Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Subharmonic
Anno: 
1994
Line-Up: 

- Bootsy Collins - bass and vocals
- Buckethead - guitar
- Brain - drums
- Bernie Worrell - keyboards
- Mick Harris - drums
- Yamatsuka Eye - vocals
- John Zorn - saxophone
- Bill Laswell - bass

Tracklist: 

1. Stronghold
2. Cold Rolled/Iron Dub
3. Suspension
4. Rivet
5. Deathstar
6. The Hook
7. Nine Secrets
8. Crossing

Praxis

Sacrifist

Nel loro secondo album i Praxis di Bill Laswell vedono la collaborazione di John Zorn dei Napalm Death, assieme al suo compagno Mick Harris e a Yamatsuka Eye dei Boredoms. Inizialmente Sacrifist sarebbe dovuto essere un album del progetto Rammellzee, ma lo stesso Zorn suggerì di farlo divenire il secondo album targato Praxis.
L'apporto in particolare di Zorn è determinante nel rendere il sound del gruppo più aggressivo e rumoroso, contaminandolo più che mai con elementi del metal estremo e del grindcore, ma ciò non comporta la dissoluzione totale degli stilemi che già si erano incontrati sul predecessore, come il funk, l'hip hop o i virtuosismi del chitarrista Buckethead, ma più che altro vengono ridimensionati come ruolo e in alcuni casi relegati ad un background d'accompagnamento dissonante per sonorità più ruvide e granitiche. Il problema è che questa matrice estremizzata soffoca gran parte dell'eclettismo e della vena schizzata (ma creativamente fresca e vitale) dimostrata in Transmutation. Troppo spesso infatti veloci attacchi di riff death/grind, martellamenti thrashy o refrain speed metal vengono messi in primo piano e prolungati senza però trarne vigore: l'intento è di far suonare tutto claustrofobicamente caustico, di elevare a dismisura la freneticità dei pezzi, ma in realtà tolgono spessore ai brani che mostrano molta meno caratterizzazione e minor eterogeneità. Il songwriting si fa ben più piatto e prevedibile che nell'esordio, a complicare le cose ulteriormente è la monotonia di molte composizioni che finiscono per risultare soporifere anche quando ci sono spunti interessanti sotto.

L'iniziale Stronghold è un breve e caotico speed-death (che di base non dice molto più di quanto già detto da gruppi come Slayer o Sepultura), macchiato però dell'essenzialità del grindcore, da frammenti elettronici, da urla campionate e dai virtuosismi di Buckethead.
La successiva Cold Rolled mescola gli stessi elementi del precedente brano con elementi funk rock e free jazz, per poi sfociare nell'hip hop/dub di Iron Dub.
Ancora una volta Suspension indugia con sfuriate estreme formalmente banali ma inserite appositamente in un contesto dissonante e multisfaccettato per generare qualcosa di alienante, acido, caotico.
Rivet è un'ossessiva ripetizione di riff marcati e brucianti, le solite urla ed effetti campionati sempre più stranianti, come a fare da sottofondo ad un vortice in cui si precipita circondati solo da folli esplosioni soniche.
Di ben diverso approccio è la lunga Deathstar, dove funk distorto, droni rumoristici, elettronica minimale e tappeti tastieristici costituiscono un brano atmosferico e orecchiabile, progressivamente sfociante in una volata dai toni spaziali condotta da un'attitudine da jam session.
The Hook è una traccia electro-hop stilisticamente scontata ma molto catchy. La bizzarra telefonata senza dialogo in giapponese in conclusione introduce Nine Secrets, che non aggiunge nulla a quanto già sperimentato nelle prime traccie, suonando così solo forzatamente rumoristica, martellante e pesante.
La conclusiva Crossing è una suite concettualmente prog incentrata sull'organo di Worrell, impegnato in un assolo più giocoso che finalizzato ad esibire tecnicismi ed accompagnato da inquietanti sfondi atmosferici di sottofondo.

Nonostante gli intenti, Sacrifist si rivela molto deludente in confronto al più ispirato Transmutation. Il matrimonio fra Laswell & soci e l'eclettico John Zorn non si è concretizzato in questo album, nonostante l'altissimo potenziale.

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