Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Rough Trade Records
Anno: 
1986
Line-Up: 

-  Morrissey - voce
- Johnny Marr - chitarra, harmonium, archi al sintetizzatore e arrangiamenti per flauto
- Andy Rourke - basso
- Mike Joyce - batteria


Tracklist: 

1. The Queen Is Dead (medley) (06:24)
2. Frankly, Mr Shankly (02:17)
3. I Know It's Over (05:48)
4. Never Had No One Ever (03:36)
5. Cemetry Gates (02:39)
6. Bigmouth Strikes Again (03:12)
7. The Boy with the Thorn in His Side (03:15)
8. Vicar in a Tutu (02:21)
9. There Is a Light That Never Goes Out (04:02)
10. Some Girls Are Bigger Than Others (03:14)

Smiths, The

The Queen Is Dead

La fredda e piovosa Manchester ha sempre interpretato il ruolo di culla di artisti d’avanguardia, affascinando con la sua malinconica atmosfera e conferendo la giusta ispirazione a numerose realtà del sottobosco locale. Negli anni Ottanta, periodo di espansione della cultura Wave inglese e della sensibilità indipendente, una delle formazioni rappresentative del sound d’oltremanica fu quella capitanata da Steven Patrick Morrissey, gli Smiths.
La rivoluzione stilistica generata dall’operato della band nei primi anni di attività fu un simbolo del nuovo gusto alternativo maturato in Inghilterra, collocandosi come portavoce dell’estetica noir tipica di quel tormentato decennio.
Il terzo capitolo della band, The Queen Is Dead, si erge come il ritratto di una società in trasformazione, sia dal punto di vista strettamente politico, sia dal punto di vista delle relazioni interpersonali: la voce decadente e dismessa di Morrissey conduce l’ascoltatore nei meandri di un’opera che ha profondamente segnato la storia del Rock odierno.

Sospeso in equilibrio tra divagazioni Wave dal sapore retro’ e l’attitudine del Pop più elegante e raffinato, The Queen Is Dead è un viaggio che sa emozionare attraverso piccole perle dalla struttura semplice ma dalla straordinaria tensione interna, regalata dal magico approccio della chitarra di Johnny Marr, costantemente posata e mai fuori luogo.
Basti accostarsi ad una gemma come I Know It’s Over, incastonata in un’aura dimenticata e densa di una passione che trasuda dal binomio voce-chitarra, per comprendere quale sia il legame di Morrissey con il registro stilistico di decenni ormai superati e purtroppo dimenticati.
Anche la sezione ritmica riveste una funzione di primo piano, riempiendo con le sue pennellate di oscurità tracce come Never Had No One Ever o There Is A Light That Never Goes Out, testimoni di una nuova forma di romanticismo musicale.
There Is A Light That Never Goes Out in particolare evidenzia come gli Smiths prestino estrema attenzione alla fluidità degli arrangiamenti, perché gli inserti di tastiera e di flauto arricchiscono la canzone e la elevano ad un’atmosfera sublime.
Quello degli Smiths è desiderio di evasione, affiancato da una ricerca sperimentale volta a mantenere canonicità di forma: gli improvvisi e geniali fade-off d’apertura di Some Girls Are Bigger Than Others rendono curioso il substrato sonoro tessuto dalla formazione, stregando l’ascoltatore in quella che appare come una perfetta commistione tra l’anima Post Punk dei concittadini Joy Division e una soave vena Pop.
La cadenza travolgente di Frankly, Mr. Shankly e di Bigmouth Strikes Again coinvolge per la sua propensione squisitamente alternativa, mentre l’immediatezza dell’opener The Queen Is Dead, Take Me Back To Dear Old Blighty costituisce il collante tra questo terzo disco di studio e i precedenti The Smiths e Meat Is Murder.
Appare singolare come i quattro musicisti si innalzino a pionieri del sound inglese con un’opera che cerca di fuggire da una realtà britannica socialmente cupa, ostile alla vivacità artistica delle nuove generazioni e ignara del malessere interiore di poeti come Morrissey che l’avevano più volte dipinta con toni rassegnati. In questo ambito la band si colloca come erede del peso artistico dei Joy Division, sebbene Ian Curtis abbia sempre conferito maggiore spazio alla frantumazione interiore dell’individuo inerme davanti ai suoi simili.

Il contributo alla registrazione apportato da Stephen Street, già attivo nel lavoro Meat Is Murder, ha permesso di elevare The Queen Is Dead a precursore delle nuove correnti (Brit-Pop su tutti) che hanno investito il panorama inglese negli anni successivi.
Dopo aver raggiunto il sold-out di quasi tutte le date del tour negli Stati Uniti e Gran Bretagna precedente la pubblicazione dell’opera, era attesa e scontata l’influenza che un tale full-length avrebbe esercitato sulla scena alternativa, come dimostra la seconda posizione conquistata nelle charts nazionali.
Un’ultima considerazione deve essere spesa per la copertina e il titolo scelti da Morrissey per presentare questo piccolo capolavoro al mondo: introdotto da un artwork che vede Alain Delon nel primo piano di un’immagine tratta dal film L'insoumis (1965), l’album appare come un simbolo provocatorio degli anni Ottanta, auspicando la morte della monarchia. Inizialmente il titolo doveva essere Margaret On The Guillotine, con chiaro riferimento alle politiche conservatrici della Thatcher.

The Queen Is Dead rimane un capitolo discografico intenso e immortale che nella sua rivelazione davanti al grande pubblico ha rafforzato la definizione del sound Smiths, un esempio capace di scavare nel passato più remoto della musica del Novecento, traendone spunti lirici di natura post-moderna e una particolare inclinazione all’estetismo sonoro.

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