Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Universal Records
Anno: 
2004
Line-Up: 

- Richard Kruspe-Bernstein - chitarra
- Paul Landers - chitarra
- Till Linderman - voce
- Oliver Riedel - basso
- Christoph “Doom” Schneider - batteria
- Christian “Flake” Lorenz - tastiera


Tracklist: 

1. Reise, reise (04:12)
2. Mein Teil (04:33)
3. Dalai Lama (05:39)
4. Keine Lust (03:43)
5. Los (04:24)
6. Amerika (03:47)
7. Moskau (04:17)
8. Morgenstern (04:00)
9. Stein um stein (03:53)
10. Ohne dich (04:32)
11. Amour (04:51)

Rammstein

Reise, Reise

Nel corso dell’ultimo decennio i Rammstein, realizzando un album sistematicamente ogni tre anni, si sono fatti conoscere per il loro Industrial Metal dalle taglienti melodie di chitarra, dal piglio molto orecchiabile anziché ostico e rigido, e capaci di offrire spunti interessanti seppur non sempre sopra la media, unite a strutture concettualmente scarne e ripetitive (ma in maniera voluta) e a inserti elettronici vari. La loro caratteristica più nota in realtà era il cantare unicamente in tedesco (caratteristica comune a dire il vero in buona parte della scena Industrial tedesca), se non in brani appositamente ricantati e poi inseriti nei singoli (abbastanza frequenti e anche un po’ commercializzati), lingua che a molti risulta abbastanza indigeribile, se non del tutto, mentre altri l’hanno apprezzata grazie soprattutto ai Rammstein che l'hanno fatta diventare uno stereotipo universale del genere.

Con Reise, Reise i Rammstein virano il loro stile, facendo, bisogna dirlo, un salto di qualità rispetto alle produzioni precedenti. Viene abbandonato lo schema classico più acido e tagliente, il suono diventa più corposo e intenso, le atmosfere si incupiscono, le chitarre sono ribassate e spesso usate come granitico muro sonoro (a volte avvicinandosi relativamente al nu metal), l’elettronica viene tramutata in una tastiera che generalmente privilegia il riempimento atmosferico e lo fa con discreta efficacia, il campionario sonoro assume sfumature ben più dense e ricercate, mantenendo una buona dose di melodicità in strutture non complesse; vengono anche utilizzati nell’album strumenti come la fisarmonica, l’oboe o il mandolino, anche se marginalmente. Il cantante Till Lindemann si fa più espressivo e personale nella sua interpretazione, e sempre con il suo potente e basso timbro vocale teutonico.

La titletrack iniziale riassume quanto detto qui sopra in una maniera più meditata, fra i chords distorti delle chitarre, la tastiera atmosferica e la batteria che tranquillamente tiene il suo tempo, fino al finale malinconico con la fisarmonica, poi seccamente interrotta dall’inizio di Mein Teil: brano feroce, intenso, merito soprattutto delle già citate atmosfere di tastiera che qui dipingono sfondi angoscianti, mentre la batteria assume anche ritmi marziali e la voce si alterna fra parti subdole, anche un po’ claustrofobiche, e l’impeto del chorus. Il testo, fra giochi di parole e allegorie, fa riferimento ad un episodio di cannibalismo "consenziente" avvenuto qualche anno prima in Germania.
La successiva Dalai Lama si fa teatro di atmosfere fascinanti, dall’oscurità post-industriale, con parti quasi spettrali come il chorus in cui la voce si fa filtrare per immergersi maggiormente nel brano. Dalai Lama va a concludersi in modo direttamente collegato a Keine Lust, dal riff rabbioso e oscuro che nel chorus si combina con la tastiera qui invece più epica.
Los
è un brano tendenzialmente industrial-bluesy ma suonato come nei Rammstein classici, solo interamente acustico, a parte un intermezzo interamente atmosferico e un arpeggio di chitarra elettrica clean ripetuto nel centro e sul finire. Non è molto incisivo, anche se è una divagazione interessante.
Arriviamo così al singolo Amerika, anche se in verità di singoli ce ne sono di più, ma di essi questo è il principale. Amerika, dove la chitarra elettrica riprende la sua parte, e l’ironia si fa avanti con coraggio, forse in modo un po’ banale, sia per l’argomento scelto (critica all’America) sia per il testo soprattutto nel ritornello, qui per metà in Tedesco, metà in Inglese. Funziona meglio il video, che mostra varie popolazioni del mondo alle prese con usi e costumi americani, e chiarisce un certo messaggio (condivisibile o meno); il coro di bambini che si unisce nel canto dopo l’assolo chiude il brano in modo suggestivo.
La successiva Moskau è più graffiante ed oscura, persino nell’assolo di fisarmonica, su di uno sfondo elettronico che riempie l’atmosfera in modo trascinante ed energico, e se in Amerika vi erano alcune frasi in Inglese, qui invece troviamo il Russo, scelta azzeccata, soprattutto contando che viene cantato da un’intrigante voce femminile e non da Lindemann, in modo da rendere il brano ancora più esotico; comunque non è un duetto, la voce femminile è inserita come contorno nel ritornello.
Morgenstern mette in gioco un coro da musica sacra (in qualche modo somigliante al synth di Cloud in the Sky degli Archive) che, accompagnato dalla tastiera, quando compare da un’atmosfera tragica e suggestiva, esasperata sul finale da quello che ad orecchio sembrerebbe un violino particolarmente aggressivo. Certamente uno dei pezzi migliori per impeto e drammaticità.
Stein um Stein
parte con accordi clean tenui di sottofondo in quello che sembrerebbe un lento, ma esplode in un chorus dal riff ossessionante e dagli effetti in sottofondo allucinogeni, dove Lindemann ha inserito anche una sottoincisione quasi in growl per rendere più aggressivo il ritornello, quel che più si nota è che ogni tanto arriva pure ad urlare con una rabbia da ufficiale delle SS (sia ben chiaro che è solo una similitudine, i Rammstein si sono sempre schierati contro il nazismo), soprattutto in chiusura.
Ohne Dich è invece una ballad, e la rabbia precedente sembra ormai lontana mentre le linee vocali si fanno sentimentali e malinconiche, aiutate dall’onnipresente tastiera atmosferica e dagli arpeggi acustici, e dai chitarroni elettrici che, un po’ prevedibilmente, fanno da sottofondo sonoro nel chorus alla melodia portante del brano. Amour inizia con un giro di tastiera e prosegue con arpeggi acustici tranquilli che ricreano un’ambiente da città notturna in cui cammina un uomo sconsolato, e ancora una volta nel chorus sopraggiungono le chitarre elettriche che qui sono al tempo stesso veloci e continue ed in sottofondo, mentre le tastiere richiamano l’atmosfera di Morgenstern; l’assolo finale consegna un intenso carico emotivo.

Reise, Reise è senza ombra di dubbi, oltre che il più corposo e sofisticato, il loro disco più personale in assoluto, il lavoro migliore e più completo dei Rammstein, se non forse per i fan di vecchia data del gruppo che preferiranno i lavori precedenti, più d’impatto, più, come dire, “catchy”. Nel frattempo attendiamo, sicuramente per il 2006 o il 2007, il prossimo album del sestetto tedesco, con la curiosità di vedere se continueranno su questa linea, se riprenderanno qualcosa dagli album precedenti o se cambieranno ancora.

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