Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Emanuele Mancino
Genere: 
Etichetta: 
Bitzcore
Anno: 
1998
Line-Up: 

- Hank von Helvete - Voce
- Happy Tom - Basso
- Euroboy - Chitarra
- Rune Rebellion - Chitarra
- Pål Pot - Tastiere
- Chris Summers - Batteria

Tracklist: 

1. The Age of Pamparius
2. Selfdestructo Bust
3. Get It On
4. Rock Against Ass
5. Don't Say Motherfucker, Motherfucker
6. Rendezvous With Anus
7. Zillion Dollar Sadist
8. Prince of the Rodeo
9. Back to Dungaree High
10. Are You Ready (For Some Darkness)
11. Monkey on Your Back
12. Humiliation Street
13. Good Head

Turbonegro

Apocalypse Dudes

Balzati già nel 1996 agli onori delle cronache con Ass Cobra, i Turbonegro tornano due anni più tardi dando alla luce Apocalypse Dudes, un lavoro che meglio del precedente definisce sound, stile ed attitudine della band; il sestetto norvegese ci sa proprio fare e lo dimostra a tutti andando ben oltre quel punk-rock che li aveva resi famosi. Apocalypse Dudes è un album ribelle, capace di scrollarsi violentemente di dosso una qualsiasi classificazione che lo voglia rinchiudere tra le sbarre di un genere specifico; con vivissime oscillazioni che vanno dal punk al metal, questo lavoro ha qualcosa da dare a chiunque lo ascolti.

Il compito di aprire le danze è affidato a The Age of Pamparius, che parte quasi in sordina con la tastiera di Pål Pot, sulla quale si innestano, una ad una in crescendo, tutte le altre sonorità della band, dalla chitarra ritmica fino alla batteria; questa sorta di intro si placa nel momento in cui Hank von Helvete comincia a parlare, a bassa voce. Alle parole “The Apocalypse Dudes” si innesca l’accattivante riff di Euroboy, che apre la strada all’inserimento di tutti gli altri. Questa prima canzone rivela all’ascoltatore lo stile, sia a livello musicale che di testi, delle tracce che la seguono: i Turbonegro di Apocalypse Dudes sono scatenati, intransigenti, irriverenti e incredibilmente coinvolgenti. Il secondo pezzo, Selfdestructo Bust, oltre a confermare pienamente la strada musicale appena imboccata, testimonia senza mezzi termini lo spirito dei Turbonegro, i quali a riguardo hanno affermato: “Il titolo di questa canzone dice tutto. Ognuno nella vita ha una scelta, si può implodere o esplodere. Cosa fare? Noi preferiamo l’esplosione”. Ciò è marcatamente ribadito anche nel terzo brano, Get It On, un’ode a quello che la band stessa definisce “Deathpunk”. Si arriva così ad un trittico di canzoni che scopre il lato più palesemente trasgressivo dei Turbonegro, a partire dai titoli: in ordine di tracce abbiamo Rock Against Ass (e qui è impossibile non citare i Nostri, che a riguardo dichiarano: “The Ass symbolizes both the best and the worst parts of humanity. We love it, and we hate it. It’s a paradox”), Don’t Say Motherfucker, Motherfucker, e Rendezvous With Anus. Musicalmente parlando, fra le tre il picco più alto viene toccato proprio da quest’ultima, veloce e trascinante, che consacra definitivamente i Turbonegro anche sotto il profilo dei cori. Dopo Zillion Dollar Sadist, traccia un po’ sottotono rispetto alla precedente, si passa a Prince of the Rodeo, il cui incipit scandito a colpi di batteria ricorda vagamente Rock ‘n’ Roll dei Motörhead; questo paragone cade (senza però connotazioni negative) nel momento in cui decolla l’incredibile riff che fa da spina dorsale all’intera traccia. Il nono pezzo è Back to Dungaree High e serve più che altro da ponte (mai noioso) per giungere ad un altro dei brani più riusciti dell’album, Are You Ready (For Some Darkness), che per la sua composizione richiama alla mente la già ascoltata Get It On. L’undicesima traccia è Monkey on Your Back, di cui l’ascoltatore è ormai già esperto nel riconoscere i tratti distintivi tipici del rock ‘n’ roll targato Turbonegro. Giunti alla penultima canzone, si può finalmente riprendere fiato con una ballata (molto cupa, per la verità), Humiliation Street, caratterizzata da un bell’arpeggio di chitarra che l’accompagna dall’apertura per tutta la sua durata. L’album potrebbe chiudersi benissimo a que sto punto presentandosi come un lavoro più che completo, ma i Turbonegro, non soddisfatti, inseriscono una tredicesima traccia, Good Head, con la quale ribadiscono ancora una volta la potenza, l’originalità e la follia del loro ormai inconfondibile rock ‘n’ roll.

Apocalypse Dudes si colloca un gradino più in alto della maggior parte degli album ad esso contemporanei per l’assenza di un anello debole fra i tredici brani di cui è composto: ogni canzone è un potenziale singolo e racchiude in sé l’anima della band, fortemente impregnata del più folle spirito rock ‘n’ roll (e si parla non a caso di follia, dato che il cantante Hank von Helvete nello stesso anno in cui è uscito Apocalypse Dudes ha avuto problemi mentali che lo hanno costretto ad un ricovero in un istituto specializzato di Milano). La produzione è superba ed è fatta su misura per questo sound rinnovato e innovatore. Nel 2003 la Burning Heart ha arricchito il tutto inserendo nella ristampa di questo disco ben tre video, di cui due live. In definitiva, è indubbio che Apocalypse Dudes segni la maturità stilistica dei Turbonegro, se non addirittura l’apice della loro carriera.

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