Voto: 
6.9 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2002
Line-Up: 

- Liv Kristine Espenæs Krull - voce
- Raymond Rohonyi - voce
- Frank Claussen - chitarre
- Lorentz Aspen - tastiere
- Hein Frode Hansen - batteria
- Eirik T. Saltrø - basso
- Vegard K. Thorsen - chitarre
 

Tracklist: 

1. Automatic Lover
2. Universal Race
3. Episode
4. Play
5. Superdrive
6. Let You Down
7. Starlight
8. Envision
9. Flickerlight
10. Liquid Man
11. Motion

Theatre of Tragedy

Assembly

Stupito il mondo metal con l'enormemente controverso Musique, i norvegesi Theatre of Tragedy dopo soli due anni con Assembly approfondiscono e consolidano il loro nuovo percorso musicale optando per l'estremizzazione degli elementi più discussi del loro stile: il secondo album del nuovo corso è quindi più elettronico, più radiofonico, più da dance-floor, più ammiccante, più spigliato, più malizioso, più pop.
Diventa a questo punto impreciso e fuorviante parlare di industrial rock/metal con quest'album, perché i tratti distintivi del genere ormai si riducono alla (sporadica, fra l'altro) presenza di chitarroni distorti e ripetuti ogni tanto a fare da muro sonoro melodico ma abrasivo; però in questa sede ci limitiamo ad utilizzare come categorizzazione quella che, approssivamente, più si avvicina al disco fra le disponibili.

L'album è sostanzialmente un ibrido che ha le sue fondamenta nel pop e nell'elettronica, in misura anche maggiore che nel precedente album, ma che non disdegna interventi più aggressivi con riff meccanici e batteria a volte ossessiva. L'elemento chitarristico (più influenzato da acts come i connazionali Zeromancer), anche se a volte pare far emergere un'interessante vena synth rock, è comunque divenuto secondario, offrendo molta meno varietà nei riff e potendo teoricamente essere soppresso dalla maggior parte delle canzoni senza pregiudicarne l'essenza; ciò in alcuni casi enfatizza il lato melodico-elettronico facendolo risaltare positivamente, in altri fa sembrare i brani più piatti e monotoni.
Sfortunatamente, abbracciata la ventata rinnovatrice del sentiero intrapreso con Musique, i ToT si assestano su di una condizione più prevedibile in cui emergono l'enorme carica melodica e il piglio provocatorio, ma senza la stessa freschezza del predecessore, finendo così per apparire ad un certo punto un divertissement (anche nei testi, diciamo più "semplici" e scanzonati che in passato) più monotono e meno ridefinitore di coordinate musicali.

Se si eccettuano alcuni pezzi, come l'opener Automatic Lover (riff caustici, ritmo robotico, atmosfere oscure e voce inquietante, pur spezzata da un fraseggio ammiccante nel finale), i brani tendono ad essere principalmente molto contaminati da un approccio melodico e vocale influenzato da europop, teen pop ed electro-clash, che strizza l'occhiolino agli Ace of Base come a Kylie Minogue. Già la successiva Universal Race su canonici riff industrial rock innesta ritornelli ultra-catchy ed effetti vocali ammiccanti (anche per il testo che è una metafora sessuale) e anche se Episode è cupa e con riferimenti al Marilyn Manson del periodo Holy Wood, il tutto si rimescola con la cadenzata ma intrigante Play.
Si punta ora a scioccare fino in fondo con la relativa parentesi di Superdrive: pura base "commerciale" con tanto di chitarre acustiche plasticose in linea con gli stereotipi delle popstar da classifica, vocals da ballata teen pop, struttura lineare e prevedibile, batteria leggera e niente chitarroni; solo l'elettronica da club può risultare più corposa della norma. Non fraintendete, non stiamo affatto dicendo che i ToT si siano svenduti ai cliché da classifica perché il tutto in questa canzone suona deliziosamente ironico, provocatorio e soprattutto beffardo. E sicuramente Raymond (la cui presenza vocale nel disco fra l'altro è molto marginale) ci avrà riso su pensando a qualche vecchio fanboy urlare "tradimientooo" mentre ascolta Superdrive o leggendo chissà quali messaggi indignati di protesta.
Che dire poi di Let You Down, con chords distorti di sottofondo, trascinante ritmo upbeat, testo sempre più sciocco (è voluto), synth danzerecci e voce sensuale con ritornello irresistibile, se non che con essa abbiamo fino ad ora l'ennesima hit divertente e che non mancherà di far gridare allo scandalo?

