Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
4AD
Anno: 
1990
Line-Up: 

- Black Francis - voce, chitarra
- Kim Deal - basso, voce
- David Lovering - batteria
- Joey Santiago - chitarra

Tracklist: 

1. Cecilia Ann
2. Rock Music
3. Velouria
4. Allison
5. Is She Weird
6. Ana
7. All Over The World
8. Dig For Fire
9. Down to the Well
10. The Happening
11. Blown Away
12. Hang Wire
13. Stormy Weather
14. Havalina

Pixies

Bossanova

Agosto 1990: mentre il mainstream musicale si preparava ad essere rivoluzionato e stravolto dal terremoto che noi tutti ormai conosciamo, i Pixies pubblicarono l’atteso seguito di Doolittle, confezionando un prodotto come al solito particolare, spigoloso, asimmetrico, ma incorniciato da un artwork splendido e da sonorità inedite e scintillanti, tutto questo venne chiamato Bossanova.
Tuttavia non fu un vero e proprio seguito, fu piuttosto un evoluzione “controllata” del suono che plasmarono una manciata di anni prima.
Controllata perché, come si può facilmente percepire dall’ascolto anche superficiale di Bossanova, è andata quasi del tutto persa la schizofrenia acida, rumorosa e soprattutto improvvisata dei precedenti lavori, caratteristica che indubbiamente aiutò a distinguerli dalla massa di gruppi indie dell’underground americano.

Fin dalla prima traccia infatti, un breve pezzo strumentale di nome Cecilia Ann, chi ha amato Surfer Rosa e Doolittle non impiegherà che pochi secondi a capire che che le sonorità spagnoleggianti e divertite sono state quasi del tutto abbandonate, per abbracciare uno stile che deve molto alla musica surf-rock anni ’60, rinnovando decisamente le tonalità e le sfumature melodiche del gruppo.
Le chitarre sono più distorte che mai, il basso è quasi assente e la batteria, anche se sovrastata dalle 6 corde, fortunatamente conserva il suo particolare suono degli album precedenti.
Dopo appena 2 minuti parte Rock Music, pezzo tremendamente arrabbiato, dissonanze frullate in un tornado elettrico di suoni dal quale le urla isteriche del cantante fanno fatica ad emergere sostenedo il ritmo imposto da questa canzone così distante dai Pixies “old-school”.
Finalmente con Velouria, terzo pezzo in scaletta, il basso e la voce di Kim Deal tornano a farsi sentire, arricchendo una melodia già di per sé originale e orecchiabile ma maltrattata a sangue dalle chitarre sempre distorte e imponenti dei compagni.
La canzone è comunque molto bella, vestita di pop anni ’80 e rock anni ’90, con qualche accenno di suoni elettronici da film di fantascienza, risulta essere a conti fatti “il singolo” dell’intero album. Allison è un’ altro pezzo molto pop-rock, molto veloce e fresco, sembra la musica di sottofondo per una pubblicità di qualche prodotto per adolescenti.
Finisce ancor prima che l’ascoltatore sia stato capace di afferrarne la melodia tanto è breve, ma la sua allegria frizzante è sicuramente contagiosa e piacevole.
Parte Is She Weird e si sente finalmente qualcosa dei vecchi Pixies: basso solido e costante, chitarra minimale e melodica, voce asmatica e marcia.
Nel ritornello cresce in sottofondo una chitarra surf, che risulta essere il marchio di fabbrica per quest’album, interferendo vagamente con la malattia che serpeggia per le composizioni di Black Francis.
Ana è il primo “lento” dell’album. Il riverbero sbrodolante sulla voce e sulla chitarra riporta nuovamente la testa negli anni ’60, ma i cambi armonici repentini e le trame sinistre sviluppate da Santiago caratterizzano in modo soddisfacente l’intera esecuzione del brano.
La traccia numero 7 è All Over The World , vero e propio cuore pulsante del disco.
Una melodia obliqua e indecifrabile intervallata da secchiate di noise chitarristico ci permette lentamente di prendere confidenza con il mood assolutamente alieno della canzone.
Il ritornello pop-hard rock sembra adattarsi pienamente al brano regalando un po’ di respiro all’ascoltatore, ma allo scadere del terzo minuto quando ormai il pezzo sembra chiudersi, inaspettatamente resuscita, dipanandosi liquefatto tra strati di chitarre filtrate dalla tipica distorsione Pixies, mentre ostili voci megafonate in sottofondo danno l’impressione di trovarsi in qualche sotterraneo laboratorio militare.
L’atmosfera generale è sicuramente unica e molto coinvolgente ma assimilabile solo da un ascoltatore “allenato”, vista anche la durata del brano ( 5 minuti e mezzo ).
Dopo questa nuovamente inaspettata trovata della band arriva il secondo singolo estratto dall’album, Dig For Fire , che permette di distendere un po’ i nervi: è un pezzo estremamente melodico e gode di un ritornello cantabile che ripete semplicemente il titolo dell canzone, irrobustito e levigato dalla voce dell bassista.
Molto caratteristico è il tappeto ritmico delle strofe, costruito tramite l’intreccio dei diversi ritmi seguiti da chitarre e batteria, e da una linea di voce che sembra quasi improvvisata sul momento ( ricordando che la parola “metrica” non è contemplata da Francis ).
Ascoltando Down To The Well viene da pensare subito a Come On Pilgrim o Surfer Rosa ( e infatti la canzone risale a quel periodo ) mettendo in evidenza quanto il gruppo sia cambiato dopo l’ultimo lavoro, anche se i suoni appartengono, ovviamente, a Bossanova.
The Happening risulta essere l’ultima cartuccia dell’album, cartuccia per altro di enorme calibro.“They got a ranch they call number fiftyone” intona il frontman con un poderoso urlo, battezzando la canzone come una delle perle di sempre nel repertorio della band. La maestosità di questo pezzo è spaventosa se contapposta con alcune delle passate hit: la potenza della voce, la carica delle chitarre, il ritornello sostenuto ma allo stesso tempo delicato e cullante, compongono un concentrato che shakerato a dovere con le melodie impareggiabili alle quali i Pixies ci hanno abituato, ci immergono in una dimensione rock che solo questa band sa come creare, mantenere e manipolare. Anche questa canzone tiene in serbo una sorpresa per l’ascoltatore: l’ultimo minuto è infatti occupato da un “flusso di coscienza” musicato, durante il quale il cantante racconta la storia dell’arrivo di un messicano a Las Vegas servendosi di frasi al limite dell’illogico, mentre i compagni proseguono eseguendo in loop i 4 accordi del ritornello. Originale e totalmente inaspettato.
Dopo quest’ultima prova la qualità dell’album si incrina irrimediabilmente e le ultime 4 canzoni della tracklist risultano essere nulla di esaltante.
Strutture abbastanza prevedibili, me soprattutto mancanza di personalità rispetto agli episodi precedenti.
Havalina, filastrocca dolce e nostalgica, chiude questo disco capace di raggiungere alti picchi di qualità ma anche di sprofondare verso soluzioni deboli, che stufano in fretta.

