Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Suicide Squeeze Records
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Chris King - guitar
- Donovan Jones - bass guitar, keyboard
- Jeremy Galindo - guitar
- Alex Bhore - drums

Tracklist: 

1. Little Smoke
2. Glass Realms
3. Communal Blood
4. Reprise
5. Killed the Lord, Left for the New World
6. Osario
7. Black Dunes
8. Hand Powdered

This Will Destroy You

Tunnel Blanket

Nell'ultimo decennio il post rock è piombato in una condizione di stallo, preso in due differenti maniere: da chi lo ritiene ormai stereotipato, manierista e abusato, soprattutto da tanti gruppi di "emuli" che non fanno altro che riciclare gli stilemi di importanti punti di riferimenti; e chi lo ritiene una forma musicale che ha raggiunto la propria condizione ideale e prosegue naturalmente in questa direzione.
Ormai è chiaro che i This Will Destroy You lo sanno bene e, consci delle limitazioni a cui possono andare incontro permanendo negli ambiti di una minestra ormai riscaldata innumerevoli volte da troppi gruppi che non fanno altro che dire la stessa cosa, decidono di cambiare.

In Tunnel Blanket non troverete molto della formula preconfezionata consistente nella ripetizione del solito stereotipo in crescendo con arpeggi malinconici di contorno e climax emotivi distorti, gli americani invece fondono il loro retaggio di base con forti influenze derivanti dal drone-ambient e un pizzico di oniricità introspettiva che ricollega idealmente la lezione (spesso dimenticata negli anni) che fu dei Bark Psychosis e gli Anoice - spogliati però della parte orchestrata.

Intendiamoci, di base continuiamo a incontrare lo schema soft/loud tipico, come appare nella lunga iniziale Little Smoke; ma i tenui giri di note malinconiche e dolcemente cullanti, come da colonna sonora in una giornata piovigginosa, lasciano poi spazio ad un continuo stratificarsi di chitarroni distorti brucianti in modalità in reverse, opprimenti, angoscianti. La lunghezza del brano non è tanto per ripetitività, quanto per dilatazione degli strumenti, prolungati di modo da intensificare l'effetto da tappeto sonoro continuo di sottofondo.
Così, su questa filosofia, prosegue Glass Realms, un ambient etereo e spettrale, che ha nella coda finale il momento di maggior tensione, dove l'angoscia della società post-industriale viene filtrata dal senso di smarrimento che può incutere il fantastico, o l'ignoto.
Communal Blood inizia con riverberi sonori malinconici accompagnati da leggeri tocchi di piatti jazzy. L'atmosfera si mantiene soffusa prima di un improvviso crescendo emotivo di chitarre distorte in lontananza, che fondono la tradizione degli Explosions in the Sky a cupi droni chitarristici. Le percussioni si fanno lentamente più lente, fino a quando non c'è un'esplosione noisy, come da consuetudine. Infine, la coda di chiusura, con melodie arpeggiate e riverberate accompagnate da una batteria via via più frenetica.
Reprise è un altro brano ambient, abbastanza monotono; ma più che altro la situazione fino ad ora sembra indicare un crocevia fra il passato del gruppo e la strada esplorata cpm l'ultimo EP Moving on the Edge of Things.
Killed the Lord, Left for the New World prosegue fino a metà traccia come una placida nenia ambient con qualche spunto acustico, salvo poi lasciar maggior spazio a percussioni marziali e chitarre classiche alle quali segue poi un muro sonoro onirico, che poi sfocia nella breve (e tutto sommato trascurabile se non per qualche campionamento industrialoide) Ontario.
Ancora Black Dunes inizia in maniera leggerissima, quasi impercettibile, con un velato riverbero chitarristico accompagnato da una batteria minimalista. D'improvviso una cupa e profonda esplosione distorta urla il suo feedback quasi a la Sunn O))).
Infine abbiamo Hand Powdered, lenta e progressiva conclusione ambientale, sulla quale non c'è altro da aggiungere.

L'album si mantiene fedele a determinati dettami stilistici di base presentandone un'interpretazione formalmente perfetta, ma cambia il linguaggio con cui li si esprime, diretta conseguenza del differente scopo ricercato nelle composizioni (una musica ancora più intimista, a suo modo "impressionista" e più pensante).
Il risultato è un misto fra soundscapes ambientali e un rock strumentale fortemente atmosferico e cinematico, dalle tinte a tratti piacevolmente noir, che ricrea scenari suggestivi in cui convivono brucianti droni chitarristici noisy e la delicatezza tipica dei gruppi più evocativi ed eterei.

Tunnel Blanket è la risposta a tutti quei gruppi che non fanno altro che riciclare il sound tipico di EitS e Mogwai, quest'album è, concettualmente, ciò che il post rock dovrebbe essere.

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