Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
1995
Line-Up: 

- Neal Morse - voce solista, Mellotron, organo Hammond, tastiera, chitarra elettrica, chitarra acustica

- Alan Morse - chitarra elettrica, violoncello, Mellotron, voce

- Dave Meros - basso, French Horn

- Nick D'Virgilio - batteria, percussioni, voce




Tracklist: 

1. The Light (15:33)

2. Go the Way You Go (12:03)

3. The Water (23:07)

4. On the Edge (06:11)

Spock's Beard

The Light

Gli americani Spock’s Beard nacquero tra il 1990 e il 1991 ad opera del polistrumentista Neal Morse, che si impegnò a scrivere tutto il materiale per completare la prima uscita discografica, denominata The Light. Questa è un’opera complessa che riuscì ad essere pubblicata solo nel 1995, quando gli Spock’s Beard firmarono il contratto per la Inside Out.
La musica della band si compone di ampie strumentazioni riferibili al Progressive degli anni ’70, molto curato nei particolari, con speciale attenzione a cambi di tempo, frenate improvvise, aperture sonore di pregevole fattura: uno stile insomma paragonabile a quello di celebri formazioni inglesi come Yes, Genesis, Emerson Lake & Palmer, Camel e King Crimson.

In un periodo in cui il Progressive Rock era stato quasi completamente abbandonato per lasciare spazio alla sua evoluzione americana, portata avanti da gruppi quali Dream Theater, Fates Warning, Shadow Gallery e da nuove proposte europee come Threshold e Vanden Plas, gli Spock’s Beard e lo stesso Neal Morse si addentrano a riscoprire antichi meandri dimenticati, unendo elementi Folk ad altri più sinfonici, come testimonia la lunga suite d’apertura The Light.
Quindici minuti di continue variazioni sul tema di base, di soluzioni inedite ai limiti del Folk spagnolo, per un concept ben concepito: il mellotron, le altre sezioni di organi e la voce melodica di Neal Morse riecheggiano per tutta la durata del brano, riempiendo la composizione di un’atmosfera originale e a tratti scherzosa, come avviene anche per il secondo capitolo Go the Way You Go.
Il song-writing è buono e numerosi riff si trasformano in motivi trascinanti, colmi di eleganza mista a confusione musicale e dotati di una personalità inedita al nuovo panorama Progressive.
Leggermente sconnesse le varie parti di cui si costituisce la seconda traccia, forse un po’ troppo discostanti le une dalle altre, ma tutte intrise di quell’anima particolare che caratterizzerà il sound tipico di ogni prodotto Neal Morse. Il problema di fondo è quello della lunghezza dei pezzi: come in ogni album Progressive che ricalchi la tradizione dei ’70, le canzoni devono essere lunghe suite provviste di estese ma raffinate sfaccettature all’interno. Gli Spock’s Beard però, come la maggior parte delle nuove proposte di questo genere, non riescono a costruire monumentali tracce senza peccare in banalità o in ripetitività. Innumerevoli passaggi non si amalgamano con efficacia e il prodotto risultante sembra formato da tanti pezzi staccati, in cui le connessioni tra un motivo e l’altro sono spesso inesistenti.

Allo stesso modo, la mastodontica The Water, di ben ventitre minuti di durata, rispecchia in pieno le sonorità dei ’70, ispirandosi al virtuosismo degli Emerson Lake & Palmer per le sezioni pesanti e intricate di organi: le cadute di lucidità sono parecchie, sia riguardanti la monotonia e la lentezza di tante porzioni scarne musicalmente.
Neal Morse cerca di privilegiare l’aspetto riflessivo rispetto al bombardamento sonoro presentato dagli Emerson Lake & Palmer, in grado di far mantenere costantemente l’attenzione verso i brani: gli inserti Soul come voci in sottofondo non stonano granché, ma la suite pare quasi una cadenzata ballata che non esplode mai e che non rivela così la vera faccia degli Spock’s Beard. Le riprese di tono sono rare, supportate dalle scalette Jazz del pianoforte, ma esse non bastano a far guadagnare al brano un ottimo spessore. The Water sembra a volte un’improvvisazione non ragionata e con il trascorrere dei minuti diventa dura da digerire, nonostante alcuni spunti siano perle geniali smarrite in un mare di prolissità.
Al contrario la finale On the Edge si distingue per i temi contorti di basso, che costruisce il tessuto ritmico di base su cui si inseriscono gli altri strumenti, capaci di riempire l’architettura musicale senza lasciare spazi vuoti inadatti.

In conclusione The Light costituisce un album di debutto discreto, che sa differenziarsi notevolmente da tutte le altre uscite Progressive per il suo sound spontaneo, ma che non è stato ultimato con sapienza e con la consapevolezza necessarie a farlo risultare un capolavoro. Esso però segna l’inizio di una nuova epoca per il genere, quella tracciata dal gruppo di artisti connessi a Neal Morse e alla sua produzione ricca numericamente, ma spesso scontata musicalmente.

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