Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Anthem/Mercury
Anno: 
1977
Line-Up: 

- Geddy Lee - voce, basso, tastiere, sintetizzatori
- Neil Peart - batteria
- Alex Lifeson - chitarre

Tracklist: 


1. A Farewell to Kings
2. Xanadu
3. Closer to the Heart
4. Cinderella Man
5. Madrigal
6. Cygnus X-1

Rush

A Farewell to Kings

Lo storico disco 2112 è per i Rush una "boa" che divide due fasi della loro carriera: quella iniziale prettamente hard rock, chiusa ufficialmente dal live All the World's Stage, e la cosiddetta "quadrilogia progressive", in cui l'hard-prog del gruppo giunge a definitivo consolidamento nel corso degli album pubblicati in questo lasso di tempo - tutti eccellenti oltre che storicamente significativi e li vedremo ora in rassegna.

Il primo disco di questo periodo è A Farewell to Kings, molto più intrinsecamente e concettualmente progressive del suo predecessore. Le influenze di gruppi come Led Zeppelin, Cream, Blue Oyster Cult o Yardbirds ormai sono notevolmente divenute uno sfondo dal passato, in favore invece di quella matrice progressiva (d'ispirazione principalmente genesisiana, per quanto riguarda il lato acustico-spaziale più romantico e sognante, e yesiana, per i tecnicismi e l'intricatezza compositiva più cerebrale) già avviata e che ora diviene preponderante nella direzione stilistica e nella struttura alla base delle canzoni.
Aumentate esponenzialmente le digressioni acustiche, l'atmosfera dei brani è molto meno potente e più onirica e introspettiva che in passato; il lato hard rock del gruppo diviene giusto un elemento distintivo per conferire più vigore al sound, ma l'anima qui è fondamentalmente progressive. Potrebbe essere ulteriore testimonianza di ciò il fatto che fanno la loro comparsa (anche se non ancora come fattori chiave) nell'economia dell'album le tastiere, suonate da Geddy Lee, ma raramente assumono connotati solistici e prevalentemente svolgono il ruolo di supporto melodico nelle canzoni, rendendole più spesse e incisive da questo punto di vista. Sono piuttosto più esemplificativi del tuffo nella dimensione prog elementi come l'intrecciarsi in sinergia dei pezzi, il forte estro mostrato nelle suite (questa volta reali suite e non "accorpamenti" di più canzoni legate dalla medesima tematica), la rilevanza dato al lato atmosferico (capace di spaziare da momenti più spaziali e visionari ad altri più candidi e malinconici, non lesinando parentesi più orecchiabili) e volendo anche dettagli secondari come la copertina simbolica o il concept fantasioso.
Rimane in ogni caso una prova di grande personalità e creatività da parte dei Rush, che infondono il loro tocco unico in ciascun pezzo in modo da renderlo altamente ingegnoso e originale, ma anche comunicativo ed immediato: infatti il trio canadese ha fra le sue qualità la spontaneità genuina e sciolta con cui coniugano un forte bagaglio tecnico sia compositivo (ma mai sfociando in barocchismi o pomposità) che esecutivo (senza accademismo, sempre al servizio del pezzo) ed uno spessore melodico non indifferente, capace di donare notevole caratterizzazione ad ogni brano.

La titletrack iniziale viene introdotta da placide note acustiche che dopo un minuto cedono il posto all'esuberante chitarra elettrica di Lifeson e alla dinamica sezione ritmica. La parte vocale è assolutamente testimonianza di uno stato di forma eccellente da parte di Geddy Lee (che può piacere come non può piacere come tono di voce, ma è personale, carismatico e coinvolgente), impegnato in acuti accattivanti e al tempo stesso a far da fulcro alla musica intera con il suo fondamentale basso. Questa è una rocker energica ed atmosferica, ma anche ricca di tecnica, mai fine a sè stessa e sempre al servizio dell'abilità ideativa e comopsitiva.
Xanadu è uno dei pezzi storici del repertorio dei Rush, una suite di oltre dieci minuti fatta di viaggi sognanti per vaste distese celestiali, esplosioni hard rock, divagazioni quasi psichedelice e distensioni melodiche dal sapore solenne e mesmerizzante. Una parte di fascino viene dato anche dal concept del pezzo, tratto dal Kubla Khan di Samuel Taylor Coleridge.
Invece Closer to the Heart è una dolce ballata acustica che si incentra sugli arpeggi acustici, accompagnati da piccole spruzzate di sintetizzatore e da ritornelli più distorti come climax, e sull'immediatezza melodica ed emozionale. Fu il primo singolo dei Rush ad ottenere un certo successo, significativamente di classe e spessore anche nel testo (spirituale e introspettivo) invece di risultare un semplice pezzo radio-friendly senza particolare caratterizzazione stilistica.
Cinderella Man ritorna sul rock grintoso e d'impatto, ma sempre notevolmente caratterizzato e con un estro notevole a fare da fondamenta su cui concretizzare le intuizioni melodiche del gruppo, a cui i Rush hanno abituato ormai chi segue il trio canadese.
Madrigal è un'altra ballata, questa volta interamente soft, dalle tonalità soffuse e placide - ma anche con un retrogusto speranzoso -, quasi in antitesi alla struggente malinconia di pezzi del passato come Tears.
Infine la famosa suite di dieci minuti Cygnus X-1 catapulta dritti nello spazio profondo, visualizzando un isolato buco nero nella costellazione del Cigno e narrando di questo trip tramite effetti elettronici inquietanti, riempimenti di tastiera ossessivi, riff accattivanti e giochi d'incastro fra bridge e refrain ora più acidi ora più catchy che spezzano ogni velo d'oscurità per far irrompere brio ed energia (ma anche un po' di auto-celebratività). In conclusione, la sezione finale diventa più feroce e oscura, completando un brano cerebrale ma d'impatto che risulterà inoltre di notevole influenza per la concettualità stilistica di diverse formazioni progressive metal degli anni '90 - come un po' tutto l'album.

Semplicemente un disco notevole, ancor più importante se si pensa all'influenza avuta su svariati settori del "metallo pensante" e del "prog duro" in anni successivi, oltre che all'enorme balzo in avanti qualitativo fatto rispetto agli esordi; elemento giunto fra l'altro in un periodo "ostile" a certe concezioni progressive, nell'era dell'esplosione del punk e a ridosso dell'alba della new wave.
Va da sè che il trio canadese ha da offrirci ancora diversi capolavori (oltre che dischi comunque eccellenti o molto buoni, raramente deludendo). Infatti pochi gruppi possono vantare la costanza dei Rush nell'offrire una proposta musicale d'alta qualità, convincente e appassionante, ricca di verve e di ispirazione, con un notevole bagaglio tecnico mai fine a sè stesso ed una certosina elaborazione di sentieri hard-prog del tutto personali sia come approccio ideativo che come realizzazione/espressione sonora.
Il primo capitolo di questo secondo periodo dei nordamericani non può che essere solo il primo di una serie di ulteriori pietre miliari, che andremo presto a scoprire.

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