Voto: 
8.2 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Anders Fridén - voce
- Niklas Engelin - chitarra
- Håkan Skoger - basso
- Patrik J. Sten - batteria

Guest:
- Pierre J. Sten - tastiere, programmazione, sampling

Tracklist: 

1. In Reverse
2. In my Head
3. For You
4. Just the Same
5. Carnival Diaries
6. Circus
7. Rain
8. Circles
9. I Die Slowly
10. Used
11. Eyes of my Mind

Passenger

Passenger

Il progetto Passenger nacque ufficialmente nel 1995 a Gothenburg come una band Heavy Pop che si proponeva di miscelare molta melodia a sonorità più dure, ma le numerose difficoltà e gli impegni ufficiali dei membri impedirono la realizzazione di un demo fino al 2000 e di un album fino al 2003, anno di uscita di questo omonimo debutto. I membri sono nomi di tutto rispetto nella scena Metal svedese: il vocalist Anders Fridén (In Flames ed ex-Dark Tranquillity), il talentuoso chitarrista Niklas Engelin (Gardenian e comparsate con gli In Flames), il bassista Håkan Skoger (Headplate) e il batterista Patrik J. Sten (Transport Plan e assistente di produzione dei noti studio Frédman).

Quello che i quattro svedesi realizzano è una creativa variante del nu metal che viene contaminato da soluzioni elettroniche fra il pop ottantiano e la new wave (anche dark-wave), coinvolgenti melodie vocali di stampo Europop, picchi emotivi relativamente legati all'emocore, attacchi distorti ma atmosferici nel riffing vicini a quanto fatto da gruppi come gli A Perfect Circle.
L'attitudine e gli umori percepiti suonano molto più maturi, adulti e in generale profondi rispetto a popolari gruppi nu metal contemporanei ai Passenger e in particolar modo alla luce delle loro mediocri prestazioni in questo periodo (nonostante, per ironia della sorte, probabilmente il progetto Passenger è stato mandato in porto proprio grazie al successo mediatico di quelli) il tutto suona molto originale e soprattutto personalissimo.
Niente violenza, velocità o canti ruggiti, solo una vena molto catchy interpretata con un mood maturo, arrangiamenti superbi ed un sentimentalismo lirico leggermente melanconico sempre ispirato. La componente ritmica è semplice ma svolge adeguatamente il suo lavoro; nota positiva è che non c’è alcuna valanga di doppia-cassa per “fare cattivo” apposta, altro segno di come si sia privilegiata la sostanza della melodia che un’appariscenza tendenzialmente sborona, contrariamente ad alcune malelingue che circolavano prima della release. Un crocevia fra Deftones, Helmet e i Paradise Lost di Host, per semplificare il tutto, ma il tutto viene interpretato ed arrangiato magistralmente con uno stile personale che non prende in alcun modo un’imprescindibile influenza cardine da una o l’altra band, creandosi così un proprio “Passenger-style”.

A brillare è soprattutto il canto pulito di Anders, flessibile e ricco di personalità (superando anche le ultime discontinue prove con gli In Flames): spigliato e vivace, alternan anche momenti più malinconici a quelli di canto più spensierato ed è il lato più personale del disco. Capita qualche sporadico scream, ma mai come direttiva principale. Rispetto agli ultimi In Flames, dove Anders ne faceva largo uso, i canonici filtri per la voce sono diminuiti oltre che diversi, prediligendo il canto melodico a quello più atmosferico. E infatti va subito annunciato che Fridén adotta linee vocali totalmente differenti da quelle degli In Flames; anzi, gli In Flames musicalmente parlando con i Passenger hanno davvero ben poco a che vedere. Leggendo sul sito ufficiale che il gruppo intendeva ispirarsi a gruppi come Handsome, Chum, Helmet, Depeche Mode o The Posies e rendere il tutto più Heavy, si capisce subito che non ci troviamo di fronte a qualcosa che si trova tutti i giorni.
Ma la voce di Fridén da sola non basterebbe se non fosse bilanciata da un songwriting equilibrato, variopinto e coinvolgente, merito soprattutto di Niklas Engelin con la sua personale e coinvolgente chitarra.
Le sue chitarre spaziano in un repertorio vasto di riff ora come muri sonori a sostegno della melodia vocale e ora come arieti d’impatto di una tradizione che le mette più in risalto; e come accadeva nei Gardenian, ogni tanto propongono piccoli riff "arabeschi", che comunque non sono una costante.

