Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Luca Pasi
Genere: 
Etichetta: 
Double Six
Anno: 
2012
Line-Up: 

 

- Susanne Aztoria (Voce)
- Jimmy-Lee (Chitarra)
- Dayo (Batteria)
- Adam J (Basso)
Tracklist: 

 

1. Rolling Kiss The Universe
2. You Wish You Were Red
3. Dies in 55
4. Engelhardt's Arizona
5. Los Angered
6. Starlatine
7. Candy Girl
8. Strangling Good Guys
9. Black Circle
10. Turkish Heights
Trailer Trash Tracys

Ester

Talvolta l'hype può diventare un'arma a doppio taglio, non è la prima e non sarà l'ultima volta. Ne sanno qualcosa i quattro londinesi Trailer Trash Tracys che dopo aver rilasciato un singolo nel 2009 ed essere stati acclamati un po' da tutta la critica musicale e carta stampata annessa sono spariti dalla circolazione, terrorizzati o forse impreparati di fronte ad una pressione che al giorno d'oggi potrebbe di colpo spezzarti le gambe. Una pressione che di certo non li ha aiutati a focalizzare quelle buone idee che avevano custodito gelosamente nel loro piccolo cassetto. Riservatisi tre anni per la registrazione su Double Six di questo Ester, si riaffacciano al mondo della musica in un ensemble che riprende quelle atmosfere tanto acclamate quanto ovattate che erano state Candy Girl e You Wish You Were Red ma contorcendone di contro e di contorno i tratti manieristici dei più acclamati act. Ester è infatti un disco difficilmente inquadrabile, un disco complesso nelle sue esagerate ambizioni, ma che rischia di perdersi tra distorte idee e una gamma di coordinate poco limpide che non facilitano né l'approccio né l'ascolto, a discapito di un suono che ne perde sia in dream che in pop. Un significato che, ci teniamo a ripeterlo, non è mai a condanna né di artista né di ascoltatore. 

Se escludiamo infatti i tre brani che già circolavano (anche Strangling Good Guys) da tempo, risulta un quadro poco focalizzato per quello che dovrebbero essere, o almeno è auspicabile che sia, al contrario, un dipinto dai colori caldi e nitidi. Prendete ad esempio un brano come Engelhard't Arizona, che con i suoi beat quasi dub e le dissonanze ossessive che infiammano e si rincorrono a perdersi - non si sa dove - in tutta la durata della canzone, rischia di sfociare in sensazioni quasi claustrofobiche, come se al brano mancasse aria. Ed è probabilmente questo uno dei difetti principali di Ester, manca aria o forse al contrario ce n'è troppa. Parecchi sono gli effetti che spaziano da lontane e lunghe suggestioni di registro, ce ne sono troppi e troppo pochi, sbilanciando un album che alterna discreti guizzi da beat wonky (Los Angered, Starlatine) a blandi filler. Ne è un altro esempio Dies in 55 in cui la melodia che accompagna la seppur ottima voce di Susanne Aztoria si perde in una circolarità che risulta essere fin troppo eccessiva. I nostri riacquistano invece credibilità quando il registro torna a ricreare quelle atmosfere distese, memori di esordi dell'anno appena trascorso come gli ottimi Blouse o Sleep ∞ Over. Candy Girl si muove infatti in questo senso verso lidi e trance ipnotiche che scavano nei nostri inconsci più reconditi, mischiando chitarre twang a riverberi allungati su cui fluttua magnificamente la voce. Ed è lo stesso per la vecchia You Wish You Were Red, che ricerca quella spiritualità attraverso sospiri paranoici in un oceano che trasporta e in cui gli strumenti conducono ma non sono mai trascinanti e carichi; un'elettronica che non deve mai prendere il sopravvento come lo è in una sconclusionata Black Circle, ma che deve essere soffusa e di spirituale ed ineffabile inquietudine. 

Insomma è un disco che ha idee, o tenta di averle, non lo possiamo negare e questo è un bene soprattutto in un genere che nonostante tutto può essere ancora in divenire come lo è il dream, ma non si capisce esattamente che direzione vogliano prendere, in che recessi vogliano scavare, perché queste non vengono né centrate né focalizzate, perdendosi in voler mischiare tutto e subito e non in ottica di un'originalità tout court. Idee che cercano quindi pretenziosamente di toccare confini che evidentemente non gli sono familiari andando a dilatare un album in cui i bagliori risultano essere i brani che già circolavano; ed è proprio in questo senso che i londinesi si dovrebbero muovere, evitando quindi di azzardare sperimentazioni in fusioni che, il più delle volte, non finiscono in altro che svolazzi.

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