Voto: 
4.8 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Satyr - Voce, Chitarra, Basso, Tastiere
- Frost- Batteria


Tracklist: 

1. Now, Diabolical
2. K.I.N.G.
3. The Pentagram Burns
4. A New Enemy
5. The Rite of the War Cross
6. That Darkness Shall Be Eternal
7. Delirium
8. To the Mountains

Satyricon

Now, Diabolical

Cosa sono i Satyricon, oggi?
Mainstream Black mischiato a Stoner? Thrash atmosferico? ‘Cool’ Extreme Metal? Post-Black Metal con attitudine da Rockstar?
Difficile trovare una collocazione precisa o un genere 'standard' per questo novello parto del gruppo di Satyr e Frost, che torna dopo il buon riscontro che portò loro l'apprezzabile “Volcano”, una specie di Thrash/Black ben prodotto e di grande potenza che pur non essendo un grandissimo lavoro era riuscito comunque a non deludere chi apprezza i nuovi Satyricon (quelli post-Rebel Extravaganza, vero muro divisorio tra le due principali fasi evolutive del gruppo norreno) grazie alla sua moderna violenza.

Con “Now, Diabolical” il discorso si sviluppa ulteriormente, in quanto il nuovo suono dei Satyricon è sempre più distante da quello classico: la sterzata è decisa e convinta verso un suono più accessibile e meno estremo, una produzione perfetta e degli ottimi suoni (uno dei punti a favore del disco: complimenti a Mike Fraser); a livello ritmico, invece, si è cercato di mantenere tutto il disco su ritmi lenti o mid-tempos e Frost ha pochissimo spazio per le sue celeberrime accelerazioni e cerca di colpire l’attenzione dell’ascoltatore con accorgimenti minori qui e là. Satyr ha cercato la carta dell’atmosfera (piu spesso soporifera, piuttosto che malvagia, a dire il vero) con molti riffs di chitarra a costruire un’aura oscura sui lenti patterns di batteria: il suono delle chitarre è pesante, asfissiante, caldo, e sostenuto in sottofondo da alcune spettrali tastiere.

Come concetto sarebbe anche carino, se non fosse che purtroppo lo sbadiglio incombe funesto su gran parte dei brani, in quanto le soluzioni scelte dai Satyricon sono ripetute senza particolari tocchi di classe o colpi di genio a spezzare il circolo vizioso di noia e ripetitività che si crea dopo un po’, con i pezzi che si trascinano avanti senza un preciso perchè (un difetto comune anche ai momenti meno ispirati di "Volcano"). La voce di Satyr pare inoltre meno convinta e tagliente e, come d’altronde tutto il disco, pare quasi finta, priva di sincerità, plasticosa, forzata nel voler dare un tono 'cattivo' a pezzi che -nel loro intimo- non lo sono.

E dire che i momenti decisamente indovinati ci sono: le prime due tracce, ad esempio, hanno un ottimo groove e conquistano subito l’attenzione di chi ascolta, grazie ad un riffing praticamente Rock che vi si stamperà in mente ed a ritornelli semplicissimi ed indovinati: insomma, l’evoluzione naturale e migliore di brani come “Fuel for Hatred” o “Repined Bastard Nation”. Avessero continuato su questa linea, i Satyricon avrebbero fatto un buon disco Black’n’Roll, catchy e immediato, dannatamente esaltante e paicevole da ascoltare: da qui in poi invece, il gruppo si muove indefesso su quelle coordinate lente e atmosferiche cui accennavo prima, cui è “esemplare” caposcuola “The Pentagram Burns”, che annega un paio di buoni riff in un mare di staticità e pesantezza compositiva. “A New Enemy” ha un paio di buoni momenti in cui i riff di Satyr (più vicini a quanto sentito a inizio disco) si combinano benissimo con i veloci colpi della cassa di Frost, e l’inizio con voce sussurrata è di buon effetto: buon pezzo, che però non esplode mai e, non decollando, non riesce a raggiungere livelli di eccellenza.
La quinta “The Rite of the War Cross” ha un inizio veloce con doppia cassa a manetta, ma tutto sembra fermarsi durante il ‘refrain’, rallentato all’estremo e portato a termine quasi a fatica: ma il momento meno indovinato è la fase centrale strumentale, incapace di trovare una direzione soddisfacente. Ma il peggio deve ancora arrivare, e lo si raggiunge con la seguente, tragicamente anonima e noiosa “That Darkness Shall Be Eternal”, che raccoglie più o meno tutti i difetti di questa pubblicazione.

Si migliora leggermente con le due tracce finali, in cui la carta dell’atmosfera si rivela finalmente (quasi) vincente: l’intro soffusa di “Delirium” è ben congegnata per preparare emotivamente l’ascoltatore e, sebbene il seguito della song non sia assolutamente così buono come ci si aspetterebbe, ci sono alcune buone trovate nella canzone (refrain memorizzabile, stacchi atmosferici) che la rendono almeno sufficiente.
Si chiude: se non fosse che qui non c’è nemmeno l’ombra di mezza emozione, “To the Mountains” potrebbe, in lontananza e a tratti, ricordare i nuovissimi Shining, quelli di “The Eerie Cold”, naturalmente infarciti di prolissità e eccessiva lentezza: nonostante i soliti problemi, l’ultima traccia di “Now, Diabolical” riesce perlomeno a ricreare un po’ di atmosfera oscura quasi credibile.

“Now, Diabolical” è piaciuto, e si è piazzato più che bene nelle charts norvegesi, arrivando al secondo posto nella classifica dei dischi più venduti - segno di come il nuovo corso dei Satyricon abbia fatto grande breccia tra il pubblico, ma purtroppo la band che sperimentava in "Rebel Extravaganza", che trascinava convintamente in “Volcano” (e affascinava in “Nemesis Divina”, anche se quelli erano altri tempi) ha poco da dire a chi non cerchi semplicemente un po' di oscurità di cartone adatta a tutte le età.

Non è questione di genere o attitudine, su entrambi ci si può passare sopra, è semplicemente questione di bontà del prodotto musicale: la bocciatura non arriva perchè “Now, Diabolical” è diverso, o lontano da quello che i Satyricon erano: arriva per i motivi piu semplici e banali, ovvero perchè il nuovo disco dei Satyricon è noioso, incapace di coinvolgere, tremendamente finto e il suo ‘coraggio nello sperimentare’ non è altro che una spiccata e palese propensione alla semplificazione commerciabile.

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