Contrariamente a quel che potreste pensare, le scelte melodiche e i tappeti elettronici sono molto ricercati, tradendo una cura stilistica impressionante in fase di composizione che a sua volta mostra la vena più irriverente del gruppo nel confezionare il tutto con questa veste.
Semplicemente i Theatre of Tragedy si sono limitati a fare quel che gli pareva con totale genuinità, compiendo le proprie personali scelte in assoluta autonomia, con voglia di sperimentare le trovate che più fanno discutere e dimostrando larghe vedute musicali (e ci mancherebbe, viste le siderali distanze musicali che separano i primi dischi da questo nuovo corso), come anche uno spirito beffardo e provocatorio - ovvio, quando si è consapevoli che si farà bestemmiare più di un metalhead.
Il songwriting è però molto meno originale e rinfrescante che in Musique, finendo per sembrare occasionalmente più un esercizio di stile fine a sè stesso. Ciò risalta soprattutto nella meno caratterizzata seconda parte del disco, dove le idee iniziano ad affievolirsi e le melodie trascinanti, i ritornelli irresistibili iniziano ad essere appiattiti e diluiti in composizioni più banali e prevedibili. Il lato chitarristico invece permane in una stagnante situazione di supporto alla melodia, senza offrire spunti e rimanendo in ombra.

Starlit è un pezzo relativamente più oscuro, con riff mesmerizzanti, elettronica rarefatta ma avvolgente, voce tenue che mescola vocalizzi più celestiali a fraseggi da boyband che però qui stonano un poco.
Envision è a metà strada fra Episode e Starlight, con nuovamente le chitarre acustiche che però questa volta risultano più anonime e non suonano divertentemente provocatorie. Flickerlight non aggiunge nulla a quanto già ascoltato, fortunatamente Liquid Man rinfresca un po' il disco con elettronica alla Birthday Massacre, ritmi downtempo, atmosfere che si avvicinano ai primi Evanescence e bassi, cupi e ripetuti riffoni industriali che però ricordano anche qualcosa di Aegis (!).
Infine Motion è una ballata elettronica dove si rimescolano Air, Kraftwerk, Madonna, Ace of Base; piacevolmente atmosferica ma un po' manierista.

Assembly è in definitiva un album ancora più electro-pop/dance del predecessore, nel midollo ancora rientrante nel "mondo rock" e stilisticamente sporcato di interventi industrial rock ma sempre basato su di un'attitudine scanzonata, briosa, sfrontata e sfacciata, con una notevole predilezione per la trascinantezza radiofonica e in cui a far da padrone è soprattutto la versatilissima voce di Liv Kristine con i suoi guizzi vocali cristallini.
Ovviamente per i vecchi fan ciò significherà che "si sono venduti a MTV" o altre amenità simili, ma al giovine medio che ascolta solo il pop da classifica o la dance da discoteca (la "robba commerciale" insomma) in realtà difficilmente potrebbero piacere questi elementi mescolati ai chitarroni distorti, alla batteria ossessiva, ai tempi anche sincopati, ai sintetizzatori che così come si impegnano in refrain melodici possono intrecciare anche stratificazioni aspre e corrosive. In parole povere, un album "bastardo", per questo controverso, ma infinitamente più caratterizzato e ricercato di un banale stereotipo poppeggiante.

Se si vuole criticare nella svolta la scelta stilistica in sè a prescindere dalla qualità del songwriting, piuttosto, si potrebbe obiettare che cambiamenti tanto drastici possono generare troppa confusione e smarrimento negli ascoltatori, oltre che scombinare tutta la personalità del gruppo: sarebbe stato meno disorientante in teoria quindi impegnarsi nel discorso con un progetto parallelo, lasciando al monicker Theatre of Tragedy la propria identità distinta da quest'ulteriore. La musica tanto rimane in ogni caso e i musicisti possono liberamente scegliere su cosa concentrarsi nella propria produzione artistica.

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