Voto: 
9.2 / 10
Autore: 
Gravenimage
Etichetta: 
Massacre
Anno: 
1995
Line-Up: 

- Anders Mareby - violoncello
- Liv Kristine Espenas - soprano
- Pal Bjastad - chitarra
- Hein Frode Hansen - batteria
- Lorentz Aspen - pianoforte, tastiera

Tracklist: 

1. A Hamlet for a Slothful Vassal (04:05)
2. Cheerful Dirge (05:03)
3. To These Words I Beheld No Tongue (05:06)
4. Hollow-hearted, Heart-departed (04:57)
5. ...A Distance There Is... (08:51)
6. Sweet Art Thou (03:58)
7. Mïre (04:08)
8. Dying - I Only Feel Apathy (05:08)
9. Monotone (03:10)

Theatre of Tragedy

Theatre of Tragedy

Se si è attirati dalla notte, trovandola irresistibilmente e inspiegabilmente affascinante, se si è spaccati in due, metà luce e metà ombra, e l’ombra sembra parlare con la voce della luce tanto è gentile e avvolgente, allora non si può non lasciarsi sedurre dai primi Theatre Of Tragedy. Il loro omonimo esordio ha cambiato per sempre il modo di fare un certo tipo di musica, e anzi, ha contribuito in maniera essenziale alla creazione di quello che ora chiamiamo gothic metal. L’uscita dell’omonimo debutto ha creato subito uno “zoccolo duro” di appassionati seguaci della band, che finalmente trovavano un’espressione musicale di quel particolare sentimento che fa vedere tutto il mondo colare giù in tinte di nero, spaccato da raggi di luce di una bellezza incredibile, bloccato da momenti di delicatissima liricità interna. E’ dualità la musica dei Theatre Of Tragedy; è la contrapposizione tra il ringhio di Raymond e l’eterea, indescrivibilmente soave, voce di Liv Kristine: fuoco e acqua che non si spengono e non evaporano, creando dei percorsi che, persino quando coincidono, saranno sempre ed immancabilmente spezzati per un puro fattore di essenza: luce e tenebra, cuscino e coltello, rosa di copertina viva e pulsante e rosa sbriciolata, ormai prosciugata dalla vita.

La cupa monotonia del doom metal si sposa a pause, dettate dalle tastiere e soprattutto dai delicati passaggi di pianoforte di Lorentz Aspen, di una leggerezza che, lontana dallo spezzare il ritmo dei riff acuti e sporchi, provoca una sensazione di sintesi tra il caldo e il freddo, spine e petali della stessa rosa che, sia in alternanza sia in unità, sfiorano l’anima, pungendola e accarezzandola allo stesso tempo. Nessuna canzone meglio di A Hamlet For A Slothful Vassal può fare da manifesto al sound dei Theatre Of Tragedy, con quel motivo di pianoforte che si cementa nella testa, si attacca come edera e non si stacca più, mentre Raymond e Liv dialogano come la luna e il sole, toccando l’apice nella sovrapposizione delle loro voci.
Anche il mixaggio, cui mette mano, assieme a Raymond, un geniale Dan Swano, evidenzia nella sua sintonia alla musica dei Theatre Of Tragedy la cura messa dai ragazzi nella loro prima uscita: una produzione che appare come coperta dalla polvere, da una patina scura ma lieve, complice di quell’effetto scurente che da l’impressione. Mentre il disco scorre, di guardare una vecchia fotografia ingiallita dal tempo, da ricordi dolorosi e dolcemente malinconici.

Ma l’impegno profuso non si ferma qui: anche i testi, scritti da Raymond, sono concepiti con una cura incredibile, tanto da essere vere e proprie poesie, a cui l’inglese shakespeariano dona profondità e sapore unici, trasformando ogni canzone in un episodio da esplorare a fondo su diversi livelli, come la meravigliosa Sweet Art Thou, in cui ancora il pianoforte fa la parte del leone, tracciando un tappeto sonoro che trasporta altrove, accompagnato dal riffing monotono e dannato di Pal Bjastad, che prepara l’entrata in scena di Raymond e Liv, qui più ispirati che mai nei loro dialoghi. E’ impressionante come,per entrambi gli stili di canto, le parole del testo creino un equilibrio, ritmico per Raymond e melodico per Liv, tale da rendere perfetta la resa sonora del cantato. Certo è vero, sempre parlando delle lyrics, che l’approccio è resa difficile dalla notevole complessità di queste, ma una volta impegnatisi a penetrare gli arcaismi e le forme lessicali più complesse, il valore è quello di vere e proprie composizioni, che non sarebbero dispiaciute allo stesso Edgar Allan Poe.
Niente fillers ovviamente: tutte le tracce sono piccoli gioielli oscuri e scintillanti, con picchi di splendore gotico in To These Words I Beheld No Tongue, con il suo cupo e lento giro di basso poi ripreso dalla chitarra, e A Distance There Is, leggera e fresca come i primi venti di autunno, in cui una partitura veramente geniale di pianoforte accompagna in modo imprevedibile la voce di Liv, con accelerazioni e cambi improvvisi di tonalità: è davvero incredibile come una traccia della durata di nove minuti possa arrivare alla fine in modo così scorrevole.

Il valore di un disco come questo è immenso: non solo per l’innovazione musicale che i Theatre Of Tragedy hanno portato nella seconda metà degli anni ’90, andando in seguito ad influenzare decine di altre band che ancora oggi portano avanti (anche se mai con gli stessi, identici stilemi) il sound dei norvegesi, ma soprattutto per l’incredibile valore che il disco ha per tutta una fetta di popolo gothic, che saluta da anni la notte con A Hamlet For A Slothful Vassal, e le dà l’arrivederci con A Distance There Is

“So by a dint of smite I gait ere I run and melt together with dusk.
In my mind in which is this event,
But it seems as if naught is to change anyway?!
After all these years thou left'st me down in the emotional depths -
The sombre soaked velvet-drape is hung upon me”

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