Voto: 
8.1 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
2005
Line-Up: 

- Brendt Allman - chitarra

- Mike Baker - voce

- Carl Cadden-James - basso, flauto, voce

- Chris Ingles - piano, tastiera

- Joe Nevolo - batteria

- Gary Wehrkamp - chitarra, tastiera, pianoforte, voce



Tracklist: 

1. Manhunt (02:07)

2. Comfort Me (06:49)

3. The Andromeda Strain (06:44)

4. Vow (08:25)

5. Birth of a Daughter (02:38)

6. Death of a Mother (02:13)

7. Lamentia (01:02)

8. Seven Years (03:35)

9. Dark (01:01)

10. Torn (08:21)

11. The Archer of Ben Salem (07:26)

12. Encrypted (07:59)

13. Room V (07:42)

14. Rain (08:59)

Shadow Gallery

Room V

Gli americani Shadow Gallery, da tempo attivi nella scena Progressive mondiale, ritornano con questo Room V a distanza di quattro anni dall’uscita di Legacy, che non aveva totalmente convinto la critica e i fans. La band, capeggiata da Mike Baker, pur essendo una delle realtà del Prog più moderne e innovative in assoluto, non ha mai goduto della popolarità dei connazionali Dream Theater o di altre formazioni europee.
Eppure Room V costituisce il quinto album di studio degli Shadow Gallery, un’opera che rappresenta al meglio i tredici anni di evoluzione stilistica del sestetto statunitense: certo il disco risente moltissimo delle precedenti pubblicazioni, ma è contraddistinto da un alone diverso, che concretizza al meglio la doppia personalità del gruppo, quella legata al sound possente e compatto e quella soave e dolce delle sezioni acustiche.
Il full-lenght raffigura il continuo di quell’avventura profonda chiamata Tyranny, in cui due uomini sono in cerca di una nuova identità: gli elaborati passaggi musicali sono impreziositi notevolmente dalle voci espressive e toccanti di Baker e di Laura Jaeger, già presente sul disco preludio a Room V.
Il Progressive proposto è come al solito tecnico ma commovente, molto vicino allo stile di Pain of Salvation , Threshold e Vanden Plas: assoli precisi e fugaci si oppongono a tastiere melodiche che creano effetti mesti ma ricercati.

La sostenuta e intricata introduzione strumentale Manhunt si collega a Confort Me, una ballata di media durata, che esprime tristezza e dolore attraverso il tono vocale di Baker, lo stupendo accompagnamento di pianoforte e le risposte incisive di Laura; tanti gli elementi tipici del Progressive Rock settantiano, come il flauto, le chitarre acustiche e le tastiere atmosferiche, che penetrano nel profondo dell’ascoltatore per la loro tenerezza e passione.
In The Andromeda Strain si riscoprono i riffs contorti della chitarra distorta e le ritmiche che hanno contraddistinto i celebri pezzi della band, con le aperture sonore e i cori trascinanti, sia sui ponti modulanti, sia sugli efficaci ritornelli. La lunga e lenta Vow distende le sonorità per la dolcezza delle acustiche, avvicinandosi ai Porcupine Tree di In Absentia, con le chitarre a costruire l’architettura armonica e con le voci a pennellare le parti principali: un po’ ripetitiva ma ben strutturata negli otto minuti e mezzo di lunghezza, che dimostrano la maturità del song-writing raggiunto dagli Shadow Gallery.
Birth of a Daughter, Death of a Mother e Lamentia chiudono il terzo atto del racconto attraverso un approccio virtuoso alla Symphony X e una ripresa variata del tema fondante il primo capitolo di Room V.

Altrettanto gradevole è il quarto atto, formato da canzoni imponenti ed elaborate con precisione nella loro struttura interna: tra esse spicca sicuramente Torn, magica e affascinante per il sentimento che sgorga dagli assoli di chitarra e tastiera, assai differenti da quelli più aggressivi e irruenti di Carved in Stone.
Le timbriche di The Archer of Ben Salem sembrano un’unione tra il Prog italiano degli anni ’70, come quello dei Banco del Mutuo Soccorso e la complessità dei Dream Theater: gli organi si succedono vorticosi e i tempi continuano a mutare, lasciando pochi momenti di respiro all’ascoltatore, investito dall’impeto delle scale costanti e avvolto dall’oscurità di alcuni passaggi.
Il cd perde lucidità proprio in questi ultimi pezzi che precedono la title-track Room V, poiché le orchestrazioni degli strumenti diventano dispersive e disgiunte; la penultima traccia però risolleva parecchio l’andamento del finale attraverso gli ottimi cori dei ritornelli e i riffs ritmati. E’ Rain a chiudere l’opera con i suoi nove minuti di durata, coronando il lavoro svolto dalla formazione americana in questi lunghi tredici anni di sforzi per emergere e divenire una realtà importante in ambito Prog.

In conclusione, pur essendo un buon album e pur avendo caratteristiche abbastanza dissimili dai precedenti, Room V non raggiunge l’apice della discografia: Carved in Stone è sempre ad un livello più elevato poiché più diretto e meglio costruito, anche se per quanto concerne le composizioni gli Shadow Gallery hanno sempre dimostrato grandi doti in ogni release. Room V rimane comunque un album elegante, gradevole e particolare nella sua unicità, che potrà far discutere di sé a lungo, non solo perché descrive il finale di Tyranny, ma perché la band ha saputo rinnovarsi senza abbandonare del tutto il proprio sound.

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