Voto: 
4.0 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Hopeless Records
Anno: 
2011
Line-Up: 

Shane Told – lead vocals, rhythm & additional guitars, keyboards
Neil Boshart – lead guitar
Josh Bradford – rhythm guitar
Billy Hamilton – bass, backing vocals
Paul Koehler – drums, percussion

Tracklist: 

01. Medication (4:30)
02. Sacrifice (2:37)
03. Forget Your Heart (3:45)
04. Intervention (3:06)
05. Good Luck with Your Lives (3:24)
06. Texas Mickey [feat. Anthony Raneri of Bayside] (2:41)
07. The Artist [feat. Brendan Murphy of Counterparts] (3:06)
08. Burning Hearts (3:02)
09. Darling Harbour (2:53)
10. Live to Kill (2:35)
11. Replace You (3:25)
12. In Memory Of... (4:46)

Silverstein

Rescue

Quando le premesse sono tanto negative, troppo negative, augurarsi una pronta smentita è molto spesso un’illusione bruciante. E’ con profonda tristezza, infatti, che ci tocca constatare come anche gli esperti Silvestein, che attendevamo con grande interesse a 2 anni di distanza dal più che positivo A Shipwreck In The Sand,  non sfuggano alla precedente, amara considerazione statistica: Rescue – questo il titolo del loro nuovo nonché quinto studio album – conferma appieno le magre aspettative annunciate dall’EP Transitions, uscito 5 mesi fa per la loro nuova etichetta Hopeless Records, dal quale ha il demerito di recuperare la raggelante Sacrifice e l’impalpabile Darling Harbour, trasformandosi così in una cocente delusione. Proprio il clamoroso abbandono della storica Victory Records, con la quale la formazione canadese aveva condiviso la sorte di ben quattro pubblicazioni internazionali, avrebbe dovuto rappresentare una grande occasione di rinnovamento, se non proprio di innovazione, sulla stessa scia di quanto proposto dai conterranei Alexisonfire, il cui ultimo Old Crows / Young Cardinals, nonostante una comprensibile sensazione di  incompletezza generale, aveva dimostrato la chiara intenzione di spostare i propri orizzonti stilistici verso una dimensione più intima ed esistenziale. Chi aveva condiviso con noi la speranza che una svolta di questa portata stesse per bussare anche alla porta dei Silverstein potrà certamente capire la situazione di totale frustrazione in cui sta veleggiando la stima, dimezzata ormai, che nutrivamo nei confronti di questi cinque musicisti originari dell’Ontario.

Per chi, come noi, era stato sfiorato più d’una volta dal pensiero stupendo che Rescue avrebbe finalmente rappresentato il primo passo verso un sound più personale, più maturo, più creativo, del tutto indispensabile per una formazione oramai giunta a raschiare il barile dell’ormai datata vena emocore, potrà rendersi immediatamente conto di come questo scialbo disco non soltanto si limita a sminuire quanto di buono realizzato nei suoi quattro illustri predecessori (in sintesi, si salva la sola Intervention, soprattutto per effetto di un chorus old school ancora effervescente), ma direziona quei pochi cenni di presunto cambiamento (leggasi: apparente indurimento, almeno stando alle dichiarazioni di presentazione, al solito enfatiche) verso sentieri stilistici già battuti prima, e nettamente meglio, da altri: il ridicolo aumento numerico di break down, spesso totalmente artificiali e completamente avulsi per tempistica e collocazione, così come l’inserimento forzoso di fastidiose accelerazioni uptempo, fabbricate ad arte per offrire una risibile parvenza di hardcore melodico, non aiutano certo a rinfrescare e risvegliare un sound totalmente statico e stantio, ancora rigidamente vincolato all’emocore della prima ora, genere ormai inflazionato e che anno dopo anno ha perso evidentemente appeal e significato. Proprio il fallimento così clamoroso da parte di una della formazioni che meglio ne avevano interpretato forma e sostanza potrà, ci auguriamo, fungere da pietra tombale su un movimento musicale che nel tempo ha perduto la propria spinta e ragion d’essere, che oggi rischia persino di perdere la faccia e che, pertanto, necessita seriamente di una concreta e drastica ridefinizione: gli Alexisonfire, ad esempio, l’hanno capito in tempo, i Silverstein evidentemente no.

Chi possa essere stimolato da un lavoro sostanzialmente nullo come Rescue, davvero, ci sfugge: al di là degli affezionati più intransigenti, ai quali probabilmente non sarà poi così indigesto, è realmente difficile individuare una frangia specifica di ascoltatori che possano trovarvi un qualunque barlume di piacere, perché chi conoscesse già i Silverstein non vi troverebbe nient’altro se non una tragicomico canto del cigno mentre chi non li conoscesse (e quindi non conoscesse sostanzialmente il genere, assumiamo) farebbe meglio ad approfondire i capitoli precedenti della loro discografia (soprattutto, nell’ordine, Discovering The Waterfront e A Shipwreck In The Sand), altrimenti avrebbe senz’altro tutti i motivi per eliminare direttamente entrambi - i Silverstein e con essi l’emocore – dal proprio elenco d’interesse. Che amarezza.

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