Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Prosthetic Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

Danny Rodriguez - Vocals
Justin Longshore - Guitar
Chris Henckle - Guitar
Jake Ososkie - Bass
Michael Ranne - Drums
 

Tracklist: 



1. Parasite Throne 00:53 
2. Dementia 04:15
3. No Haven 04:47
4. Perpetual Defilement 03:44
5. Inherit Obscurity 04:59
6. The Manifest 04:59
7. Defaced Reality 05:10 
8. Siphonaptera from Within 04:34
9. Insomnium 02:44 
10. Skepsis 04:40

Through the Eyes of the Dead

Skepsis

Skepsis rappresenta la terza fatica discografica sotto forma di full-length degli americani Through the Eyes of the Dead, dediti ad un death metal classico con alcune venature deathcore. Formati nel 2003 nel South Carolina, questi cinque macellai mostrano un’alquanto evidente riverenza verso i mostri sacri del death metal americano, così troviamo chiari riferimenti a Morbid Angel e Monstrosity, filtrati attraverso pochi e potenti stacchi brutal in opposizione a chiari tuffi nel deathcore meno fastidioso. Su quest’album non troverete le classiche soluzioni, fin abusate, delle band  –core quali stacchi continui, chitarre in ripetitivi stop and go etc. L’essenza della band è saper ricreare atmosfere veramente oscure attraverso dei riffs putridi, figli della band di David Vincent, e veloci bordate di doppia cassa alterate ai classici blast beats.

Sin dalle note di Dementia le influenze del classico brutal death metal sono chiare; i tempi cambiano in continuazione ed il growl profondo Danny Rodriguez sovente muta verso lidi che abbracciano lo scream. La perizia dei due chitarristi è da lodare nel sapere persino a donare un minimo di melodia in alcuni stacchi. Il loro stile è un connubio di veloci riffs stile palm muting alternati ad altri in tremolo. I break down sono pesanti come rocce e la registrazione volontariamente più ispirata al death metal dona una pesantezza ed una ruvidità incredibile alle chitarre. Per la serie, questi non sono gli All Shall Perish moderni. Questi Through the Eyes of the Dead sono decisamente più orientati verso il death metal con tutte le sue caratteristiche. È piacevole anche notare come il gruppo mostri un’evidente adorazione per il vecchio thrash metal per quanto riguarda alcuni riffs veramente azzeccati a donare dinamismo ed il giusto impatto alle canzoni.

Ditemi se nei break down pregni di cambi di tempo di No Haven non notate una certa influenza dei Suffocation. La pesantezza e la brutalità dei tempi lenti ad ogni modo è sempre mediata attraverso alcune ripartenze fulminee a dare il giusto impatto anche attraverso la velocità. Tuttavia, la parte migliore del songwriting di questa band risiede maggiormente in quei tempi medi pesanti come macigni di cui vi parlavo prima e ciò stupisce perché non è da tutti scrivere delle tracce che possano risultare coinvolgenti soprattutto quando i tempi non viaggiano come proiettili e le aperture melodiche fanno il resto (Perpetual Defilement  e Siphonaptera from Within su tutte). Assolutamente da lodare il lavoro del batterista Michael Ranne che col suo doppio pedale ci maciulla le orecchie e crea un muro invalicabile di brutalità quasi costante in ogni canzone. L’opposizione di riffs catacombali e veloci ripartenze ha il suo culmine nell’incredibile Inherit Obscurity, traccia che se dovessi scegliere, consiglierei ai neofiti per un primo approccio al gruppo.

Alcuni riffs leggermente dissonanti spuntano in The Manifest, canzone che comunque mantiene inalterata la sua carica distruttiva attraverso blast beats a volontà, seguiti dal solito martellare della doppia cassa. Forse solo gli stop and go sono leggermente più accentuati ma per nulla fastidiosi per chi non è avvezzo al deathcore. Neanche la strumentale Insomnium ci vuole donare un po’ di pace poiché attraverso i suoi riffs oscuri e le sue drammatiche linee di chitarra solista ci introduce alle title track, ovvero connubio di tutte le influenze riscontrate finora nonché ultima e liberatoria valvola di sfogo per il gruppo. Nessun calo, nessuna esitazione ed è così che Skepsis ci lascia con una scia di distruzione alle sue spalle. Se da un lato, lo stile immutato per tutto la durata dell’album può essere difficile da digerire per chi non è abituato, dall’altro tutti noi puristi del death metal vorremmo che il deathcore fosse suonato in questo modo.  
 

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