Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Burning Building Recordings
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Kenny Ball
- Brandon Bogan
- Anthony Carlucci
- Aaron Gustafson
- Colin Isler

Tracklist: 

1. Ponaturi
2. Cities of the Interior
3. Shirakashi
4. With a Line Graph I Can Tell the Future
5. The End of Something Great is Coming
6. Alia's Fane
7. Augustine
8. Caves, Hollow Trees and Other Dwellings
9. For Example, This is a Corpse
10. Intro

post harbor

They Can't Hurt You If You Don't Believe in Them

Una sorpresa commovente, profusa da una poesia di quelle purissime, struggenti per la propria semplicità.
Rimanere freddi e distaccati di fronte al nuovo, toccante gioiello dei post harbor è pressapoco impossibile: gioiello in questione che porta il nome di They Can't Hurt You if You Don't Believe in Them e che rappresenta il (capo)lavoro che probabilmente riuscirà - una volta per tutte, visto lo scarso successo del precedente Praenumbra - a far salire il giovane complesso statunitense sul piedistallo che giustamente si merita.
Era da molto tempo che nei cunicoli del post-rock underground non si vedeva un disco di tale caratura qualitativa da far risultare addirittura approssimativo e fuori luogo il termine 'undeground' stesso, nonostante si stia parlando di un gruppo ancora sconosciuto e fuori dalle gerarchie del grande mercato musicale (aspetto che in questi casi non può che fare bene).
A far rialzare le quotazioni di un genere sempre più discusso e al centro delle più disparate diatribe come il post-rock del 2000 è, quindi - e ancora una volta - un gruppo che il successo ancora non l'ha assaggiato, testimoniando che le maggiori sorprese e i più emozionanti colpi di scena provengono da un sottosuolo mai come ora in continuo movimento e in un'importante fase di maturazione. Che il periodo di splendore dei grandi (Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Do Make Say Think, Explosions in the Sky etc..) sia finito ancora non lo si può dire, ma rimane altrettanto sicuro che negli ultimi tempi sono quasi esclusivamente i 'piccoli' gruppi a dare nuove e fascinose interpretazioni di un genere che di questi tempi ha visto troppo da vicino l'orlo del baratro.

Perchè se da una parte è vero che ogni anno escono fuori sorprese più che convincenti (basti pensare solo all'ultimo triennio dove hanno sfondato i vari Long Distance Calling, Caspian, This Will Destroy You, Tenebre e destroyalldreamers), il sottobosco post-rock sputa fuori con criticabile costanza cloni e gruppi-fotocopie di quello che è stato il suo periodo d'oro. Pur riprendendo e riassimilando alcuni dei più recenti sviluppi del genere, i post harbor si divincolano alla grande da ogni eventuale critica di derivatività e di plagio, distinguendosi di conseguenza dall'enorme massa di act post-rock usciti in questi anni che non sono mai stati in grado di darne un'interpretazione personale.
They Can't Hurt You if You Don't Believe in Them è infatti un disco originale ma soprattutto intenso, proprio perchè tanto immediato nell'impatto quanto maturo e coinvolgente nello stile e nelle forme che propone. Suadenti chitarre alla Red Sparowes, accompagnamenti elettronici che appaiono sempre con efficacia, toccanti motivi di archi che riportano alla mente le malinconie classical di Rachel's, Saeta e Dakota Suite e, su tutti, un'atmosfera diafana e malinconica che, pur nella sua fragilità emotiva, riesce a mantenersi integra e 'attiva' per tutta la durata del disco: questo è ciò che sta alla base di They Can't Hurt You if You Don't Believe in Them ed è ciò che lo rende un lavoro dannatamente coinvolgente.

Sin dai suoi primi respiri (la trascinante opener Ponaturi) fino all'avvolgente meditazione ambientale della conclusiva Intro, i post harbor allestiscono un affascinante viaggio naturalistico sospeso tra nubi e ombre sottili in cui ogni particolare si rimodella e si smussa sotto i colpi di una malinconia inscalfibile: tutto il disco è infatti pervaso da un forte senso di abbandono e di emozioni in bianco e nero, splendidamente espresse da piccoli capolavori di rara bellezza come Alia's Fane (toccante slo-core da camera solcato dal funereo moto parallelo di violoncello e chitarra), Shirakashi (ipnotizzante ed onirica), Caves, Hollow Trees and Other Dwellings (l'episodio più propriamente post-rock del disco) e - su tutti - la meravigliosa Cities of the Interior. E' proprio la seconda traccia dell'album a mostrarne i contenuti più profondi, attraverso un riffing emotivamente penetrante e una struttura in grado di metterne in risalto la varietà compositiva (splendido il contrasto atmosferico tra la quiete introduttiva, il breve refrain strumentale, la struggente strofa cantata, la pausa ambientale centrale e il climax conclusivo). A giocare un ruolo assolutamente imprescindibile è inoltre la voce del cantante dei post harbor, impeccabile nel sovrapporsi al songwriting col suo timbro delicato e le sue malinconiche linee vocali, rendendo ancora più netta la peculiare impostazione stilistico-atmosfera del disco.
Ciò che però stupisce maggiormente è che nonostante i richiami al nuovo post-rock (l'assetto strumentale di For Example, This is a Corpse) e allo slo-core americani (la pacatezza strumentale di The End of Something Great is Coming), They Can't Hurt You if You Don't Believe in Them risulta essere completo e non migliorabile (ovviamente non si sta parlando di un capolavoro perfetto) proprio perchè alla sua semplicità e alla sua commovente chiarezza espressiva non c'è il bisogno di aggiungere nulla. A darne ulteriore dimostrazione è una seconda manciata di timide perle post-rock capitanata dal tono sommesso e ondeggiante di Augustine e dall'emozionante atmosfera che pervade l'altro gioiello With a Line Graph I Can Tell the Future, altri esempi di come, pur senza strafare e senza ribaltare alcun canone compositivo, i post harbor siano in grado di coinvolgere nel loro interminabile tramonto di emozioni lontane e riflessive eco interiori.

E' nel cuore di quest'ambientazione emotiva tipicamente crepuscolare che si trova il fascino più intimo e recondito di They Can't Hurt You if You Don't Believe in Them, ovvero di un disco che mostrerà presto all'intero scenario post-rock (e non solo, vista la sua grande limpidezza espressiva) che al suo interno c'è ancora qualcuno in grado di suonare musica col cuore, quello vero. Perchè anche se non hanno inventato nulla di nuovo, anche se non hanno sconvolto stilemi o plasmato nuove forme rivoluzionarie, i post harbor hanno dato vita ad un concentrato raffinatissimo di atmosfere ed emozioni d'altri tempi. Se non è imperdibile questo..

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