Voto: 
8.8 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Anthem/Mercury
Anno: 
1976
Line-Up: 

:
- Geddy Lee - basso, voce, tastiere
- Neil Peart - batteria, testi
- Alex Lifeson - chitarra, percussioni

Guests:
- Hugh Syme - mellotron nel brano 5
 

Tracklist: 

:

1. 2112, articolata in:
- I. Overture
- II. The Temples of Syrinx
- III. Discovery
- IV. Presentation
- V. Oracle: the Dream
- VI. Soliloquy
- VII. Grand Finale
2. A Passage to Bangkok
3. The Twilight Zone
4. Lessons
5. Tears
6. Something for Nothing

Nota: la frase ad inizio recensione, collocata dai Rush fra Overture e The Temples of Syrinx, è una citazione dal Nuovo Testamento.

Rush

2112

"And the meek shall inherit the Earth..."

La strada percorsa dai Rush nei primi anni di carriera è stata di continua ascesa: partendo da un hard rock ledzeppeliano ruvido ma anche abbastanza acerbo, il trio canadese è cresciuto nel corso dei dischi, fino a Caress of Steel (1975) in cui cominciarono inoltre ad introdurre tendenze accennate di progressive rock nella loro musica.
Tutto ciò funge da piattaforma di lancio per quello che è probabilmente il loro album più famoso e seminale, cioè 2112, in cui si defila più nitidamente quello che sarebbe stato, nei lavori successivi, un vero e proprio progressive hard rock - o hard progressive se preferite.
La maturità del gruppo è espressa sia dal punto di vista esecutivo che da quello creativo. Lo stile del chitarrista Alex Lifeson tira fuori dal cappello idee più che mai in questo disco, contemporaneamente si mostra ulteriormente tecnicizzato, senza però rinunciare alla sua carica e all'impatto dei propri riff; così come Geddy Lee, musicista completo ed eccezionale che sarebbe stato influentissimo per generazioni di bassisti nel mondo rock (da Steve Harris degli Iron Maiden a Les Claypool con i suoi folli Primus), che cattura l'attenzione con linee di basso energiche ed incalzanti, al contempo caratterizzando a dovere le canzoni con le sue linee vocali dal timbro immediatamente riconoscibile.
Lo stesso si può dire del batterista Neil Peart, punto di riferimento obbligato per qualsiasi suo collega che si volesse cimentare nel mondo dell'hard & heavy e non solo, che cresce ed espande la complessità e la dinamicità ritmica del prog nella sua tecnica personale.

La titletrack, cuore del disco, è una cavalcata della durata di venti minuti, erede di altri precedenti lunghi brani dei Rush (The Necromancer, The Fountain of Lamneth) ma classico ispiratore di molte realizzazioni di gruppi successivi (soprattutto nel progressive metal) come metro-campione della suite.
In realtà non si tratta interamente di una suite nel senso comunemente inteso del termine, cioè come una lunga e poliedrica esecuzione continua, ma, come in una specie di "album nell'album", di un accorpamento di più movimenti separati in un'unica traccia, tenuta insieme dal concept futuristico e dal filo conduttore musicale - versatile e al tempo stesso coerente, fra sterzate distorte, virtuosismi, distensioni acustiche e stacchi più melodici.
Un viaggio nel futuro dove lo scenario raccontato dai testi di Peart, strettamente connesso alla musica, rende tributo alla scrittrice Ayn Rand, il cui racconto Anthem ha ispirato 2112: ciò che viene narrato è un sistema solare che dopo una brutale guerra galattica è stato unificato dalla Federazione Solare. La Terra (e ciò che rimane dei suoi abitanti) è controllata dai sacerdoti del tempio di Syrinx, che creano un nuovo ordine in una distopica società massificata dove tutti sono uguali fra di loro, mentre ogni forma di espressione artistica è rigidamente conformata ai dettami della casta dominante. Ma un giorno un giovane raccoglie una chitarra abbandonata nei pressi di una cascata e prova a suonarla, scoprendo che può ideare la sua musica libera e personale...

L'estetica cerebrale e il brio fantasioso del rock progressivo, unitamente alla sua comunicatività espressa tramite un particolare immaginario creativo e fantastico senza riflettere direttamente un preciso contesto o utilizzare messaggi espliciti, dipingono così un pezzo storico, ma lo fanno con l'intensità sonore e le tonalità marcate dell'hard rock. Creano un linguaggio unico, quello dei Rush, ed un'attitudine che sarà in seguito pesantemente influente per il metal progressivo, sia nelle sue varianti più tecniciste/epicizzanti (come i Dream Theater, che devono molto ai Rush e a 2112 soprattutto in dischi come Awake) che in quelle più concettuali (come con i Queensryche), come per molte altre evoluzioni del rock più duro sul finire del millennio.