Concludendo è sicuramente il lavoro più tecnico e complesso dei Pixies: canzoni formate da diversi segmenti melodici, sperimentazioni organizzate, riverberi e chorus per lucidare a dovere il risultato finale.
Tuttavia non è detto che piaccia ai “fan”. Dimenticatevi infatti le storielle sul compagno di stanza psicopatico, su visi deformati e corpi asimmetrici, su interpretazioni “personali” della Bibbia, su incesti, molestie, mutilazioni e malate atmosfere latine. Qui si parla di UFO, fantascienza, laboratori nascosti, Las Vegas, il tutto innaffiato di cultura surf anni ’60 e tradotto in Alternative rock americano.
Ciò di cui si sente più la mancanza sono le geniali canzoni da 2 minuti che ti si incollavano in testa al primo ascolto e l’ingenuità o l’innocenza tipica dei primi lavori di ogni band. Qui sembra quasi che il gruppo abbia voluto entrare in un territorio più “hard” e meno pop, che in fin dei conti non gli appartiene, interpretandolo comunque con il proprio stile, che però è stato ovviamente diluito e smorzato.
Perdendo la scintilla di malessere schizoide e infantile che rendeva così speciali Surfer Rosa e Doolittle ne è uscito un lavoro incostante e un po’ incerto in alcuni passaggi, anche se canzoni come Velouria e Dig For Fire sono imprescindibili esempi di splendide e complete canzoni alternative pop, e di quanto inusuale talento filtri ancora , talvolta, dalle menti di Black Francis e compagni.

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