Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast
Anno: 
2012
Line-Up: 

Greg Christian  Bass 

Alex Skolnick  Guitars 

Eric Peterson  Guitars 

Chuck Billy  Vocals 

Gene Hoglan  Drums

Tracklist: 

1. Rise Up  04:18  

2. Native Blood  05:21  

3. Dark Roots of Earth  05:45  

4. True American Hate  05:26  

5. A Day in the Death  05:38  

6. Cold Embrace  07:46  

7. Man Kills Mankind  05:06  

8. Throne of Thorns  07:05  

9. Last Stand for Independence  04:43

Testament

Dark Roots of Earth

Un nuovo album dei Testament è sempre un evento atteso. Vuoi per la qualità quasi sempre medio-alta, vuoi per le sorprese in formazione che ogni volta il duo Billy-Peterson ci propone. Ad ogni modo, ogni nuova uscita discografica da parte del gruppo californiano  crea una sorta di spasmodica attesta per tutti gli appassionati di thrash metal. A ben quattro anni di distanza da The Formation of Damnation, lavoro che alla mie orecchie suonò non eccezionale,  Billy – Peterson – Christian – Skolnick reclutano nuovamente un certo Gene Hoglan da piazzare dietro alle pelli per questo Dark Roots of Earth. Andy Sneap si occupa dei suoni ed ora vediamo se la lunga attesa per questo album sarà ripagata.

Si inizia col botto grazie a Rise Up.  Il mix riuscitissimo di groove stile Practice What you Preach e le sfuriate di doppia cassa del mastodontico Gene si scontrano con riffs taglienti, tellurici ad accompagnare un ritornello di facile presa. Chuck Billy è in stato di grazia e lo dimostra pienamente con una prova magistrale dietro al microfono: il suo timbro graffiante misto a le solite puntate growl colpisce nel segno. Inutile citare le bravura di Skolnick con le sue sei corde, specialmente in fase solista. L’incipit non poteva essere migliore ed ecco che ci accingiamo a Native Blood, song che sembra non mostrare sorprese sino al primo minuto di durata quando alcuni blast beats supportano un riffing decisamente più accessibile (scuola svedese?). Essi risultano spiazzanti in un struttura canonica direi, tra stop and go e cadute nel groove che troveremo in dosi massicce a seguire nel disco. La title-track forse rappresenta il primo vero esperimento dell’album grazie al suo doom prolungato con voci a tratti filtrate. Di thrash metal c’è ben poco ed il tutto viene rimpiazzato da melodie soliste, arpeggi e profondi riffs ritmici.

True American Hatemostra nuovamente il lato più aggressivo dei Testament, tuttavia la melodia non viene mai dimenticata. A tratti la rabbia del gruppo è talmente elevata che sfocia in altri blast beats a supportare questa volta riffs in tremolo da retrogusto black. Le sezioni groove piazzate nel mezzo forniscono la base per il libero sfogo delle melodie barocche ad opera di Skolnick. A seguire troviamo A Day in the Death, song tendente al groove anni 90  ma con alcune ripartenze di buona fattura che smuovono le acque senza, tuttavia, far gridare al miracolo. Le melodie di Cold Embrace risultano essere persino troppo zuccherose, distanziandosi parecchio da quelle che si potevano trovare in occasione delle classiche thrash metal ballad di anni 80/90 ed il tutto scivola via senza far presa. Il buon ritornello di Man Kills Mankind a volte viene soffocato da una struttura leggermente stantia che privilegia le dissonanze e l’approccio dark senza colpire realmente nel segno, oltre che a rendere il “Testament sound” irriconoscibile.

Avvicinandoci alla fine dell’ascolto troviamo ancora Throne of Thorns, dal groove molto accentuato che forse dovrebbe essere lasciato agli Exodus moderni, decisamente più capaci e meno spompati.  In chiusura di disco troviamo Last Stand for Independence con i riffs serrati ed il tappeto di doppia cassa quasi continuo. Una canzone non violenta ma che a confronto con le precedenti sicuramente svetta. Insomma, una degna fine per un lavoro non eccezionale. Di Testament qui c'è ben poco e dopo quattro anni di attesa mi sarei aspettato di più ma ovviamente senza illudermi perché di The Gathering ce n’è uno solo. Dark Roots of Earth non è un brutto album ma semplicemente un lavoro da ascoltare sporadicamente e senza neanche troppa attenzione.

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