Voto: 
5.9 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Universal
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Till Lindemann – lead vocals
- Richard Z. Kruspe – lead guitar, backing vocals
- Paul Landers – rhythm guitar, backing vocals
- Oliver Riedel – bass guitar
- Christoph Schneider – drums, percussion
- Christian Lorenz – keyboards, samples

Tracklist: 


1. Rammlied
2. Ich Tu Dir Weh
3. Waidmanns Heil
4. Haifisch
5. B********
6. Fruhling in Paris
7. Wiener But
8. Pussy
9. Liebe Ist fuer Alle Da
10. Mehr
11. Roter Sand

Rammstein

Liebe Ist für Alle Da

Ritornano i Rammstein dopo una lunga attesa dal binomio Reise, Reise/Rosenrot, che li consacrò definitivamente nel mainstream. Il nuovo album ha un titolo che è tutto un programma: Liebe Ist für Alle Da, l'amore è qui per tutti. Perché? Perché ricordiamo di come in passato (Mutter) sia già stato usato l'interessante gioco del contrasto fra un nome apparentemente dolce, che dovrebbe ispirare serenità, e delle sonorità poi molto più dure, taglienti ed orecchiabili, pur ogni tanto inframezzate da momenti più emotivi. Eppoi c'è anche la solita ironia erotica tipicamente rammsteiniana, che fra l'altro ha causato la censura del disco in Australia dove è vendibile solo ai maggiorenni...
Stilisticamente si avverte il tentativo di una summa dei principali momenti della carriera del gruppo (il riffing aggressivo ed incalzante di Sehnsucht, le atmosfere più oscure e metalliche di Mutter, il sound intenso e corposo di Reise Reise). Ma a conti fatti quel che viene a mancare in Liebe Ist für Alle Da è, tranne in alcuni spezzoni, la bontà delle canzoni, più povere di idee che mai, al punto che i tedeschi per compensare ciò indugiano troppo in stereotipi del loro stile, nel sensazionalismo e nei chorus ad effetto.
Le canzoni hanno inoltre minore identità che in passato, si fanno più simili fra loro e piatte fino a che la ripetitività della struttura riffocentrica non inizia a farsi noiosa.
I Rammstein non sono mai stati dei prolifici macina-riff. Però a questa scarsa varietà all'interno di ciascuna singola canzone compensavano con vari elementi, come l'attitudine molto d'impatto, l'energia dei ritornelli, soprattutto il carisma vocale di Lindemann. Ma essi sono annacquati e diluiti in un sound che cavalca il trend costruitosi attorno al gruppo, dove si ripetono i fattori più radio-friendly e vincenti (alla lunga sempre più piatti). Persino la voce si risolve in un blando abuso di linee vocali che fanno figo, soprattutto nei ritornelli generalmente triti, ma è anche la parte comunque più in forma ed espressiva dei Rammstein.

L'iniziale Rammlied (la canzone dei Rammstein, in pratica) non brilla certo per originalità: i soliti choirs atmosferici ed effetti tastieristici di cui in molti (su tutti i Deathstars) hanno abusato, i soliti attacchi distorti di chitarra, la voce melodrammatica di Lindemann pronta a tramutarsi in un impetuoso ruggito. E poi quel "Ramm... Stein!" che fa il verso all'opening di Herzeleid è forse la soluzione più banale mai adottata dai tedesconi. Certo, ci sono alcuni spunti melodici accattivanti, come nei bridge fra un ritornello e l'altro, ma sono poca cosa.
La successiva Ich Tu Dir Weh comincia con giochi atmosferici ipnotici a cui rapidamente si susseguono i riff pesanti. Il ritornello epico è certamente più catturante di quello della precedente canzone, mentre l'assolo emotivo cerca di spezzare un minimo la ripetitività di fondo.
Con Waidmanns Heil l'epicità si fa sempre più ironica, ma la caratteristica più apprezzabile è la maggiore immediatezza e sintesi della canzone, che risulta così più efficace come hit, senza prolungamenti eccessivi della formula; nulla di inaudito o particolarmente caratterizzato, però.
Haifisch sembrerebbe un interessante riavvicinarsi al synth pop, con quei sintetizzatori così vintage, ma poi tutto viene di nuovo soffocato nei choirs di tastiera, nei chords distorti, nel ripetere noiosamente lo stesso ritornello nella speranza che risulti accattivante al punto da risollevare l'economia generale della canzone.
La dura e cupa B******** ricicla i momenti più oscuri dei precedenti due album, mentre Fruhling in Paris è una ballata priva di idee fatta tanto per metterci una ballata (e non raggiunge mai neanche lo spessore emotivo di una Wo Bist Du?).
Invece Wiener Blut gioca sulla contrapposizione di momenti di forte impatto e distenzioni più mesmerizzanti, ma senza molta creatività.
Pussy ha il titolo più schietto e significativo della storia della musica, una parola singola che al giorno oggi avrebbe un fragore da manifestazione biblica sull'uomo (il video poi...). Ma per il resto è una banale sequenza di chords distorti su cui cantare melodie orecchiabili.
La titletrack è uno degli episodi più adrenalinici del disco, ma il discorso è sempre lo stesso: è una minestra scaldata e riscaldata, sempre più insipida e povera di idee.
Mehr inizia con un'interessante commistione di elettronica caustica, ritmi incalzanti e note acustiche, il tutto con un crescendo atmosferico che genera suspance prima di una possibile esplosione sonora; ma si appiattisce nel ritornello schitarrato strafritto. Peccato perché altrimenti sarebbe potuto essere il brano più trascinante di tutti.
In conclusione del disco abbiamo Roter Sand, altra ballata, lievemente meno scontata della precedente perché interamente acustica/atmosferica e senza i soliti muri sonori distorti su cui costruire il climax emotivo, ma eccede ancora molto in sentimentalismo.

A conti fatti Liebe Ist für Alle Da si rivela il disco più povero di idee e meno riuscito della discografia dei Rammstein, un passo falso auto-indulgente e molto auto-celebrativo su cui il gruppo dovrà meditare. Difficile considerarlo anche solo un disco di transizione, perché i tempi lunghi con cui i tedeschi rilasciano album non lasciano spazio per capitoli tali nè concedono le attenuanti del periodo ricco di pubblicazioni in cui inevitabilmente qualche episodio stanco e meno ispirato finisce per capitare.

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