Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Listenable Records
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Pieter Vierpaalen - vocals
- Dennis Aarts - bass
- Jochem Jacobs - guitars, vocals
- Stef Broks - drums
- Richard Rietdijk - keyboards
- Bart Hennephof - guitars

Tracklist: 


1. Swandive
2. Ostensibly Impregnable
3. Young Man
4. Transgression
5. The Barrier
6. Effluent
7. Polars
8. Heaven

Textures

Polars

Gli olandesi Textures si formano a Tilburg nel 2001 e dopo un po' di gavetta pubblicano nel 2003 il loro debutto Polars, prodotto dalla stessa band e distribuito dalla Listenable.
Le ispirazioni del gruppo sembrano essere principalmente il post-thrash caustico e meccanico dei primi Meshuggah, seguito a ruota da un thrash più convenzionale di gruppi come i Testament, influenze death metal in particolare dal melodic death più martellante (es. primi Soilwork e ultimi At the Gates, anche vocalmente), qualcosina metalcore e tutta una sfilata di tempi dispari, stacchi di chitarra e aperture melodico/tastieristiche - sempre ricollegandosi in primis ai Meshuggah.
Frontman del gruppo è l'aggressivo Pieter Vierpaalen, le cui linee vocali sono debitrici di quelle di vocalists come Jens Kidman o Thomas Lindgren, ma molto potenti.
Vi è anche una certa propensione per aperture ambient-oriented, col fine di personalizzare lo stile e generare un contrasto fra "morbido" e "duro" che suoni suggestivo e accattivante, ma esse sono abbastanza marginali nell'economia complessiva dell'album in realtà.

Nonostante i punti di riferimento di calibro, i Textures non riescono nell'opera di sintesi degli stessi, evitando sì di ricalcare i gruppi che li ispirano, ma neanche ottenendo uno stile sufficientemente caratterizzato e originale dall'unione dei loro sound, che confluiscono così in un collage di influenze ancora disomogeneo.
Il disco però non è brutto, semplicemente tende a suonare sconnesso e prevedibile, dal songwriting ancora acerbo.
I lati positivi sono comunque l'incisività degli arrangiamenti, granitici e brucianti ma sempre con il giusto equilibrio fra senso melodico e potenza, e l'attitudine aperta alla contaminazione atmosferica, fattore che infonde un potenziale interessante nel gruppo - evidentemente necessitante di ulteriore esperienza ma con le carte in regola per crescere e ottenere ottimi risultati col tempo.

Swandive è un pugno diretto di batteria martellante, riff caustici e blastbeats, occasionalmente stemperati dalle distensioni melodiche dei ritornelli.
Ostensibly Imaginable riprende le evoluzioni più meccaniche e alienantemente amelodiche dei Meshuggah impiantandovi melodie townsendiane e refrain groove metal più incalzanti, fino alla conclusione in cui ripercorre i binari dell'opening.
Young Man ricalca certo melodic death metal (i Dark Tranquillity di The Mind's I con i loro ruvidi martellamenti, ma anche gli At the Gates di Slaughter of the Soul per il tono afflitto, i Ceremonial Oath ed in parte gli Arch Enemy per il piglio) mescolandolo alle coordinate già incontrate. Le aperture alla melodia iniziano a sembrare un po' banali e il pezzo ne risulta ripetitivo, escludendo un'outro atmosferica - tuttavia irrilevante.
Transgression riprende più sfacciatamente il post-thrash americano ed il thrash old-school tedesco, aggiungendovi un pizzico di meccanicità industriale; ma il tutto viene spezzato da un intermezzo melodico completamente in contrasto con il resto del brano, interrotto però all'improvviso da una sfuriata praticamente da death metal floridiano che si combina a passaggi a mezzavia fra il thrash della bay area più pesante e il melodeath, riff ripresi dai Carcass e attacchi in linea con la parte iniziale della traccia.
The Barrier rimescola ulteriormente thrash, death metal, inserti melodici e qualcosina di industrial metal, solo la breve durata che rende il brano diretto e incalzante impediscono che suoni ridondante e trito.
Effluent è una parentesi ambient tenue e soffusa, dai risvolti quasi onirici, ma impregnato di un pizzico di malinconia che traspare dai tappeti di tastiera.
La titletrack Polars è il pezzo più ambizioso di tutti, una lunga suite di ben 18 minuti di thrash bruciante dove Machine Head, Nevermore, Metallica, Meshuggah e Sepultura vengono mescolati assieme a tutte le parentesi incontrate nel corso del disco per creare qualcosa concettualmente ambizioso e, grazie anche alla sua strutturazione che ammette dilatati (ma alla lunga soporiferi) interludi ambient e elucubrazioni melodiche tendenzialmente progressive, suggestivo. Forse però gli ingredienti messi a cuocere sono troppi, o troppo buttati lì per farne sfoggio, lasciando qualche neo nella forma della ridondanza e dell'auto-celebrazione. Sarebbe interessante vedere dei Textures con più esperienza nel bagaglio mettersi alla prova con altre suite, in modo da attuare una sintesi stilistica e compositiva più efficace, concreta e ancora più raffinata negli arrangiamenti.
Anche la conclusiva Heave è lunga (quasi un quarto d'ora) ma questa invece è una prolissa escursione interamente ambient dai toni spaziali che può risultare una ending d'atmosfera così come un monotono esercizio di stile senza tanti sussulti o variazioni creative.

Diverse idee non perfettamente congegnate e disorganizzate minano il lavoro dei Textures, come per un gruppo che vuole sperimentare, ma non riesce a farlo mettendo a fuoco il bersaglio, nè slegandosi dagli stilemi usati come base in modo da ottenere una miscela fresca e personale. Sembra che osino più nelle intenzioni che traspaiono dai loro pezzi che all'atto concreto al nocciolo degli stessi.
La carne al fuoco, però, è invitante e sufficiente a far ben sperare per il futuro: il potenziale c'è, l'attitudine pare quella giusta, gli spunti sono promettenti.
Dobbiamo solo attendere che gli olandesi maturino e trovino la formula compositiva giusta per confezionare un disco dalle coordinate nitide e solide, un disco vincente che faccia parlare di sè a lungo.

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