Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Marco Maculotti
Genere: 
Etichetta: 
Rhino
Anno: 
1969
Line-Up: 


Iggy Pop – voce
Ron Asheton – chitarra
Dave Alexander – basso
Scott Asheton – batteria

Tracklist: 


1, 1969
2. I Wanna Be Your Dog
3. We Will Fall
4. No Fun
5. Real Cool Time
6. Ann
7. Not Right
8. Little Doll

Stooges, The

The Stooges

Alla domanda “Chi ha inventato il punk?” le risposte della gente sono le più disparate: i più ignoranti in materia andranno sul sicuro affermando fieri “I Sex Pistols, naturale!”, quelli già più ferrati in materia nomineranno i Ramones e la scena newyorkese del CBGB, arretrando ulteriormente fino al 1973, anno di uscita del primo album dei New York Dolls. I più probabilmente si fermeranno qui, ma pochi sanno che il punk fu inventato nel 1969 e non nella New York brulicante di band rock'n'roll/garage né tantomeno nella Londra bruciante, bensì nella “città delle macchine”, la città della disoccupazione crescente e della noia generazionale: Detroit.

E' proprio a Detroit che nascono gli Stooges, gruppo guidato dal frontman Iggy Pop (che definire carismatico è un eufemismo) che sul finire degli anni Sessanta cambiò (assieme ad altri gruppi come i concittadini MC5) il corso della storia della musica, proponendo una personale rivisitazione del rock degli anni sessanta (Hendrix e i Doors) esasperandone la componente decadentista e sguaiatamente disperata. The Stooges, semplicemente così si intitola il primo album dei quattro, è il manifesto della noia e dell'insoddisfazione generazionale cui la band dell'”Iguana” si fanno portabandiera, un'esplorazione negli anfratti più oscuri e desolanti della psiche umana, una caduta senza appigli nelle bolge infernali, dove non c'è alcuna speranza di salvezza o di auto-realizzazione.

Tutto appare già chiaro fin dal primo riff di chitarra dell'album, quello che dà il via alla opening-track 1969: la chitarra è distorta come non mai e magnificamente rappresenta la frustrazione di una generazione di sconfitti ancora prima di nascere, una generazione “no future”, così come la nomineranno poi i Sex Pistols, quasi un decennio dopo; tutta l'insoddisfazione della band è rappresentata divinamente dalla voce sguaiata di Iggy Pop che pronuncia con disillusione la frase culminante: “It's another year for me and you/Another year with nothing to do“. Con la seconda traccia si toccano gli apici della depravazione e della ricerca di un'anarchia autodistruttiva: I Wanna Be Your Dog è il manifesto perfetto del punk-prima-del-punk, una canzone violentissima caratterizzata da un riff paurosamente compatto e ipnotico, che ci trasporta direttamente al centro di un vortice di eccessi ed esagerazioni; il pezzo esplode con il furente ritornello che ripete per tre volte di fila, con rabbia sempre maggiore, l'aspirazione di Iggy a ridursi ad un oggetto di sfogo sessuale, sebbene poi nella seconda strofa venga fuori tutta la poetica quasi decadentista dell'”Iguana” (“Now I'm ready to close my eyes/And now I'm ready to close my mind/And now I'm ready to feel your hand/And lose my heart on the burning sands”).

Il terzo episodio dell'album, We Will Fall è un pezzo tantra lungo dieci minuti che ricorda i deliri di Jim Morrison: sembra di essere in mezzo ad una seduta spiritica nella quale l'”Iguana” è il medium, un medium dannatamente inquietante che ci racconta le sue aspirazione di uno squallido amore consumato nella stanza 121 di un infimo motel, chiudendo il brano con una frustrante considerazione: sono le sei del mattino, è tempo di chiudere questa parentesi amorosa e di ritornare alla noia di tutti i giorni, addio. Si ritorna al punk con No Fun, tanto è vero che i Sex Pistols chiusero il loro ultimo concerto proprio con questa cover: nella prima parte della canzone Iggy, sempre supportato strumentalmente dai suoi degni accompagnatori, ci mostra l'inutilità e la disperata solitudine del genere umano (“Nessun divertimento ad andare in giro/Sentendosi sempre allo stesso modo”), nella seconda strofa invece, dopo aver ribadito il concetto, lancia una disillusa invettiva al ritmo della vita di tutti i giorni, che non fa altro che aumentare la frustrazione di una vita senza realizzazioni (“Potrei uscire/Potrei stare a casa/Potrei chiamare mamma al telefono/Andiamo avanti così, andiamo avanti così, andiamo avanti così...”). Con Real Cool Time ritorna in primo piano il desiderio di amore, o meglio di sesso, di Iggy Pop, il quale canta (o meglio: ulula) con la solita intonazione tediosa la sua brama di fissare un appuntamento: lo stesso concetto si ripete per tutta la canzone, per mettere in risalto la disperata ricerca di emozioni che alla fine si risolvono sempre in un circolo vizioso, quello dell'insoddisfazione più pesante, quello della continua ricerca di emozioni e della continua disillusione di essi.

Con Ann i toni si smorzano e Iggy Pop ritorna a fare il Jim Morrison, anche per quanto riguarda le liriche: è pura poesia, anche se si intravede sempre in qualche modo la frustrazione di un desiderio che non potrà mai appagare fino in fondo sé stesso (“Ho guardato dentro i tuoi gelidi, gelidi occhi/Mi sono sentito così bene, così bene/Ho galleggiato nelle tue piscine/Mi sono sentito così debole, così triste”). Il tema dell'amore non corrisposto e della disillusione dei desideri insiti nella natura umana ritorna anche nella seguente Not Right, nella quale Iggy con il solito tedio pronuncia svogliato le solite rime di desolazione (“Voglio qualcosa, vogli qualcosa questa notte/Ma lei non puoi aiutarmi perchè non è a posto/No, no, no, no/E' sempre, è sempre la stessa menata”). Lo stesso tema conclude anche l'album in un apice di depravazione e degenerazione, quella Little Doll in cui Iggy narra il suo massimo momento di realizzazione, una nottata passata con una “bambolina”, una prostituta, unico spicchio di felicità (apparente) in una vita caratterizzata da frustrazioni e insoddisfazioni.

Cala il sipario su questo capolavoro del rock'n'roll più selvaggio e depravato, del punk ante-litteram, ma anche della poesia decadente più intimista fatta musica. Iggy oggi, dopo quasi quarant'anni, a sessant'anni suonati, è ancora “on the road” ed è sempre più animale da palco: non è un'esagerazione affermare che sia lui il vero re del rock'n'roll.


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