Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
1998
Line-Up: 

- Jackson Bandeira - chitarra
- Max Cavalera - chitarra, voce, berimbau
- Marcelo Dias - basso
- Logan Mader - chitarra
- Roy Mayorga - batteria
- Larry McDonald - conga
- Marcelo D. Rapp - basso

Guests:
- Burton C. Bell - brano 1
- Dino Cazares - brano 1
- Jorge Du Peixe - brani 1, 2, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 14
- Gilmar Bolla Oito - brani 1, 2, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 14
- Dj Lethal - brani 3 e 13
- Fred Durst - brano 3
- Chino Moreno - brano 6
- Chuck Johnson - brani 8, 15
- Los Hooligans - brano 9
- D-Low - brano 12
- R.D.P. - brano 12
- Christian Olde Wolbers - brano 13
- Benji Webbe - 14
 

Tracklist: 

1. Eye for an Eye
2. No Hope = No Fear
3. Bleed
4. Tribe
5. Bumba
6. First Commandment
7. Bumblkaat
8. Soulfly
9. Umbabarauma
10. Quilombo
11. Fire
12. The Song Remains Insane
13. No
14. Prejudice
15. Karmageddon

Soulfly

Soulfly

I Soulfly sono il prodotto della mente di Max Cavalera (ex-frontman dei brasiliani Sepultura), nati in seguito alla pubblicazione di Roots per via della sua particolare svolta musicale. L'uscita di Roots nel 1996 fu un capitolo molto importante per i Sepultura oltre che dal punto di vista stilistico anche per il loro rapporto con il mondo metal: quelli che erano stati un importante e innovativo punto di riferimento per il thrash/death, proseguendo un'evoluzione le cui radici si potrebbero ritrovare in Chaos A.D., d'improvviso si avventurano in lidi di influenza fortemente groove metal e nu metal-oriented, nonché contaminati da elementi folkloristici tribali (sia nella musica che nei testi). Il cambiamento, voluto fortemente da Max Cavalera (che in fondo negli ultimi album dei Sepultura era quasi diventato la sola mente alle redini del gruppo), oltre che musicale, viene recepito anche nel look, che si avvicina ora a quello delle band americane più moderne.
E come accade sempre in questi casi, molti vecchi fan storsero il naso e li accusarono di tradimento, nonché di essersi lasciati plagiare da queste nuove sonorità introdotte dai Korn nei due anni precedenti con il debutto omonimo e Life Is Peachy. Altri però, intuendo quel che stava già avvenendo musicalmente nel thrash americano (siamo ormai nell'epoca del cosiddetto post-thrash o groove metal), iniziarono a guardare con interesse le svolte ed evoluzioni di questi anni (fra cui anche quelle di altri gruppi come Fear Factory e Machine Head), chiedendosi dove sarebbero giunte e a cosa avrebbero portato. L'interesse quindi toccò anche i Sepultura, dandogli in certi casi forse anche più fiducia del giovanissimo pubblico nu metal, in quanto quest'ultimo in alcuni casi vide ancora (con un po' di superficialità a dire il vero) troppa derivazione korniana in Roots, eccetto che per gli elementi etnici e tribali assolutamente originali. Ma a causa di gravi problemi familiari, la situazione per Max non era rosea, il suo figliastro Dana Wells muore assassinato in questo periodo e questo fatto innesca una serie di eventi che lo portano a lasciare i Sepultura. Insomma, la formazione brasiliana nel 1996 è in un periodo cruciale della propria storia, ritrovandosì così come in un bivio che lascia il futuro incerto. L'effetto di questa situazione non si fa attendere: giusto l'anno dopo Max Cavalera scrive assieme ai Deftones una canzone, Headup, dedicata al figlio, mentre contemporaneamente inizia a progettare un gruppo nuovo con cui seguire le proprie ispirazioni e i propri interessi musicali. E così che nascono i Soulfly (il nome viene proprio dal ritornello di Headup). E i Soulfly avranno decisamente più fortuna dei Sepultura, come responso di pubblica e critica negli ultimi anni '90.