L’esito è distinto ed originale, ricco di numerosi spunti interessanti e di giochi di melodie gradevoli e intrecciati in sovra-registrazioni di chitarra atmosferici e d’effetto. La cosa migliore è la varietà della composizione, che è tutt’altro che appiattita e banale come alcuni diffidenti ipotizzarono dopo aver ascoltato il singolo In Reverse (che non è neanche malvagio a dire la verità, una hit melodica molto più creativa e coinvolgente delle piatte auto-fotocopie dei Linkin Park), cosicché si possano gustare appieno le varie trovate di Engelin alla chitarra. Dicevamo di In Reverse che apre il disco: è una opener breve e di forte impatto dove la chitarra si concentra sul muro sonoro di sostegno alla efficace melodia vocale del chorus, aiutata dagli effetti elettronici di riempimento e dall’assolo piccolo ma bruciante. Ad ogni modo non è troppo originale come schema e non rappresenta appieno ciò che l’album sa offrire, è più che altro un singolo melodico introduttivo.
Più varie le malinconiche ed emozionali ballad distorte In My Head e For You, o l’inconsueta unione di rabbiosi riff (fra l’Alternative melodico e il nu/quasi-groove thrash) e di consueta ricchezza di melodia di Just the Same.
Di seguito arriva Carnival Diaries, che è la più particolare fino a questo momento e che ha i riff più efficaci (il principale sarebbe inoltre stato di spunto agli In Flames per la loro Borders and Shading): un sapiente ed egregio mix certosino di nu metal, pop, dark-wave e alternative rock d'estrazione americana (tendente al post-grunge e vocalmente macchiato di una vissutezza emo).
Circus è la più emotiva e melodica di tutti, e anche qua i vari giri di note di Engelin sono molto ben arrangiati e connessi fra loro, particolarmente nella suggestiva chiusura.
Rain invece inizia con un riff duro, oscuro e molto marcato, in pieno stile nu metal, e nei bridge si scopre piuttosto cupa anche nei suoi leggeri arpeggi.
Il duetto di tappeto elettronico soffice sullo sfondo e graziose note arpeggiate di chitarra che introducono Circles preannunciano il ritorno a melodie più dolci, ma in tutta la canzone si mostra molta consueta malinconia.
I Die Slowly è una riuscitissima hit energica e dal piglio trascinante, soprattutto nel chorus di forte impatto che con In Reverse la preannuncia come il brano di maggior riuscita nei live.
Anche se il giro di synth iniziale sembra introdurre un brano ricco di strutture elettroniche, Used non sfocia in questo e permane sulle coordinate del resto dell’album. Rimane piacevole da ascoltare ma forse osare la sperimentazione avrebbe dato i suoi frutti.
La chiusura dell’album è affidata alla struggente Eyes of My Mind, la canzone più ricca di pathos e d’effetto, che alla fine lascia i suoi due ultimi cupi e atmosferici minuti scanditi dal regolare e scorrevole battito della batteria e al riff abrasivo che chiudono l’album in maniera efficace ed emozionante, rendendolo inoltre del tutto completo.

Così i Passenger si ritagliano la propria nicchia con un proprio stile personale arricchito da soluzioni melodiche vitali e ben congegnate, riff variopinti, assoli brevi ma d’effetto, un pizzico di elettronica di condimento, un buon piglio radio-friendly ed un Fridén che lascia apprezzare il suo lato più immediato, personale ed intimista nelle vocals.
Con questi elementi gli svedesi creano undici canzoni agili e dinamiche e la produzione fresca e nitida non fa che migliorare il tutto.

Un piacevole ascolto per chi non disdegna le sonorità più moderne; l'ultimo piccolo, grande capolavoro del nu metal prima della sua morte, significativamente proveniente dalla Scandinavia e non dagli Stati Uniti, nonché un eccellente esempio di come coniugare due realtà, quella europea e quella americana, ottenendo il meglio da entrambe.

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