dei cataloghi di Galaxie 500 e Cocteau Twins. Interessante fu poi osservare come il trend che vuole vedere una band dalle trame complesse riscuotere successo di fronte a platee non proprio così cerebrali come quelle indie venne confermato anche in questa occasione, ed in particolare con il secondo EP Color Your Life, edito nel marzo del duemiladieci per la Infinite Best. Composto da sei tracce per una durata totale di ben trenta minuti, l' uscita in questione riuscì ad ottenere persino il favore della stampa per i suoi spericolati riferimenti alla psichedelia slowcore precedentemente accennata ( culminante con il tributo Galaxy Plateau) ed alcune buone sortite di electro-pop che con una buona dose di ruffianaggine sapeva stringere la mano alla fervente chillwave.

Per la prima assoluta sulla lunga distanza, i Nostri decidono purtroppo di muoversi nella direzione di queste ultime melodie più facili ed altrettanto efficaci, improntando ogni traccia su un pop-rock fresco mediante un gusto minimale ancora più deciso, se possibile. L' incontro con la Domino li obbliga a compattare gli schemi e rendere maggiormente densa la qualità del suono, che fino ad ora si era positivamente contraddistinto per una continua e maniacale ricerca dell' imperfezione da demo, e ciò, sommato alla via intrapresa a livello di genere, li spinge inesorabilmente verso una forma di indie-pop, o meglio lounge-pop velato, tanto cara agli Stereolab. In Heaven, altresì, è un dischetto di limpide orchestrazioni pop che non mancherà di aggradare chi qualche mese fa ha consumato Rome di Danger Mouse e Daniele Luppi, di cui possiamo rintracciare molti passi sapientemente virati con gusto synth-pop e rallentati a dovere in maniera tale da risultare dreamy al punto giusto. Rispetto all' EP apripista Color Your Life, molti dei connotati sono rimasti immutati - A partire da certi sfondi atmosferici per concludere con l' attività di scrittura - ma paradossalmente ciò di cui è carente il disco sono le belle suite che avevano dato al nome Twin Sister un' aurea di esclusivo interesse. Fattore che penalizza e non poco In Heaven, che con i suoi numerosi mid-tempi adesso si limita a produrre soltanto buoni ritmi per i testi, sfumandosi proprio quando dovrebbero iniziare le parti improvvisative, da sempre loro punto forte.

Nonostante questo, molti sono i pezzi in cui si riesce a replicare l' enfasi emotiva delle prime uscite: sopra tutti Gene Ciampi, influenzata senza dubbio dalle composizioni di Ennio Morricone ( così come Spain), ma tra le altre Stop e Bad Street, provenienti dal mondo dell' hip-hop, non deludono affatto. In Saturday Sunday quando non si fermano ad ammiccarsi nell' elettronica sembrano quasi i Blonde Redhead ed anche Daniel, per quanto nulla di complicato, riesce a fluttuare nella sua languida armonia da Beach House. Luna's Theme esagera con i vocalizzi, come successo dalle sue fonti dirette Dirty Projectors e Björk, mentre
Kimmi In a Rice Field soffre del vizio contrario, peccando di giri eccessivamente stralunati ed ossessivi. Un plauso infine a Eastern Green, unica canzone cantata da Eric Cardona, che proprio in chiusura ha il pregio di riassumere le migliori parti espressive di In Heaven mediante spleen melanconici ed una massiccia dose di tastiere degli eighties, rinnovando anche per questo il paragone con l' elettronica sfornata dal credo DIY.

La sensazione che si ha durante l' ascolto di In Heaven è sì quella di assistere ad un lavoro pregevole ed omogeneo per intensità ed idee, ma è allo stesso tempo innegabile che dai Twin Sister ci si doveva aspettare molto di più. Aldilà di ogni dettaglio, per quanto importante, la strada scelta dal sestetto di Long Island si è soffermata ad oggi nella ripetizione di certe formulette synth-pop che negli anni addietro costituivano la scorciatoia più semplice per arrivare al successo. Adesso i risultati finali non saranno certamente replicabili anche per questioni di etichette, ma è indubbio che per il gruppo In Heaven possa rappresentare in breve tempo il paradiso all' improvviso.

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