Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Punishment 18
Anno: 
2012
Line-Up: 

Theharian – Guitars

 Jericho - Vocals

Gabriel - Bass

Hate – Drums

Tracklist: 

1.The holy deceiver (intro)

2.Necrosanctity

3.Liar (from the deepest of his soul)

4.Christianized

5.Blessed lust arrogance (prelude)

6.Atrocity by lies, dominion of breeds

7.Life? Death. (‘till the end)

8.Sunday’s vomit

9.Followin’ the light

10.Phobic

11.The orison (outro)

Phobic

The Holy Deceiver

I varesotti trapiantati Phobic hanno una carriera travagliata. Nati nel 1997 in Puglia, dopo un paio di demo, questi deathsters arrivano alla pubblicazione del loro primo lavoro solamente nel 2001: Sick Bleamished Uncreation, edito per la Elegy. Successivamente ci fu uno stop durato un anno e, al ritorno sulle scene, si poteva notare la sola presenza di Theharian (voce e chitarra) tra i membri della vecchia formazione. Finalmente, nel 2012 e dopo tanta gavetta, i Phobic arrivano alla pubblicazione del secondo album per la Punishment 18, questo The Holy Deceiver.

Composto da dodici tracce, compresi un intro ed un outro, il disco mostra pesanti influenze death della scuola stelle e strisce. I suoni sono eccessivamente impastati , con chitarre poco distinguibili ed un batteria eccessivamente plastificata che vanifica l’impatto. Come si può immaginare, tremende sferzate brutal/grind si oppongono a mortiferi rallentamenti. Le vocals sono gutturali ma mai eccesive; a dire il vero più “ruvide” che “estreme”. Per citare alcune canzoni, impossibile non pensare agli Impetigo quando si ascoltano i tempi e le ritmiche in Liar oBlessed Lust Arrogance, senza contare le pesanti contaminazioni che band come gli Autopsy ed Avulsed rilasciano su tutto il disco.  Purtroppo, le succitate band servono solamente come un mero confronto stilistico e non qualitativa giacché a tratti qui deficita la cattiveria e la convinzione necessarie per suonare questo genere. Si migliora decisamente sul finale, quando l'impronta svedese delle tracce getta un'aura cupa sul disco e le atmosfere sono meglio sviluppate al fine di donare una sensazione asfissiante.

Purtroppo a volte non basta mettere insieme le chitarre “zanzarose”, una batteria secca ed asciutta e vocals cupe per creare un buon disco. Certo, la produzione non aiuta ma sicuramente le tracce scorrono via senza lasciare il segno. Trattasi sempre di un piacevole ascolto (preferito a tanta altra musica oggi giorno) ma che sicuramente non passerà alla storia. La base e l’impronta ci sono tutte ma bisogna, a parer mio, lavorare sulle strutture delle canzoni (osare qualcosa di più) e ritornare con un disco dalla produzione più potente e con i volumi meglio studiati.

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