Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Stefano Puccio
Genere: 
Etichetta: 
Indie Recordings
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Lazare - voce, synth, campionamenti elettronici, batteria e percussioni
- Cornelius - voce, chitarra e basso

Guests:
- Agnete Kjølsrud - voce (nelle tracce 3 e 7)
- Benedicte Maurseth - voce (nelle tracce 1, 8 e 10), hardingfele (nella traccia 1)
- Kjetil Selvik - sassofono (nelle tracce 4, 5 e 7)
- Vangelis Labrakis - chitarra (nella traccia 6)
 

Tracklist: 


1. Song Til Stormen
2. Hugferdi
3. Tittentattenteksti
4. Stridsljod/Blackabilly
5. Eukalyptustreet
6. Raudedauden
7. Vitets Vidd I Verdi
8. Norrøn Livskunst
9. Waves Over Vallhalla (An Icelandic Odyssey Part III)
10. Til Heimen Yver Havet

Solefald

Norrøn Livskunst

Sono passati ormai quattro anni dall'uscita del secondo ed ultimo capitolo della saga "An Icelandic Odissey", con il quale i Solefald (tra i maggiori esponenti del filone avant-garde metal norvegese) sono stati protagonisti di un lieve cambiamento di rotta che ha comportato una messa da parte delle sperimentazioni proprie di In Harmonia Universali, ispirato al capolavoro degli Arcturus La Masquerade Infernale, per favorire invece una maggiore linearità ed una struttura più vicina al classico Viking metal, senza però mai perdere la vena innovativa e mantenendo un’attitudine avanguardistica figlia della moltitudine di stili che ha continuato ad influenzare il duo.
Cornelius e Lazare (le menti dietro i Solefald) anche per questo nuovo Norrøn Livskunst si circondano di una serie di nomi propri del circuito d'avanguardia; tra questi spiccano Kjetil Selvik, la cui partecipazione al sassofono è ormai consueta, e le vocalist Agnete Kjolsrud e Benedicte Maurseth, alla loro prima collaborazione con il gruppo. Grazie a questi non vengono a mancare quelle caratteristiche che fino ad oggi hanno contraddistinto il sound dei Norvegesi, ancora una volta artefici di un album molto vario nella sua compattezza.

La caratteristica principale di Norrøn Livskunst è l’evidente fusione all'interno di un'unica opera di influenze e stili musicali talmente diversi da risultare talvolta opposti: da un lato si può assistere a momenti molto vicini al black metal, caratterizzati da ritmi spinti e da feroci scream; dall'altro, ritroviamo a contrastarli stacchi jazzistici creati attraverso l’ultilizzo di sassofono e pianoforte, innumerevoli sezioni immerse in melodie eteree e talvolta epiche frutto dell’intelligente sovrapposizione di voci sia maschili che femminili dalle sfumature più diverse (il probabile punto forte dell'album stesso) e di un ottimo lavoro chitarristico rintracciabile nella varietà di riff che vanno dai più duri ai maggiormente raffinati, passando attraverso altri spiccatamente bizzarri.
A questa contrapposizione di stili si aggiungono l’utilizzo massiccio di tastiere e di espedienti elettronici fini ad arricchire notevolmente le atmosfere, di cori, di una batteria sempre vivace e di sporadici elementi folk; il tutto comunque costruito su un'impalcatura tipicamente viking metal che evidenzia le radici della band. Globalmente, l’album si discosta ancora una volta dalle caratteristiche di In Harmonia Universali, per ricollegarsi a grandi linee ai lavori d’esordio (risultando rispetto ad essi però più accessibile) e strizzando l’occhio a lavori come Imaginary Sonicscape dei giapponesi Sigh.

Song Till Stormen dà il via alle danze: Su una struttura accostabile al post metal caratterizzata da ritmiche moderate il pezzo alterna sezioni esplosive costituite dal blocco melodico portante, sul quale spicca un cantato dal sapore nordico e vicino al classico Viking metal, a parti più riflessive costituite dal dialogo tra due soavi voci, una maschile ed una femminile; a ciò si aggiunge la presenza di una tastiera quasi nascosta che da manforte ai dilatati riff chitarristici.
La stessa, dissolvendosi, ci conduce a Hugferdi, che tradisce le atmosfere dell'opener e si porta su ritmiche decisamente black metal, per cui uno scream si contrappone a diverse linee vocali che si rincorrono sullo sfondo di potenti riff, a tratti quasi "slayeriani".
La successiva Tittentattenteksti, uno degli episodi più riusciti, è caratterizzata dall'intreccio di chitarra, tastiera e campionamenti elettronici accompagnati da un drumming marziale che mette in risalto le sopracitate influenze dei Sigh. Ciò che colpisce maggiormente è però la prova vocale di Agnete: un cantato terribilmente stridulo e sporco che si abbina alla spigolosità delle parole pronunciate: “tit for tat a bit of dat a rat a tat a rat tat tat” è un esempio esplicativo, diventando quasi irritante; non mancano però momenti melodici e cori di voci pulite.
Stridsljod (Blackabilly) è un momento quasi freak: Come da titolo, "blackabilly" è la definizione più appropriata per questo “dissacrante” esempio di black metal che, nonostante tutto, non è privo di accattivanti momenti melodici.
A seguire, i nove minuti di Eukalyptustreet fanno da ipotetico spartiacque tra la prima e la seconda metà del disco; stilisticamente parlando, il brano si distacca dai precedenti; è difatti una sorta di jazz-moment. L’atmosfera quasi noir generata da un sensuale sax (oramai immancabile arma del duo) e da un piano, che viene spezzata solo dai momenti in cui compare la chitarra, fa ancora una volta da sfondo  trame vocali molto varie.
Raudedauden è un rientro nei canoni stilistici del Viking, ed anche per questo uno dei pezzi "meno rilevanti"; fa da anticamera a Vitets Vidd I Verdi che riprende invece le caratteristiche di Tittentattenteksti, ma con un tappeto tastieristico più marcato e l’utilizzo del sax, risultando un altro apice del platter.
Con la title-track Norrøn Livskunst si torna ad un gioco di momenti epico-apocalittici caratterizzati da cori e da scream in un formato "black metal" che si alternano a tranquille nenie, come ad insoliti stacchi pseudo-blues.
A seguire, Waves Over Vallhalla (An Icelandic Odyssey Part III) è, come intuibile dal titolo, un richiamo ai precedenti lavori della band; infatti, ricalcandone le coordinate, si rivela un altro dei punti deboli di questo lavoro, non aggiungendo nulla di veramente interessante. Infine, com’era iniziato l’album si conclude: Til Heimen Yver Havet appare come una naturale prosecuzione dell'opener; le medesime atmosfere ci accompagnano verso la fine mettendo un, seppur non esclamativo, punto all’ultima fatica dei Solefald.

In conclusione, nonostante Norrøn Livskunst sia un album ben arrangiato, complesso e stilisticamente molto vario, è lungi dall'essere una vera e propria innovazione capace di spiazzare l’ascoltatore. Si continuano però a notare influenze esterne e richiami interni alla discografia dei norvegesi, che dopotutto cercano ancora di rinnovarsi e che grazie a ciò danno vita ad un’opera ampiamente godibile che si piazza tra le migliori uscite di quest’anno. Vivamente consigliato a coloro apprezzino il metal, per così dire, "inusuale".

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