Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Osmose Productions/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Mirai Kawashima – Voce, Tastiera
- Satoshi Fujinami – Basso
- Shinichi Ishikawa – Chitarra
- Junichi Harashima – Batteria
Guests:
- Mikannibal – Sassofono
- Tim Conroy – Tromba
- Steven Sagala – Voce
- Aurielle Gregory – Voce femminile
- Rob Urbinati – Chitarra Solista in “The Master Malice”

Tracklist: 


Act I
1. Introitus / Kyrie
2. Inked in Blood
3. Me-Devil
Act II
4. Dies Irae / The Master Malice
5. The Memories of a Sinner
6. Death With Dishonor
7. In Devil’s Arms
Act III
8. Overture / Rex Tremendae / I Saw The World’s End
9. Salvation in Flames / Confutatis
10. Hangman’s Hymn / In Paradisum / Das Ende

Sigh

Hangman's Hymn

E’ dal 1990 che i Sigh di Mirai Kawashima guidano a testa alta la scena estrema giapponese (nella sua branchia Metal), arrivando ora al traguardo del settimo album con questo “Hangman’s Hymn – Musikalische Exequien”, un disco che, come ogni altra release del collettivo di Tokyo, cerca di portare avanti un discorso personale e innovativo, poco scontato e molto sorprendente: ma se le ultime pubblicazioni del quartetto nipponico (“Imaginary Sonicscape” del 2001 e “Gallows Gallery” del 2005) si slanciavano nel vuoto inesplorato del Metal cosiddetto “Avant-Garde”, questo “Hangman’s Hymn” risulta essere un passo indietro verso canoni sonori relativamente più conosciuti ed inquadrabili – ma non per questo meno interessanti.

I Sigh del 2007 (immutati a livello di line-up) si addentrano infatti nei territori del Black Metal sinfonico, con tanto di orchestrazioni maestose (programmate per mezzo di tastiere e computer, e non registrate da un’orchestra, in quanto il budget dei Sigh non è esattamente quello dei Dimmu Borgir o dei Cradle of Filth...) e parti corali che sfiorano l’operistico: il tutto fa parte di un concept sulla morte che posso solo intuire, non avendo a disposizione i testi dell’album, ma che sicuramente ha a che fare con la struttura del Requiem, cui sono direttamente ispirate alcune sezioni corali: avendo il sottoscritto ascoltato solamente la versione Mozartiana della succitata liturgia, non è possibile per me darvi altre nozioni in merito – ad ogni modo, i lettori interessati hanno secoli di storia musicale cui attingere per approfondire, se la loro curiosità dovesse essere stuzzicata da questo disco.

Oltre alle sezioni sinfoniche, che danno un tono estremamente sontuoso e solenne al disco, è importante notare come il suono della band si normalizzi alquanto, tornando a una matrice originaria meno variegata e prettamente Metal: la voce di Mirai Kawashima è uno screaming acido e maligno tipicamente Black (anche se non particolarmente urlato o straziante), che spesso si piega in diaboliche risa o, più raramente, viene soppiantato da qualche breve passaggio in voce pulita. La produzione, di buon livello, esalta soprattutto voce ed orchestrazioni, ma il riffing di Shinichi Ishikawa colpisce in modo decisamente positivo: compatto e preciso, dallo stile piuttosto veloce e aggressivo ma pronto a divagare in situazioni più melodiche (“In Devil’s Arms” riecheggia la scuola Death di Göteborg, per la sua capacità di unire piglio estremo con linee melodiche assai gustose ed accessibili); sparsi con generosità sono anche gli assoli, il cui buon gusto li porta spesso ad avvicinarsi al Rock duro e al Metal tradizionale, piuttosto che alle sonorità estreme.

Il livello tecnico dei Sigh, perfezionato da quasi un ventennio d’esperienza, non lascia spazio per critiche: queste possono andare a colpire solamente un songwriting che a tratti è meno incisivo rispetto al livello di eccellenza dimostrato da tracce come “Death With Dishonor”, dai barocchismi trascinanti, o “The Master Malice”, il cui Black cadenzato, sostenuto da arrangiamenti ricchissimi, è preceduto dal celeberrimo incipit del “Dies Irae” (segmento che deve affascinare in maniera particolare i musicisti Metal, visto che negli ultimi due anni mi è capitato di recensire altri gruppi che hanno incorporato questa soluzione, ovvero i Thyrfing di “Far At Helvete” e i Dissection di “Starless Aeon”); inoltre, è di particolare pathos il terzo ed ultimo atto di questo disco, comprendente i brani più lunghi ed apocalittici del lotto, in cui si fa più imponente la partecipazione dei cori in latino e delle possenti orchestrazioni.

“Hangman’s Hymn” è indubbiamente un disco che merita di essere ascoltato: l’aver parzialmente rinnegato la loro mentalità avanguardista non ha precluso ai Sigh la possibilità di scrivere della musica personale ed ispirata: cambia, inevitabilmente, il target di questa recensione, che oltre agli appassionati dell’Avant-garde Metal (che troveranno un disco piuttosto ‘canonico’ rispetto a quanto ci si sarebbe potuto aspettare) va ad includere soprattutto gli amanti del Metal sinfonico, specialmente nelle sue varianti estreme: essi troveranno di sicuro gradimento un disco come questo, discretamente accessibile e ben composto, privo di particolari colpi di genio ma scritto e suonato con perizia ed esperienza – il tutto è inoltre condito da un’atmosfera concettuale tra il sacrale e il dannato che non mancherà di soddisfare chi apprezza questi diversivi rispetto ai soliti, inflazionati proclami che talvolta piagano il genere.

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