L'iniziale Overture è una strumentale introdotta da un inquietante sintetizzatore che ricrea le vastità dello spazio secondo, per poi divenire rapidamente una rocker grintosa e divertente. Quasi senza soluzione di continuità si entra in The Temples of Syrinx, trascinante ed energica nella sua breve durata, scandita dagli acuti di Lee a rappresentare l'autorità dei preti e dal ritmo imponente di Peart.
Discovery è un placido intermezzo di atmosfericità acustica (in parte ricordando gli Yes) che si collega direttamente alle schitarrate hard rock e agli assoli proto-metal di Presentation, secondo uno stile elastico e personale come quello dei canadesi. Assistiamo qui all'introduzione del protagonista della storia, alla sua scoperta (per l'appunto) della chitarra in uno scenario placido e alla reazione aggressiva dei sacerdoti di fronte a ciò che potrebbe rappresentare per il loro ordine la musica spontanea e genuina partorita senza costrizioni (la rottura della chitarra divene così simbolo del tentativo reazionario di un regime chiuso di stritolare sul nascere libertà individuali e di pensiero che altrimenti intaccherebbero il potere stesso: e la liricità di Neil Peart, seppur decontestualizzata rispetto al mondo reale, ha molte connessioni letterarie). Gli arrangiamenti e gli accordi che si fanno più intricati e complessi di Lifeson invece parafrasano i miglioramenti del protagonista con lo strumento prima di mostrarlo al Tempio.
Oracle: the Dream subentra poco dopo, iniziando con un binomio di chitarre acustiche e tastiere che ricrea paesaggi onirici, salvo poi lasciar spazio alle chitarre hard rock e alla batteria prog. Nella fattispecie ciò accompagna nel concept proprio un sogno, quello del protagonista che ritorna deluso nella sua abitazione dopo il rifiuto dei sacerdoti, in cui un oracolo racconta di un mondo reso meraviglioso dal duro lavoro dei suoi abitanti, scappati all'epoca della guerra invece di essere distrutti, e dalla loro libertà sconosciuta sulla Terra; ed un giorno ritorneranno per rovesciare il dominio del Tempio.
Una piccola pausa di pochi secondi prima di Soliloquy, per poi affrontare un'esplosione di distorsioni emozionanti che conclude l'elemento lirico e narrativo di 2112 con il risveglio del protagonista e il suo rendersi conto che uno scenario talmente perfetto non esisterà mai, al punto da suicidarsi per lo sconforto di dover vivere in un mondo spento e privo di possibilità.
Repentinamente il Grand Finale fa irruzione con tutta la sua potenza e la sua carica trascinante, concludendo veramente con un gran finale irruento e incalzante la prima parte dell'album.
Qui viene recitata la frase "Attention, all planets of the Solar Federation: We have assumed control", conclusione ambigua che può rappresentare sia il ritorno dei progenitori per liberare l'umanità sia la definitiva soppressione di ogni forma di dissenso e opposizione da parte dei sacerdoti.

Si passa ora alle canzoni "convenzionali", nel senso, quelle scorporate dalla lunga 2112 e dal suo concept, come normali pezzi di breve durata. Un piccolo difetto del disco su cd o su mp3 può essere forse questo, cioè che dopo l'intenso viaggio della titletrack i brani rimanenti suonano slegati e indipendenti dal concept, ma ciò in realtà all'epoca non influiva, perché vi erano i vinili e le due parti dell'album erano divise in maniera coerente fra le due facce.
L'hard rock morbido ed orientaleggiante di A Passage to Bangkok genera una hit orecchiabile ed efficace fra riff esotici, refrain sporcati di heavy rock ed assoli blueseggianti (notare inoltre nel testo alcuni fra i rari riferimenti del gruppo alle droghe, leggere), mentre The Twilight Zone si avvicina a tonalità maggiormente da ballad, risultando così una canzone soffusa e quasi notturna.
Lessons rimescola chitarre acustiche spensierate e fraseggi hard/blues, mitigando l'atmosfera prima del seguente suggestivo pezzo: Tears è una ballata acustica triste e commovente, fra le più significative di sempre e perla della seconda metà dell'album.
Chiusura affidata a Something for Nothing, rock nella norma ma trascinante e sempre intriso della godibile vena melodica dei Rush, nonché uno dei pezzi del disco più famosi del gruppo assieme a Passage to Bangkok, appuntamento fisso nei live.

2112 è un monumento per tutto il mondo hard & heavy nonché un disco seminale per innumerevoli musicisti del settore. Per i Rush non sarebbe finita qui, consolidando la loro matrice d'hard rock progressivo e sfornando ulteriori dischi fra momenti più diretti e altri più progressive, fino a cambiare ulteriormente negli anni '80.
Ma questo lo vedremo in seguito.

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