Diciamolo, in fondo Roots può essere considerato il primo album dei Soulfly, e per questo nel debutto ufficiale omonimo, anch'esso dedicato al figlio, si riscontrano le stesse caratteristiche, portate avanti da Max con una composizione più esperta ed approfondite verso un territorio ancora più groovy ed incalzante. Il risultato quindi è un nu metal intenso e selvaggio, sporcato leggermente di groove metal (eredità thrash dei Sepultura) e ricco di quelle ritmiche e di quegli inserti vocali che incantarono, con il loro sapore etnico, nell'album del 1996. La parte tribale è un altro elemento che viene notevolmente espanso, al punto che le percussioni esotiche diventano una costante nel disco, assieme ad occasionali strumenti esotici come il berimbau. Inoltre, Max cambia continuamente continuamente la formazione, composta di turnisti amici del cantante che militano in altri gruppi (perché lui vede il gruppo come una "grande tribù", una "famiglia") e diversi ospiti (in maniera simile a quanto già adottato nell'hip hop).

Abbiamo così la furia di Eye for an Eye che ci introduce direttamente nell'album: songwriting massiccio, impianto ritmico intenso, Max in formissima. Un'introduzione che lascia davvero ben sperare per gli sviluppi dell'album. E si prosegue ancora meglio con il nu metal acido e ossessivo di No Hope No Fear e con le sperimentazioni di Bleed, in cui partecipano Dj Lethal e Fred Durst dei Limp Bizkit. Non c'è che dire, come biglietto da visita questo primo pacchetto di canzoni è davvero niente male. L'introduzione acustica di Tribe alla voce particolare riporta direttamente nelle atmosfere di brani come Jasco e Itsàri, ma presto arrivano le sfuriate di chitarra a rimescolare il tutto in una dimensione metal. Intensissime le percussioni tribali, oltre che davvero suggestive. Interessanti contaminazioni blues si inseriscono in Bumba, ma a catturare è il selvaggio e trascinantissimo chorus che ripete a squarciagola "bumba". Uno dei brani migliori con tutta certezza; sono inferiori invece le successive First Commandment, che si avvicina ai Deftones (infatti è presente Chino Moreno come guest star) e Bumbklaat, pur sempre buoni brani ma non altrettanto coinvolgenti. Soulfly è una splendida strumentale evocativa e soffusa, che combina la tradizione etnica del gruppo ad una vena blues malinconica, il risultato è molto denso e suggestivo, rendendo il pezzo una piccola perla. Di contrasto, Umbabarauma naviga su riff sludge/stoner bassi e corposi, mentre il chorus è forse il punto più catchy dell'album, assolutamente memorabile (addirittura divenne l'inno non ufficiale della nazionale brasiliana ai mondiali del '98, cantatissima dalla torcida). Un'altra canzone assolutamente divertente è Quilombo, un nu metal veloce scandito dalle consuete percussioni tribali, dai riff molto orecchiabili ed un Cavalera che però in alcuni punti imita un po' troppo i versi di Davis (è meglio quando segue linee vocali più personali). Ancora più trascinante è Fire, mentre The Song Remains Insane (il titolo è una citazione a The Song Remains the Same) è il punto più estremo dell'album, vagamente sporcata di grindcore in una versione filtrata nell'ottica dei Soulfly. Si torna sulle coordinate abituali con il nu/thrash di No, tutto sommato non esaltante quanto i pezzi migliori dell'album, mentre Prejudice procede parallelamente ai Korn più incalzanti e dinamici con qualcosina degli Slipknot. Chiusura affidata alla strumentale Karmageddon, inquietante rievocazione di un mondo primitivo e selvaggio... seguita da una ghost track più gioiosa, il canto di una comitiva in una favela che si distrae dalla propria condizione di miseria tramite il canto in compagnia dei propri cari.

Comunque, se stilisticamente Soulfly rimane ancora molto legato a Roots, certo è però che i Soulfly hanno pienamente intrapreso il sentiero della personalizzazione (di cui vedremo i risultati concreti nel secondo album Primitive) e che la carica dell'album rimane altissima; ma ancora più alta è l'atmosfera generata dall'elemento tribale e dal feeling di Max, in alcuni casi ancora molto simile al Johnatan Davis più rabbioso, in altri pienamente inserito nell'attitudine di maggior folklore dell'album (ma in una versione impulsiva!) che esprime con grande carisma. Se Davis è specialista in versi e "latrati", di un canto angosciato ed espressivo del disagio giovanile americano, Cavalera è grande interprete di un'anima primitiva, la quale affonda le sue radici nella tradizione etnica sud americana, combinata con il senso di disagio e di nichilismo delle generazioni più giovani contro un sistema corrotto e ottuso: il tutto viene condito da un'aura che potremmo definire di cristianesimo "reazionario", quasi ribelle, per via della religiosità presente nei testi abbinata alla voglia di abbattere preconcetti che si respira nell'album.
Un buon esordio in definitiva.

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